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Dario Argento e Luciano Manicardi a Torino Spiritualità

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Non temerai i terrori della notte
Il priore della Comunità di Bose Luciano Manicardi e il maestro del cinema horror Dario Argento prendono spunto dal potente monito del Salmo 90 per avventurarsi nel regno delle paure: quelle reali e quelle sognate, quelle incontrollabili e quelle che siamo riusciti a dissolvere, quelle che leggiamo sui volti degli altri e quelle che, del volto degli altri, hanno assunto i lineamenti. Con Armando Buonaiuto

Torino Repubblica del 26 settembre 2019
di Francesco Antonioli


Padre Luciano Manicardi, classe 1957, è monaco della Comunità di Bose dal 1981. Ne è diventato Priore a gennaio 2017, succedendo al fondatore Enzo Bianchi. Tra i suoi volumi più recenti c'è "Memoria del limite. La condizione umana nella società postmortale" (Vita e Pensiero, 2016), in cui riflette su come la morte, "proprio nel porre un limite alla vita, le dà forma e possibilità di senso".

Padre Luciano, lei, monaco, è tranquillo oppure vive momenti di paura?
"Come ogni uomo, anche il monaco sa bene che cosa sono le angosce. Il salmo 90 su cui ragioneremo viene pregato prima di coricarsi. Entrare nella notte significa entrare nella figura della morte. Lo ricorda anche la mitologia, nessuno ne è esentato. I sogni, i mostri, i fantasmi, si manifestano così. La notte è il momento in cui si perde il controllo: siamo più esposti al difficile confine con noi stessi. È il confronto con i demoni che abitano in noi. Ma spesso è la vita che fa paura e gli umani che spaventano. Il profeta Geremia parla di cuore come "abisso impenetrabile" ...

Che cos'è la notte per il monaco? Veglia, speranza o anche buio esistenziale?
"La notte è associata alla cella, luogo di solitudine e di silenzio. Può essere spazio di tentazione o diventare a sua volta luce nel vedere dentro di noi, abitando il nostro corpo. Insomma, la notte, come la cella, può essere area celeste o fornace di Babilonia, dipende".

Bose è spesso un porto aperto per molti profughi della vita, che vivono sulla soglia della fede: quali paure sono disegnate sui volti di chi bussa al monastero?
"Al di là delle paure indotte dai social media e da certa politica - l'altro, lo straniero - direi che portano nella loro carne l'ansia del quotidiano, quella che nasce dalla fatica delle relazioni: in famiglia, tra marito e moglie, tra conviventi, con i figli, sul lavoro. Più che fuga dal mondo cercano contromisure. Ci sono giovani ludopatici oppure prigionieri delle loro identità digitali, nascosti nei nickname che impediscono loro di rapportarsi con gli altri. Uomini e donne che non riescono a reggere la fatica, a volte il terrore, di ogni giorno".

Durante la notte non sappiamo più riposare. Sono sempre più frequenti i disturbi del sonno. Malessere spirituale o malessere fisico?
"Sovente è un intreccio micidiale. C'è addirittura chi inverte giorno e notte. Il problema cruciale, all'origine, è culturale e sociale: si annida nel rapporto malato con il tempo e con il fare. Siamo divorati, stressati dal tempo. Non sappiamo essere se non frenetici. Questo meccanismo genera paura. Non si trova requie e questo destabilizza".

Il buio che ci capita di sperimentare anche di giorno, nella vita quotidiana, è forse dovuto a un'etica della parola che non esiste più?
"Tra i nostri mali, anche della politica, ci sono una comunicazione deficitaria e l'imbarbarimento della parola: come aggressione violenta, come calunnia. Mali antichi, di sicuro, ma oggi amplificati a dismisura dal web. Ciò che la parola deturpata provoca è l'erosione della fiducia: così scattano sospetto, diffidenza, paura. La parola, invece, può illuminare il buio perché disegna i contorni delle cose anche in chi vede poco, rendendoli visibili e vivibili. Lo strame della parola è un guaio serio: ritrovarne un'etica significa ridare ordine e bellezza alle relazioni, dalle più intime a quelle internazionali tra gli Stati".

Una curiosità: che cosa domanderebbe a Dario Argento, il Maestro dell'horror?
"Gli chiederei: la sua attività artistica è un esorcismo, un addomesticamento delle paure? E ancora: che radicamento hanno nel suo animo quei sogni terribili?"



Dario Argento ha appena compiuto 79 anni. I suoi film thriller e horror sono oggetto di culto in tutto il mondo. Da "L'uccello delle piume di cristallo" a "Profondo Rosso" a "Suspiria", per dire. Il regista - oggi, giovedì, con inizio alle 18,30, nella chiesa di San Filippo Neri - , sarà protagonista dell'incontro inaugurale di "Torino Spiritualità" insieme al priore della Comunità di Bose Luciano Manicardi. "Non temerai i terrori della notte": guidati da Armando Buonaiuto, curatore della rassegna, entreranno nel regno delle paure a partire dal Salmo 90. "Non temerai il terrore della notte/ né la freccia che vola di giorno, /la peste che vaga nelle tenebre, /lo sterminio che vaga a mezzogiorno".

Maestro, nella sua autobiografia lei dice che i terrori della notte sono un po' come i nostri sogni. Possiamo non temerli e dunque non averne paura?
"Io credo che dipenda molto da persona a persona. Per quanto mi riguarda sono un tutt'uno con le mie fantasie, vivono con me. Insomma, io non ne ho paura. Perché, con loro, mi trovo in buona armonia".

Che cos'è la notte per lei?
"Rappresenta il riposo, la rielaborazione di tanti pensieri che durante il giorno vengono a galla magari in maniera disordinata. È un costante rimuginare sulle vicende della vita".

La notte, sovente, pullula però di inquietudini. Perché?
"Il sono e la notte sono disturbati da sempre. Gli uomini primitivi erano terrorizzati dal buio, per gli animali feroci e pericolosi. Nel corso del tempo ci si è poi spaventati anche per spiriti di cui si ignorava la provenienza. Adesso le paure non sono più legate agli animali, ma ai nostri pensieri, che sono diventati feroci".

Torino ha da sempre un sapore particolare nella sua vita, almeno da quando venne sotto la Mole con suo padre. Continua a essere, lei ripete, il luogo dove i suoi incubi stanno meglio. Perché?
"Sa che non lo so? Non sono mai riuscito a capirne la ragione, ma è così. Mi accade da moltissimi anni. Vivo a Roma, ma venire a Torino è per me come tornare a casa. Non c'entrano magia bianca o nera. Ogni volta è un'occasione davvero felice".

C'è qualche luogo della città, al di là dei set dei suoi film, a cui si sente più legato?
"Direi tutto il centro, con le sue vie e le sue piazze metafisiche. Piazza Cln, così geografica, quasi da metropoli aliena, o Villa Scott, divenuta la "villa del bambino urlante" in "Profondo Rosso". Ma penso anche alle periferie più ai margini dove ho girato altri film: quei palazzoni di Mirafiori vicino alla Fiat hanno sempre esercitato uno strano fascino in me".

Ci sono scene dure e violente nelle sue pellicole. Che cosa pensa della violenza con cui oggi ci si parla in pubblico?
"Sono anni che il fenomeno sta crescendo, purtroppo. Le incomprensioni scattano al semaforo come sui social media e nella politica. Le forme esagerate di rabbia non hanno mai un senso, specie se si hanno delle responsabilità pubbliche a vario titolo".

Non le fa paura tutto questo? Si può fare qualcosa, secondo lei?
"Io non lo so, è davvero difficile. Non mi sento di dare consigli. Non ne ho paura. Più che altro sono un po' pessimista sulla nostra società. E penso che vi siano persone decisamente migliori di me che possono dare suggerimenti".

I monasteri e i monaci non hanno mai offerto ispirazione alla sua vena artistica. Come mai?
"In effetti non mi hanno mai fornito un guizzo. Francamente, non so perché. Io mi dichiaro credente, non so se dipenda questo o perché sono vicino ad alcune comunità".

Che cosa le verrebbe da chiedere al priore di Bose Luciano Manicardi?
"Molte, moltissime cose: pensieri, riflessioni, dubbi. Debbo pensarci bene. Mi sto preparando a "Torino Spiritualità". E la notte porta consiglio..."
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