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Sorelle di Bose "La beatitudine degli invisibili"

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Luca 21, 1-4

Oggi il vangelo ci insegna a riconoscere Gesù come il racconto di Dio, non solo dalle parole e dai gesti ma anche dallo sguardo. E noi riconosciamo in lui lo sguardo del Signore Dio narrato fin dall’inizio nella Bibbia, quello sguardo che, seme e frutto della sua compassione, diede inizio e ancora accompagna la storia della salvezza.


Come Dio udì il sangue di Abele, la sete di Ismaele nel deserto, il dolore degli stranieri a Sodoma e il grido della dura schiavitù di Israele in Egitto senza mai distogliere lo sguardo dal dolore che ascoltava, sempre Dio ode e guarda ciò che noi non vogliamo udire né vedere. Le persone povere e sofferenti, in tutte le loro declinazioni antiche e nuove, che la Bibbia riassume con l’espressione «lo straniero, l’orfano e la vedova», sono la macroscopica evidenza della storia che noi non vogliamo vedere.

Noi che temiamo tremendamente la povertà e l’esclusione come caparra e ombra della nostra morte, fuggiamo via con lo sguardo dagli sventurati, come se il solo vederli potesse contagiarci. Li rendiamo invisibili per noi e passiamo sempre oltre, come se ci fosse un oltre in cui cercare e servire il Signore (cfr. Luca 10, 32) e non fosse proprio il Signore a venirci incontro nei poveri, bisognosi e dolenti (cfr. Matteo 25). I ricchi adornati invece, come ci ricorda la lettera di Giacomo (cfr. 2, 5-7), attirano il nostro sguardo e il nostro encomio, rispettoso e/o invidioso che sia.

Ma Gesù fa il contrario, e dona la beatitudine ai poveri e agli invisibili. Gesù qui, nel tempio, vede dei ricchi che gettano offerte nel tesoro e vede anche una povera vedova fare lo stesso. Gesù aveva appena detto di guardarsi da coloro che si fingono pii per mettersi in mostra. L’ipocrisia, l’atteggiarsi a pii e puri mentre invece si vive divorando le case delle vedove, rapinando le persone più povere tra i poveri, ha lo scopo di farsi guardare con ammirazione dalla gente. Oggi Gesù ci insegna a guardare ciò che non attira il nostro sguardo e che, proprio per questo, è l’oggetto privilegiato dello sguardo di Dio. Come il Servo del Signore che non ha né bellezza né splendore per attirare i nostri sguardi, come i giusti e le vittime della storia che così spesso desideriamo ci siano tolti dalla vista, così questa povera vedova ci viene indicata da Gesù come la rivelazione che fu per lui: quell’evidenza che a noi resta nascosta. In questa povera donna che dà, nella libertà di chi è invisibile, tutto ciò che ha, Gesù vede l’amore invisibile del nostro Dio che ci ha donato se stesso nella sua Parola e nel suo Spirito. Ne resta ammaliato e ce la indica come icona per chi voglia seguirlo: confidando nel Signore, amare non dandosi pensiero della propria vita.

Gesù vede narrata, in quel gesto di totale gratuità, la propria vita e anche la propria beatitudine. Vede in lei il proprio spendersi e donarsi senza calcolo, la propria libertà e beatitudine, quella di chi confida solo nella tenerezza dello sguardo del Signore, e può amare con tutto se stesso. Come il mercante che, pieno di gioia, vende tutto per comperare la perla preziosa che è la confidenza con il Signore. Così come si riconoscerà nel gesto, giudicato dai discepoli uno spreco scandaloso, del preziosissimo nardo che una donna gli verserà sul capo poco prima che venga ucciso, l’unica persona che in quell’ora ebbe uno sguardo sulla verità di Gesù.

È in vista della stessa beatitudine che Gesù ci supplica di non badare all’apparenza, perché è triste disertare l’interiorità per attirare su di sé lo sguardo altrui invece di essere responsabile del proprio sguardo sugli altri. Come sempre il Vangelo è di un’attualità sconvolgente: mai come ora, forse, il valore sociale sta nell’apparire su uno schermo non per vedere ma per essere visti e ammirati.

Con il suo sguardo penetrante Gesù vuole consolare tutti gli invisibili, resi tali dal nostro sguardo angosciato e mondano che li esclude, e svegliare tutti noi alla stessa consolazione.

a cura delle sorelle di Bose
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