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Enzo Bianchi Erudizione e Sapienza

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La Repubblica, 9 Agosto 2015
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose

Esistere è un fatto, vivere è un’arte. E per vivere bene occorre soprattutto la sapienza che è sì un saper essere, un saper operare ma anche, secondo il significato del latino sapere, un avere gusto.
Sapienza è avere il gusto del bello, del vero e del bene, è saper dire sì alla vita, è l’arte del saper vivere un rapporto sano con tutte le cose e le persone. Il dramma odierno in occidente, ma non solo, è che si insegna molto attraverso la scienza e la tecnica ma manca la trasmissione della sapienza o saggezza del vivere. Quel “conosci te stesso”impresso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi era un invito alla sapienza, così come non è un caso che nella bibbia sia scritto a più riprese “inizio della sapienza è il timore del Signore”, cioè il riconoscimento dell’Altro e degli altri nel nostro duro mestiere di vivere. La sapienza nasce dalla ricerca di senso, una ricerca mai finita, un traguardo mai raggiunto pienamente, ma una ricerca che si nutre di fiducia nella vita e negli altri, di visione e immaginazione creativa che sa spingersi oltre ogni orizzonte.

Ora, chi sa di non sapere è il più grande sapiente o il più promettente degli eruditi? Forse entrambe le cose, perché erudizione e sapienza, conoscenza e illuminazione si intrecciano come gemelli eterozigoti che a volte litigano e paiono alternativi, altre volte irradiano la loro complementarietà.

“Erudito”, per esempio, nella sua forma grammaticale evoca un participio passato: l’erudito è tale per aver studiato e imparato molto in un passato più o meno recente. Il sapere degli antichi si è sedimentato nella scrittura, risuscita in ogni epoca con la lettura, si dipana nelle lezioni e per sua stessa natura si impoverisce se gli viene a mancare questo continuo accrescimento. Sovente ha anche ascoltato, ma solo qualcuno che riteneva più erudito di sé: un maestro, un anziano, oppure anche una persona più giovane, a condizione che fosse ricca di conoscenze in altri campi del sapere. Il suo patrimonio è cresciuto e cresce per addizione e gli fornisce un bagaglio di conoscenze utilizzabili in caso di bisogno ma a condizione di mantenerle aggiornate.

“Sapiente”, invece, è un participio presente e, paradossalmente, rimanda più a un discernimento che a un “sapere” o, se si preferisce, a un saper discernere nell’oggi cosa davvero conta. La dote del sapiente si arricchisce per sottrazione: come uno scultore, elimina il superfluo, va all’essenziale, coglie il tutto nel frammento. La sapienza è un’arte che si nutre di ascolto prima che di studio: ma ascolto degli altri nella loro quotidianità, ascolto delle loro gioie e delle loro sofferenze, ascolto di ciò che arde inespresso nel cuore, di ciò che si nasconde dietro atteggiamenti e parole di superficie. Questo ascolto cordiale e partecipe aiuta a lasciar cadere le parole inutili e abitua l’orecchio a percepire voci, suoni e armonie anche quando si presentano del tutto inattese e in circostanze inedite. Se erudizione è rielaborazione feconda del già scritto, sapienza è ascolto attento del non detto.

Eppure sia sapienza che erudizione richiedono tempo, fatica, esercizio: e se a volte un cervello prodigioso può bruciare le tappe nell’accumulare apprendimento, più difficilmente l’intuizione del sapiente può fare a meno degli anni che passano e che consentono di ascoltare più persone, dando loro tutto il tempo per esprimersi nella loro diversità e complessità, nei giorni bui e in quelli luminosi, come anche in quelli banalmente grigi. Non a caso, nell’antichità la sapienza era accostata all’anzianità e persone sapienti già da giovani – come il biblico re Salomone oppure il profeta Daniele a Babilonia – erano considerate eccezioni suscitate da un intervento divino.

Albert Einstein arrivò a dire che per essere sapienti non basta la ricerca scientifica, serve una fiducia profonda, occorre saper assumere ogni giorno le proprie responsabilità di fronte agli altri, essere capaci di esercitare la libertà, senza mendicarla o attendere che ci sia elargita. In questo cammino, avere accanto un sapiente, poter essere coinvolti nella sua vita, più ancora che poterlo ascoltare, è un’avventura straordinaria, perché solo chi è sapiente sa insegnare ed educare come atto amoroso: allora si impara ad ascoltare il silenzio, a comunicare con tutte le creature animate e inanimate, si conosce la solidarietà profonda che regna nell’universo, si discerne la presenza di quella sapienza personificata cui la bibbia dedica un libro intero per cantarla come “architetto” che plasma l’universo ed è capace di danzare e giocare con l’umanità, invitandola a un banchetto imbandito e rallegrato dal vino della gratuità e della condivisione.
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