Capodanno "alternativo" al Monastero di Bose
Montagne candidamente imbiancate sullo sfondo. Un profondo avvallamento. I boschi con alberi spogli dalle parti. Una serie di edifici non troppo grandi sparsi in un territorio non così vasto. Tutto questo compone, come in un quadro, il Monastero di Bose e rende reale il sogno di Enzo Bianchi che ha saputo vedere, partendo da un insieme di cascine, un luogo in cui mettere in piedi una comunità monastica, un luogo in cui avvicinarsi a Dio.
C’è chi s’immagina la vita del monaco come piena di rinunce, dove ci si priva delle proprie qualità e si rimane perennemente vestiti di bianco. A Bose non è così.
La comunità monastica di Bose (Piemonte, provincia di Biella), ha organizzato anche quest’anno un corso per i giovani a cavallo di capodanno. A queste giornate hanno partecipato circa 100 persone, dai 17 ai 30 anni, provenienti da tutto lo Stivale. Attraverso la preghiera, le lezioni tenute dai monaci e il tempo libero, abbiamo meditato sul futuro, inteso come elaborazione a partire dai propri sogni e desideri, che hanno bisogno però di un forte lavoro interiore per essere applicati. Il principale relatore, Luciano Manicardi (monaco della comunità), ha esordito infatti così: “non vi racconterò il futuro del lavoro, ma di come il lavoro interiore può creare futuro”.
Su queste premesse si è basata l’esperienza di questi giorni (dal 27 dicembre all’1 gennaio) che abbiamo deciso di passare a Bose per festeggiare la notte di San Silvestro.
A Bose si vivono davvero i 5 sensi (menzionati in una relazione di Luciano Manicardi). C’è la vista. La vista della natura quasi incontaminata: dalle montagne ai boschi, dai prati al cielo. La vista di tanti bei volti carichi di speranza e nei quali si legge la voglia di costruire un futuro bello per loro e per coloro che li circondano. C’è l’olfatto. Il profumo inebriante dell’incenso nella Chiesa di Bose dove nel raccoglimento si percepisce la presenza del Signore. I profumi della natura, delle piante e del tempo meteorologico (dalla pioggia, al vento che porta i profumi della montagna). C’è il tatto. E’ fatto di strette di mano a chi si è appena incontrato e di abbracci a chi abbiamo imparato a conoscere in questi giorni e che sicuramente ci ha dato qualcosa su cui riflettere, qualcosa che porteremo via con noi. C’è l’udito. Fatto di ascolto del silenzio. Un silenzio che a Bose si vive in modo davvero forte e che consente di ascoltare se stessi. Ma l’udito si rende utile anche nell’ascolto delle belle parole dei relatori, nell’ascolto di chi vive con noi l’esperienza ed infine nell’ascolto della Parola di Dio durante la Liturgia delle Ore. C’è infine il gusto. I sapori diventano esperienza di vita. Si gustano i prodotti preparati dai monaci stessi e si impara a vivere, anche il momento dei pasti, per confrontarsi e condividere pensieri.
È bene marcare il fatto, a scanso di equivoci, che questi giorni di capodanno “alternativo” non ci hanno tolto il divertimento di stappare lo spumante, ma ci hanno invece preparato a farlo con pienezza. Il classico “party” in casa si è trasformato in una festa di musica con tutta l’Italia dei giovani, da Torino a Bari, che cantava nella sala dell’ accoglienza del monastero. Il cenone è stato una condivisione con prodotti rigorosamente tipici del luogo e la messa per Maria Madre di Dio è stato una vera e propria “Eucaristia”, in cui poter davvero ringraziare il Signore dell’anno appena passato e affidargli il prossimo.