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Michele Luzzatto "Ebrei antichi, ebrei moderni"

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L'uscita di un saggio, firmato da Barry W. Holtz, dedicato alla figura del martire ebreo Rabbi Akiva, è un'occasione per fare alcune precisazioni sull'evoluzione della religione ebraica (da Il Libraio)

La «teologia della sostituzione» è una dottrina per la quale dopo la nascita di Gesù, Dio avrebbe stretto il suo patto con i cristiani, revocandolo agli ebrei.
Secondo questa visione, dunque, il cristianesimo si sostituiva completamente al giudaismo, ne ereditava i testi sacri, li implementava coi Vangeli e continuava per questa via il rapporto privilegiato tra Dio e gli uomini.

Corollario necessario della dottrina era la decadenza degli ebrei da «popolo eletto» e di fatto la loro condanna per apostasia: Dio stesso aveva spostato le sue preferenze dagli ebrei ai cristiani, e quindi per restare devoti era necessario convertirsi al cristianesimo e abbandonare l’errore. Chi restava ebreo nonostante tutto, di fatto si allontanava dal Signore ed era per questo perseguibile.

Per fortuna oggi la teologia della sostituzione non gode più di molto credito nella Chiesa, ma per secoli è stata la traccia costante del complesso rapporto tra i cristiani e gli ebrei, con conseguenze nefaste in più di un’occasione. E sebbene la Chiesa oggi sia molto diversa, la pancia profonda del cristianesimo ancora fatica a liberarsi del tutto di questa concezione, tanto che per molti il cristianesimo sarebbe appunto il Verus Israel, mentre l’ebraismo – avendo rifiutato di riconoscere il messia – sarebbe quindi un «Israele falso».

Uno dei prodotti collaterali di questa filosofia teologica è ancora riconoscibile nei programmi di storia delle nostre scuole, sempre piuttosto lenti a integrare le novità. Nei manuali scolastici, infatti (in tutti e tre i gradi della scuola dell’obbligo), gli ebrei generalmente compaiono due sole volte: dapprima nell’antichità, per spiegarne la nascita, dalle origini fino ai tempi di Cristo; dopo, i cristiani ne prendono il posto e quindi loro non servono più. Poi gli ebrei ricompaiono nella Shoah, dove se ne parla in relazione al loro sterminio durante la Seconda guerra mondiale. In mezzo, per duemila anni, gli ebrei non esistono. E siccome la parola – «ebrei» – è la stessa, i ragazzi (a meno della buona volontà di qualche professore illuminato) li identificano come una sola entità: gli ebrei dell’antico Santuario di Gerusalemme e quelli del Ghetto di Varsavia sono per loro la stessa cosa.

Ora, lasciando da parte un’immaginifica continuità genetica – argomento assolutamente risibile che qui non voglio neppure prendere in considerazione –, anche dal punto di vista culturale e religioso la cosa è del tutto insensata. La religione ebraica antica, fondata sulle cerimonie sacrificali nel Tempio di Gerusalemme, officiate da una casta sacerdotale, si è definitivamente estinta nel 135 d.C., quando i romani rasero al suolo il Santuario reprimendo nel sangue la rivolta di Bar Kochba. Gerusalemme venne completamente rifatta, cambiò nome in Aelia Capitolina, venne eretto un tempio a Giove dove sorgeva il Santuario e ne venne interdetto l’accesso agli ebrei. Fu la fine di quel tipo di ebraismo, che non rinacque mai più.

Ma altri ebrei, scampati alle persecuzioni romane, si organizzarono in piccole comunità, in Palestina e a Babilonia, e si interrogarono su come affrontare il futuro dopo questa catastrofe. Si riunirono attorno alle figure più colte e inizarono a elaborare un modo per mantenere in vita quanto di salvabile ancora restava. Nel corso di qualche secolo si venne così lentamente affermando una nuova religione, che sostituì il Tempio di Gerusalemme con lo studio e l’interpretazione puntuale della Torah, affidato a «rabbini» (maestri) che elaborarono un complesso sistema giuridico, ancora oggi alla base dell’ebraismo contemporaneo. Il nucleo di questo cambiamento è attestato nel Talmud, un’opera colossale e rapsodica, difficile e pluristratificata, giunta intatta fino a noi e fonte costante, nei secoli, di discussioni e studi.

Si chiama ancora «ebraismo», ma è una cosa decisamente diversa da quella che conobbe Gesù. Il nucleo (mitologico o reale) di questa svolta è probabilmente un uomo di nome Akiva, che nella tradizione nacque nel 50 d.C. e morì martirizzato nel 137 d.C. A questo martire ebreo e alla svolta che l’ebraismo vide, in parte grazie a lui, è dedicato il libro Rabbi Akiva di Barry W. Holtz.

Per approfondire: 
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