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Enzo Bianchi "I cristiani di fronte all’Inferno"

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Consapevoli di un giudizio
I cristiani di fronte all’Inferno
I Novissimi / Inferno

All’interno della riflessione sui Novissimi, le realtà ultime e definitive, il tema dell’Inferno resta quello che scatena le discussioni più accese.
Su di esso si arriva addirittura a voler misurare la fede di alcuni cristiani da parte di altri e a voler polarizzare le posizioni, distinguendo tra “buonisti” e “intransigenti”, infedeli alla tradizione od ossessionati da antiche formulazioni.

Non è facile oggi fare una riflessione sull’Inferno, anche perché viene spesso dichiarata una difficoltà nel pensare questa realtà di sofferenza e di eternità voluta da Dio e da lui inflitta almeno a una parte dell’umanità, quella peccatrice, non riconciliata con lui. Dobbiamo ascoltare quanti vedono emergere nell’Inferno eterno l’immagine di un Dio perverso, vendicatore, finanche sadico, quasi intravedendo un Auschwitz eterno, qualcosa che solo un potere malefico potrebbe inventare. Questa difficoltà o addirittura questo rifiuto sono antichi, e in particolari epoche della storia del cristianesimo, nella modalità di uno scontro più che di un confronto tra posizioni, hanno contrapposto all’Inferno la coerenza di una salvezza universale con il Dio di Gesù Cristo, e quindi hanno affermato l’infinita misericordia del Signore verso tutte le sue creature, anche quelle che hanno contraddetto la sua presenza e la sua volontà. Come non ricordare che, in certe tradizioni spirituali di alcune Chiese, degli uomini e delle donne ripiene di santità hanno mostrato un amore misericordioso estremo, fino a pregare di essere mandati loro stessi all’Inferno, purché tutti i loro fratelli e sorelle in umanità trovassero la salvezza e partecipassero alla beatitudine della vita eterna?

Isacco il Siro (VII secolo) è giunto a pregare per una salvezza cosmica, una trasfigurazione salvifica nella quale tutte le creature, sapienti o insipienti, buone o malvagie, giuste o peccatrici, potessero essere perdonate, riportate alla loro integrità e coperte dall’amore di Dio. Nel cattolicesimo italiano resta folgorante l’amore di Caterina da Siena, questa donna fatta fuoco, che scriveva: «Come potrei sopportare, o Signore, che uno solo di quelli che hai creato a tua immagine e somiglianza si perda e sfugga dalle tue mani? No, per nessuna ragione io voglio che uno solo dei miei fratelli si perda, uno solo di quelli che sono uniti a me attraverso una stessa nascita». Alla fine del XX secolo, in Occidente, anche Teresa di Lisieux sentiva una grande reticenza nei confronti della pena eterna e, pensando a Gesù seduto alla tavola dei peccatori, chiedeva di poter portare lei stessa la pena della loro condanna. Tutte convinzioni che certamente non dimenticano l’affermazione della tradizione paolina: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Timoteo, 2, 4). In Isacco, Caterina, Teresa e molti altri abitano i sentimenti di Mosè, il grande profeta, e di Paolo, l’apostolo delle genti. Mosè, infatti, di fronte al grande peccato del suo popolo, prega Dio dicendo: «Questo popolo ha commesso un grande peccato […] Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato […] Altrimenti, cancella me dal tuo libro che hai scritto!» (Esodo, 32, 31-32). E secondo la tradizione ebraica arriva fino ad affermare: «Signore del mondo, perisca Mosè e mille come lui, ma non si perda un’unghia di uno di Israele!». Paolo, dal canto suo, esprime la propria solidarietà con gli ebrei suoi fratelli, dicendosi disposto a essere lui scomunicato e maledetto, separato da Cristo, se questo può giovare all’Israele che non ha riconosciuto Gesù come Messia (cfr. Romani, 9, 1-3).

Ma possiamo noi osare qualche parola sull’Inferno? Sappiamo che l’Inferno è un’immagine biblica: designa inizialmente una profonda e stretta gola a sud-est della città di Gerusalemme, una valle in cui si praticava l’idolatria attraverso sacrifici umani. Più tardi essa fu resa una discarica delle immondizie della città, dove queste venivano bruciate, luogo di fuoco e fumo, fetore e desolazione. Nel Nuovo Testamento il suo nome è Gheenna, per indicare il luogo del castigo, della punizione, dunque della maledizione di Dio e degli umani. I profeti ricorrono a questa immagine per denunciare un esito del giudizio sugli empi e anche Gesù se ne serve nelle sue invettive e nei suoi “guai”, veri inviti alla conversione: «È meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Gheenna, dove “il verme degli empi non muore e il fuoco non si estingue” (Isaia, 66, 24)» (Marco, 9, 48).

Dobbiamo dunque prenderne atto: l’Inferno, che si presenta a noi con tante immagini di tenebra, sofferenza e fuoco, è una parola sulle labbra di Gesù, il quale esorta a evitarlo scegliendo il bene e confidando nella misericordia di Dio. Gesù intende soprattutto condannare il male in modo chiaro, indicare che l’uomo può scegliere vie mortifere, ma non fa un annuncio dell’Inferno. Annuncia il regno di Dio, annuncia la sua misericordia, annuncia il suo amore che non deve mai essere meritato ma solo accolto. Di fronte a questa immensità dell’amore di Dio, dobbiamo essere responsabili e consapevoli che possiamo commettere azioni che provocano la morte. Edith Stein, nell’inferno di Auschwitz, nel 1942 scriveva: «Appartiene a ciascuno decidere del proprio destino. Dio stesso si ferma davanti al mistero della libertà di ogni persona».

L’Inferno non è un articolo contenuto nella professione di fede, nel Credo, come non lo è il diavolo, perché all’Inferno e al diavolo non è necessario credere, dal momento che ciascuno di noi ne fa l’esperienza: esperienza di essere tentati da una forza che è al di fuori di noi ma si fa sentire in ciascuno di noi, da una potenza dominante che ci induce a compiere il male, a separarci da Dio, a scegliere la morte e non la vita. D’altra parte, non è conforme alla tradizione cristiana affermare che l’Inferno non c’è o che l’Inferno è vuoto. Ma come discepoli di Gesù ci è chiesto di conoscere e proclamare la misericordia di Dio e di cantarla sempre; ci è chiesto di sperare per tutti, di sperare che tutti siano salvati e preservati dall’Inferno, di pregare perché il Signore non permetta che alcune tra le sue creature conoscano la Gheenna eterna.

Se oggi molti cristiani affermano di non credere più all’Inferno, non è forse in reazione a predicazioni insistenti, ossessive e angoscianti sull’Inferno stesso che la mia generazione ha subito negli anni dell’infanzia e della giovinezza? Non dimentico che negli anni della mia giovinezza si parlava dell’esistenza di un frate domenicano il quale negli esercizi spirituali, che contenevano sempre meditazione sui Novissimi, a proposito dell’Inferno aveva il potere di far sentire, durante la sua predicazione, la puzza soffocante dello zolfo. Davanti alla parola “inferno”, che risuona nella lettura della Bibbia, nessun mutismo, ma anche nessuna ossessione terroristica. Evocare l’Inferno deve essere l’occasione per proclamare “la grazia a caro prezzo”, secondo l’espressione di Dietrich Bonhoeffer; per risvegliare la consapevolezza che le scelte comportano un giudizio sulle nostre azioni, un giudizio che avviene qui e ora; per contemplare l’infinita misericordia del Signore.

D’altronde, la Chiesa osa parlare dei santi, osa affermare con certezza che alcuni cristiani, a causa della loro vita conforme a Cristo, sono nella beatitudine, presso Dio, nel Regno; ma non ha mai osato affermare che qualcuno sia precipitato all’Inferno. Certamente non possiamo non chiedercelo: alcune persone, che hanno commesso crimini contro l’umanità, che sono state un’epifania della perversa disumanità, come Hitler, Stalin e tanti altri, anche nel nostro secolo, non avranno una punizione, non sono forse degne dell’Inferno? I nostri sentimenti sono umani e non possiamo neanche chiedere di perdonare a ogni costo, in un sussulto di onnipotenza. Qui, insieme agli ebrei, mi piace fermarmi e dire: «Mi yodea? Chi sa?» (Qoèlet, 2, 19; 3, 21; 6, 12).

A santa Giovanna d’Arco, mentre andava verso il rogo, fu chiesto: «Sei tu in grazia di Dio?». Ed ella rispose: «Se sono in grazia di Dio, Dio mi conservi in essa. Se non sono in grazia di Dio, prego Dio che mi metta nella sua grazia».
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