Piero Stefani "Il Vangelo di Giuda secondo Amos Oz"
Il Regno
Parole delle Religioni
Il Vangelo di Giuda secondo Amos Oz
Piero Stefani
A fine anno un cancro ha stroncato la vita di uno scrittore. Non era dei minori. Era nato a Gerusalemme nel 1939 e scriveva in ebraico; le sue opere, tradotte in più di 40 lingue, sono state però conosciute negli idiomi del mondo.
Lui invece era universalmente noto con lo pseudonimo di Oz, in ebraico biblico «forza». Il nome, Amos, era invece quello registrato all’anagrafe. Il suo vero cognome era Klausner e, anche se occultato sotto un velo, quel nome di famiglia ha lasciato tracce.
Nella parte finale dell’ampia produzione di Oz, un posto particolare spetta a un romanzo che evoca la figura del più ambiguo tra i dodici apostoli di Gesù, Giuda Iscariota.1 Pretendere di conoscere tutte le ragioni che hanno indotto un romanziere a creare i suoi personaggi è operazione riservata solo a un critico tracotante, avanzare qualche ipotesi è invece plausibile; una tra esse ci fa ritornare al cognome anagrafico.
Un prozio di Oz fu Joseph Klausner, l’illustre studioso che nel 1922 pubblicò in ebraico un’autorevole monografia su Gesù. Il libro suscitò vivaci polemiche. Quella con il prozio non è una sbiadita parentela. Nella sua autobiografia – Una storia di amore e di tenebra – Oz ricorda l’ammonimento da lui ricevuto di considerare Gesù un ebreo tragico e ammirevole. Il sogno di Joseph era che nella nuova Gerusalemme ebraica Gesù potesse condividere con Spinoza la qualifica di fratello. Per Amos il problema di Gesù è questione di famiglia e, come tanto spesso capita nell’ambito familiare, anche in questo caso i rapporti non sono sempre lineari.
In Giuda Joseph Klausner è citato solo di sfuggita. Tuttavia non è peregrino ipotizzare un suo permanente influsso. Il fulcro della tesi di Klausner è che Gesù fu integralmente un ebreo. Il suo scopo era di ripristinare la purezza del messaggio biblico. Verso la fine del suo libro Klausner solleva, però, una complessa questione: quanto più si inserisce Gesù all’interno dell’ebraismo tanto più diventa difficile presentarlo come origine di un movimento destinato a distaccarsi completamente da quell’alveo: «Come avvenne che Gesù vivesse totalmente all’interno dell’ebraismo e tuttavia fu all’origine di un movimento che si separò dall’ebraismo, visto che ex nihilo nihil fit, nulla viene dal nulla o, più idiomaticamente, dove c’è fumo c’è fuoco?».2
La risposta dipanata da Klausner suggerisce che la maggioranza degli ebrei non poteva accogliere quell’insegnamento. Gesù si era certo formato alla fonte dell’ebraismo profetico e fino a un certo punto farisaico, tuttavia, radicalizzando le precedenti prospettive, «egli faceva dell’ebraismo qualcosa di così estremo che questo diventava in un certo senso, un non-ebraismo».3
Sembra quasi di dover concludere che il tentativo di essere fedele all’eccesso (la volontà di ripristinare la purezza del linguaggio biblico) sfoci in un tradimento, o forse in qualcosa di nuovo visto che, secondo Amos Oz, tra le due realtà vi è una stretta parentela. Nel corso di un’intervista il romanziere ha espresso in proposito il seguente parere: «E per quanto riguarda il tradimento: chi porta al mondo una cosa nuova, tradisce le cose vecchie. Traditore era il profeta Geremia, e per gli ebrei Gesù. E lo sono stati Lincoln, De Gaulle, Ben Gurion agli occhi della destra, perché il fondatore del nostro Stato ha rinunciato nel 1948 a metà della Terra d’Israele. Traditore è stato Rabin. E l’hanno ammazzato. Anche io sono stato più volte accusato di essere un traditore. Per me è come una medaglia al merito».4
Il tradire è cambiare
Il protagonista del romanzo di Oz – che tradotto alla lettera suonerebbe Il Vangelo sulla bocca di Giuda uomo di Qariyot (Iscariota) – è Shemuel Asch. Non si tratta di un nome scelto a caso; esso rimanda a quello dello scrittore yiddish di origine polacca Sholem Asch (all’anagrafe Szulim Asz), autore di una trilogia scritta tra il 1939 e il 1949, Il Nazareno, L’Apostolo [Paolo di Tarso], Maria.5
I romanzi furono duramente attaccati in alcuni contesti ebraici ortodossi e l’autore fu accusato di tradimento. I due romanzieri vedono la figura di Giuda però in modo diverso: per Sholem Asch l’apostolo tradisce perché ubbidisce a una richiesta precisa rivoltagli da Gesù; per Oz, come vedremo, le cose stanno diversamente.
Il giovane Shemuel Asch è alle prese con una tesi di dottorato lasciata a mezzo. Il suo titolo era Gesù in prospettiva ebraica. Si intuisce fin dal principio che la ricerca non giungerà mai a termine; tuttavia, siccome il bicchiere mezzo vuoto non aveva ancora del tutto rimosso il desiderio di diventare pieno, veniamo a sapere qualcosa della ricerca. In base a questa traccia, il lettore comprende che Shemuel avrebbe saputo rispondere al quesito posto da Joseph Klausner: il fuoco che suscitò il fumo del nuovo fu appiccato da Giuda Iscariota.
Secondo Shemuel Asch, Giuda fu l’unico tra i dodici apostoli a essere facoltoso, colto e giudeo (cioè originario della Giudea e non della Galilea). In accordo con le classi dirigenti di Gerusalemme, si era infiltrato tra i discepoli per controllare quell’uomo che compiva guarigioni e prodigi e impartiva insegnamenti di amore universale.
Iniziò per spiare, ma ben presto ne restò folgorato. Anzi, Giuda credette in Gesù più di ogni altro, compreso Gesù stesso. Fu lui a spingerlo a salire a Gerusalemme. Fu lui a convincerlo che il Padre avrebbe compiuto un miracolo capace di far entrare il mondo intero nel regno di Dio. Occorreva che a Gerusalemme avvenisse il prodigio più grande. Gesù doveva farsi crocifiggere, ma mentre si trovava là appeso avrebbe invocato il Padre, sarebbe stato ascoltato e, scendendo incolume dalla croce, avrebbe dimostrato coram populo la sua divinità.
Insomma, Gesù sarebbe risorto ancor prima di morire. Gesù credette a Giuda. Invocò il Padre, cercò di scendere dal patibolo; non ottenne alcuna risposta. Non gli restò che morire gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?».
Giuda, il primo e forse l’unico cristiano, s’accorse di essersi ingannato: Gesù non era Dio. Avrebbe dovuto comprenderlo già prima, quando Gesù cercò dei fichi in una stagione incongrua; invece di farli maturare per miracolo fu preso dall’ira: maledisse l’incolpevole fico che subito si seccò (cf. Mc 11,12-14). Fu un gesto umano, troppo umano. Giuda s’impiccò a un ramo di quell’albero maledetto.
Nuovi scenari politici per Israele
Nel 2006 la National Geographic Society promosse una campagna mediatica attorno a un’edizione del Vangelo di Giuda, testo gnostico forse della metà del II secolo. Da questo Vangelo apocrifo – di ardua e contrastata interpretazione – risulta che tra i discepoli solo Giuda avrebbe conosciuto la natura celeste di Gesù. Con ogni probabilità il testo (scoperto in circostanze non molto chiare negli anni Settanta del Novecento) coincide con quello a cui si riferiva Ireneo di Lione nella sua opera Contro le eresie.
Dopo avere descritto la dottrina della setta gnostica degli ofiti, Ireneo propone alcune osservazioni su certi gruppi a essa imparentati, dicendo: «Tutto questo, aggiungono, Giuda il traditore lo conosceva molto bene e, poiché era il solo dei discepoli a possedere la conoscenza della verità, portò a compimento il “mistero” del tradimento: è così che, grazie a lui, sono state dissolte tutte le cose terrestri e celesti. E a questo proposito producono uno scritto di loro composizione, che chiamano “Vangelo di Giuda”».6
Forse la suggestione proveniente non già dai contenuti di quel Vangelo ma dall’operazione propagandistica che lo ha reso noto su vasta scala non è stata estranea a Oz. Tuttavia, abbandonata ogni traccia gnostica, l’originalità del romanziere israeliano sta nel modo in cui egli coniuga in modo positivo la categoria di tradimento.
Il motivo più consistente che ispira la parte saggistica incuneata nel romanzo va ricercato nel fatto che Giuda non tradisce: sono altri ad averlo considerato traditore. Ciò, come si è visto, vale anche per varie figure storiche che hanno aperto nuovi orizzonti. Lo stesso può dirsi per il personaggio fantastico di Shaltiel Abrabanel, accanto a Giuda, l’altro grande «protagonista assente» del romanzo (all’epoca della vicenda era morto da anni).
Abrabanel, descritto come fiero avversario di Ben Gurion, è da tutti giudicato un traditore in quanto amico degli arabi e nemico della forma stato. «Penso che i patrioti sionisti saranno arrabbiati per un altro personaggio che ho inventato: Shaltiel Abrabanel (...) Secondo lui l’idea di un mondo diviso in stati nazionali è anacronistica. Abrabanel faceva parte di un’epoca precedente, ma forse era profeta del tempo a venire».7 Accanto alla questione della nascita del cristianesimo viene così posta quella collegata al sorgere dello Stato d’Israele.
La ricerca storiografica degli ultimi anni sta proponendo linee interpretative alternative rispetto alle visioni comuni di questi due grandi avvenimenti avvenuti a distanza di XIX secoli in seno al popolo ebraico. Si tratta, per ora, di ricerche accademiche ancora lungi dall’assumere lo statuto di ethos condiviso. Oz recepisce, su entrambi i fronti, alcuni di questi spunti e li rende letteratura. Quale sia la sorte futura di queste revisioni è questione ancora aperta davanti a noi.
1 A. Oz, Giuda, trad. it. E. Loewenthal, Feltrinelli, Milano 2014.
2 J. Klausner, Jesus of Nazareth, Macmillan, New York 1925, 369 (la prima edizione in ebraico risale al 1922).
3 Ivi, 376.
4 Dall’intervista di W. Goldkorn, «Amos Oz “Chi tradisce è capace di cambiare il mondo”», in La Repubblica, 20.10.2014.
5 S. Asch, Il Nazareno; Id., L’Apostolo, Castelvecchi, Roma 2013.
6 Cf. C. Gianotto, I Vangeli apocrifi, Il Mulino, Bologna 2009, 120-124.
7 Goldkorn, «Amos Oz “Chi tradisce è capace di cambiare il mondo”».
Parole delle Religioni
Il Vangelo di Giuda secondo Amos Oz
Piero Stefani
A fine anno un cancro ha stroncato la vita di uno scrittore. Non era dei minori. Era nato a Gerusalemme nel 1939 e scriveva in ebraico; le sue opere, tradotte in più di 40 lingue, sono state però conosciute negli idiomi del mondo.
Lui invece era universalmente noto con lo pseudonimo di Oz, in ebraico biblico «forza». Il nome, Amos, era invece quello registrato all’anagrafe. Il suo vero cognome era Klausner e, anche se occultato sotto un velo, quel nome di famiglia ha lasciato tracce.
Nella parte finale dell’ampia produzione di Oz, un posto particolare spetta a un romanzo che evoca la figura del più ambiguo tra i dodici apostoli di Gesù, Giuda Iscariota.1 Pretendere di conoscere tutte le ragioni che hanno indotto un romanziere a creare i suoi personaggi è operazione riservata solo a un critico tracotante, avanzare qualche ipotesi è invece plausibile; una tra esse ci fa ritornare al cognome anagrafico.
Un prozio di Oz fu Joseph Klausner, l’illustre studioso che nel 1922 pubblicò in ebraico un’autorevole monografia su Gesù. Il libro suscitò vivaci polemiche. Quella con il prozio non è una sbiadita parentela. Nella sua autobiografia – Una storia di amore e di tenebra – Oz ricorda l’ammonimento da lui ricevuto di considerare Gesù un ebreo tragico e ammirevole. Il sogno di Joseph era che nella nuova Gerusalemme ebraica Gesù potesse condividere con Spinoza la qualifica di fratello. Per Amos il problema di Gesù è questione di famiglia e, come tanto spesso capita nell’ambito familiare, anche in questo caso i rapporti non sono sempre lineari.
In Giuda Joseph Klausner è citato solo di sfuggita. Tuttavia non è peregrino ipotizzare un suo permanente influsso. Il fulcro della tesi di Klausner è che Gesù fu integralmente un ebreo. Il suo scopo era di ripristinare la purezza del messaggio biblico. Verso la fine del suo libro Klausner solleva, però, una complessa questione: quanto più si inserisce Gesù all’interno dell’ebraismo tanto più diventa difficile presentarlo come origine di un movimento destinato a distaccarsi completamente da quell’alveo: «Come avvenne che Gesù vivesse totalmente all’interno dell’ebraismo e tuttavia fu all’origine di un movimento che si separò dall’ebraismo, visto che ex nihilo nihil fit, nulla viene dal nulla o, più idiomaticamente, dove c’è fumo c’è fuoco?».2
La risposta dipanata da Klausner suggerisce che la maggioranza degli ebrei non poteva accogliere quell’insegnamento. Gesù si era certo formato alla fonte dell’ebraismo profetico e fino a un certo punto farisaico, tuttavia, radicalizzando le precedenti prospettive, «egli faceva dell’ebraismo qualcosa di così estremo che questo diventava in un certo senso, un non-ebraismo».3
Sembra quasi di dover concludere che il tentativo di essere fedele all’eccesso (la volontà di ripristinare la purezza del linguaggio biblico) sfoci in un tradimento, o forse in qualcosa di nuovo visto che, secondo Amos Oz, tra le due realtà vi è una stretta parentela. Nel corso di un’intervista il romanziere ha espresso in proposito il seguente parere: «E per quanto riguarda il tradimento: chi porta al mondo una cosa nuova, tradisce le cose vecchie. Traditore era il profeta Geremia, e per gli ebrei Gesù. E lo sono stati Lincoln, De Gaulle, Ben Gurion agli occhi della destra, perché il fondatore del nostro Stato ha rinunciato nel 1948 a metà della Terra d’Israele. Traditore è stato Rabin. E l’hanno ammazzato. Anche io sono stato più volte accusato di essere un traditore. Per me è come una medaglia al merito».4
Il tradire è cambiare
Il protagonista del romanzo di Oz – che tradotto alla lettera suonerebbe Il Vangelo sulla bocca di Giuda uomo di Qariyot (Iscariota) – è Shemuel Asch. Non si tratta di un nome scelto a caso; esso rimanda a quello dello scrittore yiddish di origine polacca Sholem Asch (all’anagrafe Szulim Asz), autore di una trilogia scritta tra il 1939 e il 1949, Il Nazareno, L’Apostolo [Paolo di Tarso], Maria.5
I romanzi furono duramente attaccati in alcuni contesti ebraici ortodossi e l’autore fu accusato di tradimento. I due romanzieri vedono la figura di Giuda però in modo diverso: per Sholem Asch l’apostolo tradisce perché ubbidisce a una richiesta precisa rivoltagli da Gesù; per Oz, come vedremo, le cose stanno diversamente.
Il giovane Shemuel Asch è alle prese con una tesi di dottorato lasciata a mezzo. Il suo titolo era Gesù in prospettiva ebraica. Si intuisce fin dal principio che la ricerca non giungerà mai a termine; tuttavia, siccome il bicchiere mezzo vuoto non aveva ancora del tutto rimosso il desiderio di diventare pieno, veniamo a sapere qualcosa della ricerca. In base a questa traccia, il lettore comprende che Shemuel avrebbe saputo rispondere al quesito posto da Joseph Klausner: il fuoco che suscitò il fumo del nuovo fu appiccato da Giuda Iscariota.
Secondo Shemuel Asch, Giuda fu l’unico tra i dodici apostoli a essere facoltoso, colto e giudeo (cioè originario della Giudea e non della Galilea). In accordo con le classi dirigenti di Gerusalemme, si era infiltrato tra i discepoli per controllare quell’uomo che compiva guarigioni e prodigi e impartiva insegnamenti di amore universale.
Iniziò per spiare, ma ben presto ne restò folgorato. Anzi, Giuda credette in Gesù più di ogni altro, compreso Gesù stesso. Fu lui a spingerlo a salire a Gerusalemme. Fu lui a convincerlo che il Padre avrebbe compiuto un miracolo capace di far entrare il mondo intero nel regno di Dio. Occorreva che a Gerusalemme avvenisse il prodigio più grande. Gesù doveva farsi crocifiggere, ma mentre si trovava là appeso avrebbe invocato il Padre, sarebbe stato ascoltato e, scendendo incolume dalla croce, avrebbe dimostrato coram populo la sua divinità.
Insomma, Gesù sarebbe risorto ancor prima di morire. Gesù credette a Giuda. Invocò il Padre, cercò di scendere dal patibolo; non ottenne alcuna risposta. Non gli restò che morire gridando: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?».
Giuda, il primo e forse l’unico cristiano, s’accorse di essersi ingannato: Gesù non era Dio. Avrebbe dovuto comprenderlo già prima, quando Gesù cercò dei fichi in una stagione incongrua; invece di farli maturare per miracolo fu preso dall’ira: maledisse l’incolpevole fico che subito si seccò (cf. Mc 11,12-14). Fu un gesto umano, troppo umano. Giuda s’impiccò a un ramo di quell’albero maledetto.
Nuovi scenari politici per Israele
Nel 2006 la National Geographic Society promosse una campagna mediatica attorno a un’edizione del Vangelo di Giuda, testo gnostico forse della metà del II secolo. Da questo Vangelo apocrifo – di ardua e contrastata interpretazione – risulta che tra i discepoli solo Giuda avrebbe conosciuto la natura celeste di Gesù. Con ogni probabilità il testo (scoperto in circostanze non molto chiare negli anni Settanta del Novecento) coincide con quello a cui si riferiva Ireneo di Lione nella sua opera Contro le eresie.
Dopo avere descritto la dottrina della setta gnostica degli ofiti, Ireneo propone alcune osservazioni su certi gruppi a essa imparentati, dicendo: «Tutto questo, aggiungono, Giuda il traditore lo conosceva molto bene e, poiché era il solo dei discepoli a possedere la conoscenza della verità, portò a compimento il “mistero” del tradimento: è così che, grazie a lui, sono state dissolte tutte le cose terrestri e celesti. E a questo proposito producono uno scritto di loro composizione, che chiamano “Vangelo di Giuda”».6
Forse la suggestione proveniente non già dai contenuti di quel Vangelo ma dall’operazione propagandistica che lo ha reso noto su vasta scala non è stata estranea a Oz. Tuttavia, abbandonata ogni traccia gnostica, l’originalità del romanziere israeliano sta nel modo in cui egli coniuga in modo positivo la categoria di tradimento.
Il motivo più consistente che ispira la parte saggistica incuneata nel romanzo va ricercato nel fatto che Giuda non tradisce: sono altri ad averlo considerato traditore. Ciò, come si è visto, vale anche per varie figure storiche che hanno aperto nuovi orizzonti. Lo stesso può dirsi per il personaggio fantastico di Shaltiel Abrabanel, accanto a Giuda, l’altro grande «protagonista assente» del romanzo (all’epoca della vicenda era morto da anni).
Abrabanel, descritto come fiero avversario di Ben Gurion, è da tutti giudicato un traditore in quanto amico degli arabi e nemico della forma stato. «Penso che i patrioti sionisti saranno arrabbiati per un altro personaggio che ho inventato: Shaltiel Abrabanel (...) Secondo lui l’idea di un mondo diviso in stati nazionali è anacronistica. Abrabanel faceva parte di un’epoca precedente, ma forse era profeta del tempo a venire».7 Accanto alla questione della nascita del cristianesimo viene così posta quella collegata al sorgere dello Stato d’Israele.
La ricerca storiografica degli ultimi anni sta proponendo linee interpretative alternative rispetto alle visioni comuni di questi due grandi avvenimenti avvenuti a distanza di XIX secoli in seno al popolo ebraico. Si tratta, per ora, di ricerche accademiche ancora lungi dall’assumere lo statuto di ethos condiviso. Oz recepisce, su entrambi i fronti, alcuni di questi spunti e li rende letteratura. Quale sia la sorte futura di queste revisioni è questione ancora aperta davanti a noi.
1 A. Oz, Giuda, trad. it. E. Loewenthal, Feltrinelli, Milano 2014.
2 J. Klausner, Jesus of Nazareth, Macmillan, New York 1925, 369 (la prima edizione in ebraico risale al 1922).
3 Ivi, 376.
4 Dall’intervista di W. Goldkorn, «Amos Oz “Chi tradisce è capace di cambiare il mondo”», in La Repubblica, 20.10.2014.
5 S. Asch, Il Nazareno; Id., L’Apostolo, Castelvecchi, Roma 2013.
6 Cf. C. Gianotto, I Vangeli apocrifi, Il Mulino, Bologna 2009, 120-124.
7 Goldkorn, «Amos Oz “Chi tradisce è capace di cambiare il mondo”».