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Brunetto Salvarani “I giorni del mondo” di rav Laras

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«Bisogna, e l’ho ribadito molte volte, amare Israele con un amore aperto a tutto e a tutti. Bisogna amare la cultura ebraica di oggi, la loro musica, la loro letteratura, la loro storia, il loro modo di pregare, il loro modo di fare festa. Solo un amore così permette il superamento dei timori e delle difficoltà e dà al dialogo quella gioia e quell’umanità che si addice all’incontro tra amici». Non fu solo per un ovvio omaggio al card. Martini, scomparso nel 2012, che riprese queste tesi a lui care per introdurre la collana EDB Cristiani ed ebrei, che si è deciso di riprodurle in apertura dell’ultima fatica di rav Giuseppe Laras, «Ricordati i giorni del mondo».[1]

La scelta, infatti, è direttamente collegata ai forti sentimenti di amicizia, stima e vicinanza umana che hanno contraddistinto queste due eminenti personalità, rispettivamente già arcivescovo di Milano e rabbino capo della locale comunità ebraica, il cui impegno nel dialogo reciproco hanno reso quella città, per almeno due decenni, un punto di riferimento qualificato per chiunque desiderasse accostarsi all’incontro ebraico-cristiano, o almeno cercare di comprenderne la centralità strategica nel tempo attuale.

Accanto ai due, il terzo nome che non può essere dimenticato è quello di Paolo De Benedetti, morto lo scorso 11 dicembre. Tre uomini coraggiosi che ci sono stati maestri di vita e di pensiero, fino alla fine.

Una voce autorevole del rabbinato europeo

Ora anche rav Laras ha concluso i suoi giorni del mondo, lo scorso 15 novembre. Era da tempo malato, ma una scomparsa come la sua, in chi l’ha conosciuto e in quanti ne hanno stimato la tempra sicura anche nei momenti più bui degli ultimi anni, non può non colpire, e addolorare profondamente.

Quella di Laras, infatti, ha a lungo rappresentato una delle voci più autorevoli del rabbinato europeo: oltre al suo impegno diretto alla guida della comunità del capoluogo lombardo dal 1980 al 2005 (la seconda in Italia per numero di aderenti, circa settemila, dopo Roma, e una delle più composite per l’apporto di numerosi ebrei immigrati dai più svariati paesi), è stato direttore della rivista La Rassegna Mensile di Israel e per più di vent’anni presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana, e poi del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia.

Prima, era stato rabbino ad Ancona e a Livorno, e tornerà ad Ancona alla fine della stagione milanese.

Tra i rapporti significativi con esponenti eminenti dell’ebraismo italiano vanno ricordate le intense relazioni intercorse con il rabbino Elio Toaff, con Dante Lattes, con Amos Luzzatto e con molti altri.

Nel gennaio 2010 aveva suscitato molto scalpore la decisione di Laras di non presenziare alla visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma (come pure l’intervista da lui rilasciata a una nota rivista tedesca a questo stesso proposito), in seguito al pronunciamento di papa Ratzinger, alla vigilia della sua visita al Tempio, sulle «virtù eroiche» di Pio XII, il cui comportamento durante gli anni cupi della seconda guerra mondiale, secondo buona parte dell’ebraismo internazionale, resta ancora da chiarire.

Originario di Torino, dove era nato nel 1935, gli studi di Laras si sono rivolti soprattutto al pensiero ebraico medievale, e in particolare a Maimonide, portandolo a ricoprire diversi incarichi accademici; fra i suoi più recenti contributi a stampa si possono citare almeno Meglio in due che soli. L’amore nel pensiero di Israele (Garzanti 2009) e La mistica ebraica (Jaca Book 2012).

La storia del pensiero ebraico

Per cogliere almeno parzialmente la rilevanza del suo lavoro culturale, si possono riprendere in mano i due volumi sopra citati, Ricordati i giorni del mondo. Che sono in realtà una vera e propria storia del pensiero ebraico – dalla Bibbia alla contemporaneità – capace di coniugare la sinteticità (in caso contrario, sarebbe stata necessaria un’enciclopedia!), il carattere divulgativo e di materiale accessibile a un largo pubblico, e un’indubbia completezza. Un’opera della maturità, composta dopo parecchi decenni di sforzo intellettuale.

E impresa tanto più complessa, se si considera il fatto che, nel lungo dipanarsi attraverso i secoli della riflessione ebraica, le stagioni, i movimenti e i singoli esponenti non risultano quasi mai in sé, per così dire, omogenei e compatti, risentendo piuttosto nella loro formazione di contributi, interferenze e contatti provenienti dall’esterno, che, mentre contribuiscono a plasmarli, in qualche misura, nel contempo, parzialmente li snaturano rispetto alla loro originale componente di base.

Per fare un esempio, è lo stesso Laras che cita l’autentico shock vissuto dai commentatori talmudici, ancorati in genere a proprie categorie ermeneutiche, nell’impatto con la cultura greca, e la conseguente nascita di una sintesi composita, le cui proporzioni e i cui contenuti si sarebbero mostrati nella loro più completa evidenza solo nell’età medievale.

Da questo punto di vista, i due tomi non presentano solo una (comunque utilissima) storia della filosofia ebraica, ma una rassegna articolata dell’inesauribile pensare che testi biblici, talmudici, mistici e giuridici – la vastissima tradizione della Halakhah – sono stati in grado di accumulare accanto alle congetture filosofiche. Non va dimenticato, infatti, il ruolo primario dello studio – anzi, il dovere di leggere, meditare e osservare i tomi della sua antica tradizione – ricoperto nel difficile conservarsi dell’identità ebraica in perenne diaspora.

Arduo porre attenzione, per esemplificare il metodo adottato, su un periodo rispetto a un altro: proviamo a farlo quindi sul tentativo dell’autore di mappare il Novecento ebraico solo per la sua oggettiva complessità, tanto per gli eventi occorsi durante il secolo breve, quanto per le plurime sollecitazioni offerte dalla cultura occidentale e per le direzioni autonome, e non di rado tra loro divergenti, imboccate dal pensiero ebraico stesso. Si susseguono, fra gli avvenimenti decisivi, la diffusione dei Protocolli dei savi anziani di Sion, la tragedia della Shoà, la nascita dello stato d’Israele e la disfatta della filosofia (così viene definita l’adesione di Heidegger al nazismo).

Laras si sofferma, in particolare, sulle grandi istituzioni rabbiniche statunitensi tra riforma e ortodossia; sulla simbiosi ebraico-tedesca (Cohen, Baeck); sugli sviluppi del sionismo in prospettiva spirituale; sulla straordinaria coppia di studiosi rappresentata dagli amici Rosenzweig e Buber; e ancora sull’apporto israeliano, sui migliori rappresentanti del neoebraismo (da Lévinas a Jonas) e su due pensatrici sui generis quali Hannah Arendt e Nechama Leibowitz.

Una fioritura davvero straordinaria, anche in considerazione che non sempre e forse addirittura raramente le vicende fondamentali del pensiero ebraico, in quella fase, sbocciarono in ambienti accademici: ma molto più di frequente si svolsero all’interno degli ambienti sionistici o tra le biblioteche delle scuole rabbiniche, le yeshivóth, e dei principali Seminari rabbinici statunitensi e israeliani.

Si pensi, per indicare un personaggio illustre, alla figura atipica di un Walter Benjamin, ritenuto a buon diritto dall’autore uno degli intellettuali più acuti e sensibili del XX secolo, sempre al di fuori delle correnti e sfuggente a qualsiasi classificazione: che elaborò un’originale filosofia della storia, secondo cui la rottura rivoluzionaria con il presente, accompagnata dal recupero della tradizione teologica e dall’afflato messianico, avrebbe potuto finalmente condurre alla redenzione dell’uomo. O all’alto magistero di un rav David Hartman e al suo Shalom Hartman Institute capace di forgiare generazioni di appassionati del Talmud, del quale Laras mette in luce la comprensione dell’ebraismo in quanto tradizione interpretativa, che non teme di confrontarsi con la diversità religiosa e con la necessità di dare un nuovo valore all’idea di mitzvah, di precetto.

La fedeltà e il rispetto

Entrambi i volumi confermano il notevole, e non sempre ben evidenziato, contributo che l’ebraismo italiano ha saputo fornire a quello mondiale: basterebbe ricordare nomi poco noti ai non addetti ai lavori ma di sicuro spessore, da Elia Delmedigo, maestro di Qabbalah di un Pico della Mirandola e autorevole traduttore di Averroè, o il veneziano Leone Ebreo, umanista, che ha firmato dei Dialoghi d’amore (Roma 1535), in cui si fondono in chiave neoplatonica teorie ermetiche, orfismo, mistica ebraica e araba, o ancora il medico e rabbino di Cesena Ovadyah Sforno; fino a un gigante del Novecento ebraico come rav Dante Lattes, scrittore, giornalista, educatore nativo di Pitigliano, la piccola Gerusalemme, e allievo a Livorno di Elia Benamozegh. Il quale, nel settembre del ’38, sul settimanale Israel così si esprimeva: «Gli ebrei d’Italia si trovano di fronte a una grande prova, la quale richiede il sostegno di tutta la loro millenaria fede (…) l’idea di Israele e la storia di Israele, per quanto noi siamo umili e vilipesi, sono grandi cose: sono idea e storia sacra (…) questa idea noi la dobbiamo preservare con amore e questa storia noi la dobbiamo proseguire con fede, anche se ciò costi grandi pene e grandi rinunzie».

Ed è nel nome di questo dovere etico-religioso, si potrebbe dire, che rav Laras ci ha donato questo frutto prezioso della sua ricerca. Nella stessa direzione va letto il titolo, infatti, tratto da Deuteronomio 32,7: «Ricordati dei giorni del mondo, riflettete sugli anni delle generazioni; interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno».

Ancora di più, oggi, esso ci appare un vero e proprio testamento intellettuale di un uomo che ha saputo custodire il rigore e l’apertura mentale, la fedeltà alla propria tradizione e il rispetto dei goyim. E che ha scelto, infine, di essere sepolto in Eretz Israel, a Gerusalemme.

[1] G. LARAS, “Ricordati i giorni del mondo”, voll 1-2, EDB, Bologna 2014 (vol 1 Storia del pensiero ebraico dalle origini all’età moderna; vol 2 Storia del pensiero ebraico dall’Illuminismo all’età contemporanea).
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