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Il Dalai Lama ordina: «Giovani, ribellatevi!»

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Il Dalai Lama ordina: «Giovani, ribellatevi!»
di Giuliano Boccali
in “Il Sole 2 Ore” del 29 luglio 2018

«A ottantadue anni sono prossimo all’arrivederci , pronto a dirvi: Bye bye, my dear young brothers and sisters!». Così esordisce il Dalai Lama nell’allocuzione ai giovani del mondo intero che inaugura il secondo capitolo del suo Ribellatevi!, con un epilogo della tibetologa e sua collaboratrice Sofia Stril-Rever, pubblicato di recente in Italia da Garzanti nella traduzione di Giuseppe Maugeri.

La prosecuzione dell’esordio, ben lontana dalle malinconie – che certo non sono nelle corde affettive di Sua Santità –, è un’appassionata dichiarazione di appartenenza «al futuro e alla gioventù del mondo».
Quale futuro? Quale la ribellione che suggerisce il felice titolo italiano dell’opera? L’originale è in francese e suona, tradotto letteralmente: «Fate la rivoluzione», con evidente, poi nel testo esplicito riferimento alla Rivoluzione francese e al suo motto per eccellenza: Liberté, Egalité, Fraternité, di cui Tenzin Gyatso si dichiara discepolo con la spregiudicatezza di visione che lo distingue e che ha sempre distinto i maestri spirituali autentici, non solo buddhisti.
Ma se questa è una dichiarazione forte di appartenenza, altrettanto radicale è la critica del limite inerente finora a tutte le rivoluzioni: non solo quello delle conseguenze di ciascuna, che sia francese, bolscevica o culturale, conseguenze come «spargimenti di sangue, vandalismi e terrore», ma quello fondamentale di non avere «trasformato l’animo umano in maniera radicale». Perché la rivoluzione alla quale il Dalai Lama sollecita è quella della pace e della compassione. L’alternativa da lui espressa con straordinaria lucidità è inappellabile: «se sprofondate nella violenza – dice ai giovani – assisterete all’agonia dell’umanità. Il XXI secolo sarà il secolo della pace o non sarà affatto». Colpisce che la previsione, o forse profezia, di Sua Santità ritorni con termini quasi identici in altre grandi coscienze religiose contemporanee, per esempio il mistico benedettino-zen Willigis Jäger .
Il rischio attuale è senz’appello, ma fortissima nel Dalai Lama è una fede pervasiva che avanza in diverse direzioni: la prima è quella delle straordinarie possibilità offerte ai «nativi digitali» della «prima generazione globalizzata dalle tecnologie dell’informazione», possibilità che permettono ai giovani di mobilitarsi in gran numero «in nome della riconciliazione» e per finalità umanitarie.
La seconda è nel sostegno fornito dalle neuroscienze, di cui il Dalai Lama è un appassionato cultore, da decenni in dialogo assiduo con diversi specialisti di grandi università soprattutto statunitensi, da quella di Stanford alla Emory University di Atlanta al MIT.
Le neuroscienze forniscono alla compassione un fondamento biologico, dimostrando che favorisce la neurogenesi, ossia la formazione di neuroni nuovi, laddove l’aggressività agisce in senso opposto riducendo «lo sviluppo dei circuiti neurali».
La compassione dunque, dalla gestazione del nascituro e fino all’età adulta e anziana, rappresenta un’attitudine altamente benefica: quando la mente ne è impregnata, «i geni dello stress vengono inibiti e la biochimica cerebrale si modifica, generando gli ormoni della felicità».
Tuttavia la fede decisiva espressa dal Dalai Lama, non solo con le parole ma con i suoi atteggiamenti e attività, è quella nella condivisione e nell’altruismo, che costituiscono per lui il fondo dell’essere umano e precedono ogni appartenenza religiosa o ideologica; riguardo anzi alle religioni, Sua Santità ha preso atto da tempo del loro fallimento, come appare evidente anche da un suo libro precedente di qualche anno, La felicità al di là della religione, dove sostiene la necessità di instaurare un’etica laica sostanziata appunto dalla non-violenza, dalla compassione, dall’amicizia spirituale.
I fondamenti della rivoluzione alla quale i giovani sono chiamati risalgono alle origini stesse del buddhismo e ad alcuni suoi sviluppi salienti, ma sono qui introdotti dal Dalai Lama con grande lievità, senza essere sviluppati dottrinalmente, declinati però in maniera assolutamente contemporanea data la natura e la destinazione del suo discorso.
Vale in ogni caso la pena di richiamarli: innanzi tutto la “consapevolezza”. Consapevolezza significa, sul piano più esterno ma efficacemente propulsivo di fronte ai rischi attuali, coscienza della drammatica situazione in cui versa il pianeta per la distribuzione «assolutamente inaccettabile» delle ricchezze, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, i «modi di produzione criminali», gli sprechi insensati e i relativi, intollerabili quantitativi di rifiuti da smaltire.
In modo sintetico, ma con dati statistici aggiornati, il Dalai Lama offre in proposito diversi esempi, come questo: «Ogni secondo, duecentonove chilogrammi di plastica vengono scaricati negli oceani» per finire «nello stomaco di uccelli e mammiferi marini» uccidendoli. L’appello ai giovani non lascia dubbi, ribadendo quanto già è stato affermato in premessa: «… se siete la prima generazione della storia posta di fronte a una minaccia di estinzione della vita sul nostro pianeta, siete anche l’ultima a potervi porre rimedio. Dopo di voi sarà troppo tardi». Ma la consapevolezza muove da un piano più interno che coinvolge gli stati emotivi e affettivi, oggi tremendamente esposti agli effetti dei media, spesso provocati intenzionalmente.
Come già in alcuni mirabili discorsi del Risvegliato, consapevolezza «delle proprie emozioni e dei propri fantasmi» non significa affatto repressione, ma certo nemmeno supina acquiescenza o addirittura complicità. Significa invece attenzione, osservazione, comprensione dei moti psicologici, nei quali abita la causa (e la responsabilità) della maggior parte dei problemi della vita di ciascuno.
Lo sguardo dev’essere spassionato, per consentire la sostituzione delle «emozioni distruttive» con sentimenti di apertura e di unione, come i «quattro pensieri incommensurabili di amore, compassione, gioia ed equanimità» della tradizione buddhista esplicitamente evocati da Sua Santità.
Qui la consapevolezza si salda con l’altro più grande (e filosoficamente arduo) principio della visione buddhista: l’interdipendenza già enunciata dal Buddha, poi straordinariamente approfondita e ampliata da Nagarjuna (I-II sec. d.C.), uno dei maestri del Grande Veicolo; il Dalai Lama esplicitamente lo ricorda confrontandone le conclusioni con le implicazioni più complesse della meccanica quantistica, da lui discusse con il grande fisico (ed ex presidente dell’Unione Indiana) Abdul Kalam.
In sintesi: ogni manifestazione nell’universo, apparentemente semplice come una goccia d’acqua, o invece composita come la condizione di un rapporto interpersonale o come un ecosistema in un momento determinato, non è un fatto esistente di per sé, ma risulta istante per istante dall'aggregazione di fattori molteplici; esaminando a fondo il processo, questi coinvolgono l’universo intero.
In altre parole, la manifestazione di tutte le cose si fonda su una continua serie di relazioni con altre; l’apparire di una determina (o meglio sollecita) necessariamente l’apparire di un’altra in una rete di sequenze causali che dà le vertigini: la consapevolezza di questa catena causale, dell’«interdipendenza», costituisce per la tradizione buddhista la vittoria sull’ignoranza, il “risveglio”.
Per gli esseri senzienti, e gli esseri umani in particolare, le conseguenze di questa realtà delle cose sono incalcolabili, soprattutto sul piano affettivo, etico e sociale. Infatti, se tutti gli esseri sono legati gli uni agli altri, e con pari intensità al mondo naturale, un comportamento egoistico, oltre che dannoso, è completamente illogico. Nella rete infinita dell’interdipendenza nulla infatti va perso: non solo un’azione, ma anche un pensiero o un’idea malevola non si estingue, non rimane mai senza effetti, ma provoca necessariamente conseguenze pericolose, nocive, magari lontanissime da chi ha innescato la catena negativa.
Vale fortunatamente, e nella stessa misura, o forse in misura maggiore, l'opposto: anche l’atto, l’intenzione, il pensiero improntato per esempio alla benevolenza o alla gratitudine, sono necessariamente fattori di conseguenze positive. Questa consapevolezza è il fondamento della compassione che il Dalai Lama addita ai giovani come l’unica via per il dissolvimento della condizione attuale e in questa si radica la sua inattaccabile, commovente fiducia.
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