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P. De Benedetti M. Giuliani I significati dello shalom

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Massimo Giuliani: il libro che presentiamo, Portare il saluto: i significati dello shalom (Morcelliana, 2012), è un libro dedicato al saluto, ma sotto il segno di quella leggerezza che ci insegna Paolo De Benedetti. Prima di iniziare a parlare dei contenuti, vorrei esprimere il mio onore nell’essere seduto a questo tavolo a fianco del grande teologo. Nella tradizione ebraica, che ci accomuna in termini di studio e passione, un discepolo non dovrebbe mai avere la presunzione di sedersi al tavolo con il suo maestro; se per caso dovessero trovarsi in tale situazione, allora il discepolo dovrebbe rimanere in piedi in segno di deferenza. Ecco che spiego perché non mi siedo a mia volta, e vi parlo così.


Sono grato a De Benedetti per aver accettato di condividere con me la ricerca esposta in questo libro, che sembra di argomento leggero - perché, apparentemente, cosa c’è di più facile del salutarsi? In fondo, si tratta di un gesto quotidiano, quasi banale, che tutti compiamo ogni giorno, nei confronti dei nostri cari la mattina, per strada, al lavoro. Salutarsi è estremamente semplice.

Ma cos’è veramente il saluto?

La riflessione è iniziata un anno fa, quando mi hanno incaricato di presiedere il corso di laurea in Filosofia a Trento. Uno dei primi oneri e onori affidatomi consisteva nel recarmi ai convegni e portare il saluto alle autorità. Allora, dal momento in cui il saluto dà inizio a qualcosa, apre a qualcosa di nuovo, ho cominciato a chiedermi se non fosse un gesto più profondo di quello che ci appare comunemente nella nostra esperienza. Ci salutiamo per istinto, perché ci hanno insegnato le buone maniere; ma con il saluto inauguriamo la relazione, diamo vita al rapporto con gli altri. Questo lo verifichiamo in un’infinità di circostanze, più volte al giorno. Il saluto è quindi la porta attraverso la quale intessiamo rapporti con gli altri e dimostriamo loro che ci interessano, che fanno parte del nostro mondo. Di fatto, si tratta di instaurare un contatto ogni volta da capo, anche con chi vediamo ogni giorno: è un rito, che si basa sulla reiterazione dei nostri rapporti personali e di fiducia, continuamente rinnovati. Siamo abituati a salutare da sempre il nostro prossimo, più vicino, come i famigliari, o lontano, come il nostro collega, e ripetiamo lo stesso gesto fino all’ultimo, fino alla morte (se pensiamo al funerale dei nostri cari, non si tratta d’altro che di un estremo saluto). Potrebbe quindi essere considerato come l’emblema della circolarità della vita: inaugura e conclude, come una benedizione che noi facciamo per gli altri.

Nella tradizione cristiana, ebraica, e musulmana antica si è soliti dire una preghiera appena svegli, la Preghiera del Mattino, che in realtà è una preghiera sul mattino, sul fatto che ci sia dato di vedere il sole un altro giorno. Noi diamo per scontato di andare a dormire e ogni volta di risvegliarci con corpo e mente sani e di vedere la luce. La Preghiera del Mattino, che ebraismo, cristianesimo e Islam ci insegnano, è la benedizione che noi diamo al nuovo giorno riconnettendoci con il resto del mondo. Noi come parte del mondo.

Un’altra delle ragioni che mi hanno spinto a riflettere su questo, è quando, studiando i PirkeiAvot,ho trovato una frase di un maestro contenuta nel capitolo 4 di questo testo molto antico e prezioso della tradizione ebraica, che raccoglie gli insegnamenti di maestri vissuti nell’arco di cinque secoli. Ivi leggiamo, nella Mishnah 20, che Rabbi Matyah, figlio di Cheresh, soleva dire: “Saluta per primo chiunque, e sii coda dei leoni, ma non essere capo delle volpi”. Nell’ebraico, letteralmente si legge: “Anticipa nella pace”. Shalom è il saluto ebraico per eccellenza: nella radice della parola, è contenuto anche il termine shalem, che significa integrità. Anticipa gli altri nel salutare, dunque. Molte volte, invece, aspettiamo che siano gli altri a iniziare, o se non lo fanno, non ci consideriamo tenuti a fare il primo passo. Il lascito ebraico ci esorta a precedere il nostro prossimo, nel saluto, nella pace, nell’integrità, ovvero a essere modello di un altro nel comportamento.

Nell’essere in anticipo rispetto agli altri nell’offrire la pace è contenuta in nuce la radice dell’etica: saper precedere l’altro nel gesto dell’offerta. Spesso si dice: “porgere i saluti, porgere il saluto nel nome di un altro”. Un porgere che implica un sacrificio, all’interno di una ritualità che rimanda, a sua volta, ai riti di sacrificio nei templi, compiuti per la pace e la riconciliazione. Si tratta di un insegnamento molto profondo, che ci dice che per essere delle persone integre, bisogna essere in grado di fare il primo passo, di prendere l’iniziativa.

Nella seconda parte della frase sopra citata, si legge: “Sii coda dei leoni, ma non essere capo delle volpi”. Questo è più enigmatico. Nella simbologia e nella mitologia rabbinica, il leone è l’animale forte, si veda ad esempio lo stemma di Gerusalemme. Ci viene detto, quindi, che è meglio essere la parte più debole, la coda, di un corpo forte e sano, piuttosto che essere la parte più forte di un corpo astuto e malvagio. Allora, si può essere in anticipo sulla pace anche quando siamo la parte più vulnerabile - non perché siamo deboli siamo giustificati nel non prendere l’iniziativa sulla pace o nella riconciliazione.

Paolo De Benedetti: Per iniziare, vorrei citarvi alcune righe scritte da Giuliani stesso. Cominciamo da qualcosa che per me è fondamentale: “Anche quando il saluto fosse rivolto agli animali, che salutiamo come fossero membri della famiglia umana, proprio per questo, in virtù del saluto rinnovato, il saluto restaura”.

Molto spesso salutiamo l’animale, ma è anche vero il contrario, cioè che di frequente è l’animale che saluta noi: il cane che muove la coda, il gatto che si avvicina per strofinarsi. In un certo senso, quindi, il saluto è ciò che unisce tutti gli esseri viventi in comunione, e corrisponde a un bisogno di Dio. Dio aveva alcuni bisogni prima di creare il mondo, tra cui, quello fondamentale, quello di un tu con cui parlare. Il tu di Dio sono gli esseri descritti nel racconto della Genesi della Creazione: prima di Adamo ed Eva, che sono stati creati per ultimi, tutto ciò che ha vita è un esaudimento del bisogno del tu che Dio ha. Ha scritto Massimo Giuliani: “Il saluto restaura”. Se ci fosse stato un motivo di non saluto, come un cattivo rapporto, è chiaro che il saluto riconcilia; ma il saluto restaura anche al di là dell’essere umano, restaura l’universo. Pensate per esempio al cinguettio degli uccelli, alla fioritura degli alberi: sono tutte risposte al bisogno che Dio ha dell’Altro. Naturalmente, l’Altro fondamentale è l’uomo. Il tu di Dio è l’uomo. Il rapporto con l’uomo deve essere, in un certo senso, una continuazione del saluto. Massimo scrive: “Il saluto rivela il suo potere di rinnovazione del valore del mondo in sé e per noi (...). Ecco perché la luce va salutata e benedetta a ogni risveglio. Essa è il primo bene dell’uomo, nel quale possiamo salutare e benedire chi ci sta vicino”. Il nostro bisogno di tu, che è anche un bisogno di tu da parte di Dio, ha come fondamento necessario la luce, il vederci, il volto.

In un’altra pagina, si parla di coloro che portano messaggi da Dio, e che attuano in questo modo il ponte tra Dio e l’uomo, che è l’essenza del saluto. Se Dio non avesse un rapporto di amore con l’Altro - animale, essere umano, pianta che sia - tradotto nel saluto divino, allora non avrebbe senso quanto Lui stesso ha detto una volta completata la Creazione: che tutto era buono.

“Portare il saluto”: ma chi porta il saluto? Ogni essere vivente. Non solo uomo a uomo, ma anche animale a uomo e viceversa, Dio al Creato e il Creato a Dio. “Il Dio biblico si riserva di salutare e omaggiare i suoi amici al termine della loro vita piuttosto che all’inizio, quando li conduce da questo mondo addirittura con un bacio. La morte per bacio è un privilegio che Dio concede solo ai suoi profeti”. Il bacio è un elemento del saluto. Nella morte per bacio si realizza un ritorno a Dio tramite il saluto. Nel Deuteronomio, nel capitolo 31, Dio aveva già detto a Mosè che era tempo di andare, Mosè si rassegna e, nella forma ebraica, sta scritto: “E Dio gli prese la vita e l’anima secondo quello che aveva detto”. In ebraico, “secondo quello che aveva detto” si sintetizza, anche se non alla lettera, “Mosè morì secondo l’ordine del Signore”. “Secondo l’ordine” in ebraico si dice “sulla bocca”. Pertanto, l’interpretazione seguente è questa: Dio toglie l’anima a Mosè con un bacio. Potremmo dire che è un principio e una fine.

In un altro punto del libro, Massimo cita un’espressione ebraica al momento dell’incontro, che letteralmente andrebbe tradotta: “Qual è il tuo shalom?”, ma che significa: “Come stai?”. A questo proposito, scrive lui, “è una volontà di andare al cuore e a ciò che sta davvero a cuore all’altro. Salutare, portare il saluto, chiedere come stai, non può che essere un condividere, un sentire, un co-sentire, al fine che la pena altrui venga a noi e ci si renda pronti a portarla con chi vive tale pena. Se così non è, il saluto non vale, non è sincero. Non viene dal cuore, non esprime quel che Rabbi Isma'el chiama “l’amore per gli uomini”. Il saluto è il veicolo dell’amore per gli uomini. Eppure troppo spesso tendiamo a banalizzarlo; e invece è ciò che, in un certo senso, ha bloccato la caduta di Adamo ed Eva. Scrive ancora: “RabbiYochanan ben Zakkai diceva: “Nessuno al mondo aveva mai salutato per primo, neppure un pagano sulla piazza del mercato”. Il saluto non solo come risposta, ma come iniziativa.

In fondo, esistono forme di saluto che non sono verbali: ad esempio, Massimo cita l’atto di togliersi il cappello, fare un inchino, una riverenza, baciare un anello o una mano. Però dietro vi è sempre l’idea dello shalom. A sua volta, lo shalom ha fondamentalmente questo proposito: di fare di due l’uno.

Non dimentichiamo però che l’idea di pace non è soltanto astratta o spirituale. In Israele, il pagamento di una merce è considerato l’atto di risanamento tra il debito e il credito, il che vuol dire che la pace deve implicare condizioni che riguardano ogni momento della vita. Più avanti si legge: “Esiste un rapporto tra la parola shalom e il termine giustizia”, non quella del tribunale, ma il valore dell’essere giusti. “Se non c’è sedhaqa (giustizia) non c’è shalom”. Ossia, uno shalom vero, genuino, deve essere espressione di un atteggiamento di giustizia. La sedhaqa è la carità, l’amore del prossimo. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Nel saluto è intrinseco l’amore per l’altro.

Più avanti, ho scritto che, in fondo, c’è un’analogia tra la berakhah, la benedizione, e lo shalom. In una preghiera che si recita tutti i giorni, chiamata “Le diciotto benedizioni” - che in realtà sono 19, a causa di un’aggiunta successiva all’intitolazione - l’ultima recita: “Benedetto tu Dio che benedici il popolo d’Israele con lo shalom”. È stato osservato che nel pensiero rabbinico fare pace è assai vicino all’idea di amore nel Nuovo Testamento, e nel trattato rabbinico, nei capitoli dei Padri, è scritto: “Su tre cose il mondo si regge: sulla fedeltà, sul giudizio e sullo shalom”. E il commento di Rabbi Ovadjà di Bertinoro dice: “Shalom tra i regni e shalom tra l’uomo e il suo compagno”, ossia,l’idea ebraica di shalom è come prima impressione un saluto, ma in realtà è un affermare e consolidare un rapporto tra uomo e uomo, il suo compagno,ma anche tra Dio e l’uomo.

In un’opera rabbinica si dice che le pietre dell’altare gettano shalom tra Israele e Dio. Perché? Perché l’altare costituisce il luogo e l’occasione non solo di sacrificio ma anche di contatto reciproco tra l’uomo e Dio.

Qualche volta lo shalom non c’è, e non per via del peccato degli uomini; Dio, attraverso il profeta Nathan nella Bibbia, ha fatto sapere a Davide che non voleva che fosse lui a costruire il tempio, ma sarebbe toccato a suo figlio Salomone. Questo perché Davide era un re buono e giusto ma di guerra, non di shalom.

Pertanto, se il prototipo del re Messia, figlio di Davide, non è padrone dello shalom, in che cosa consiste la pratica dello shalom? Non mi riferisco al fare pace come conclusione di guerra, ma a un fare pace nella quotidianità. Secondo la tradizione ebraica, l’insieme dei precetti nell’ebraismo è un metodo dell’imitatio Dei: mettendo in pratica ciò che è comandato, eseguo la volontà di Dio. Allora, anche se io non sono capace di fare shalom, posso, attraverso l’esecuzione dei precetti che mi fanno ricordare Dio, essere imitatore di Dio, che fa shalom perché vuole fare pace in se stesso. Quando Gesù era nel Getsemani, e chiedeva: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, sentiva una mancanza di shalom tra sé e Dio. I facitori di shalom saranno chiamati figli di Dio.

Nell’attualità parlare di pace non sempre coincide con l’essere operatori di pace. Però il discorso di pace, se fatto non da un politico ma da una persona pacifica, trova, prima o poi, echi e cuore di altri bendisposti. Il profeta Zaccaria, nel capitolo 14,9, scrive: “In quel giorno Dio sarà uno, e il suo nome Uno”. Vuol dire che oggi il suo nome è Due. E quindi, con la grazia di Dio, essendo stato abilitato da Dio a farlo, l’uomo èin grado di dare shalom anche a Dio. Perché quest’unità che si deve compiere in Dio avrà luogo non prima che l’uomo abbia redento se stesso. Allora, lo shalom che Dio ha dato all’uomo, l’uomo lo restituirà a Dio, nel senso che Dio ha bisogno di essere pacificato dai pacifici. A questo proposito avevo scritto che “questa pacificazione non gli può venire da se stesso, nel momento che, creando l’uomo, si era compromesso una volta per tutte, si è reso dipendente dall’uomo pur rimanendo la fonte della sua grazia”. In altri termini, lo shalom è la massima, e purtroppo molto spesso ignorata, forza che regge il mondo, regge Dio, regge l’uomo. Lo shalom è quella forza che fa sì che il mondo non si sgretoli, e che se Dio è diventato due per il dolore del mondo, torni a essere uno.

Ecco perché il saluto possiede una ricchezza molto maggiore di quella che noi normalmente crediamo. Noi vediamo molto più spesso il male che il bene nel saluto: togliere e ridare il saluto, stabilire di nuovo lo shalom. Il saluto è veramente la condizione massima e necessaria per la sopravvivenza dell’uomo, del mondo, e di Dio.

dal sito CCDC
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Una voce ebraica con MASSIMO GIULIANI: vive a Roma , è docente di Pensiero Ebraico , è stato per anni presidente del corso di laurea in Filosofia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Ha ricevuto il Ph.D. dalla Hebrew University di Gerusalemme e ha insegnato per alcuni anni alla George Mason University negli Usa. E’ membro dei comitati scientifici della Fondazione Maimonide (Milano) e della Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Ferrara). Collabora con diversi quotidiani su questioni legate all’ebraismo, all’attuale dibattito filosofico e al dialogo interreligioso.
MERCOLEDI’ 13 GENNAIO 2016, ORE 20.30.
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