Vito Mancuso “Così spiego perchè Gesù e Cristo sono due figure distinte”
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Vito Mancuso, docente universitario e fondatore del Laboratorio di Etica al Mast, ha appena pubblicato "Gesù e Cristo" (Garzanti). Un saggio che coinvolge oltre le proprie convinzioni, tenendo insieme l'impianto rigoroso delle ricerche sui testi con riflessioni e argomentazioni affascinanti.
Per lei è una sorta di "libro della vita"? «Ci lavoro da anni, scrivevo e mi interrompevo. In questo libro ho fatto i conti con il cristianesimo, quindi con le radici dell'Occidente, perché per la mia generazione vale ancora quel che diceva Benedetto Croce, "Non possiamo non dirci cristiani". È stato anche un modo di fare i conti con me stesso, cercando di ridare linfa e verità alle radici ma senza estirparle per trapiantare nuove piante» …
"Gesù e Cristo": qui la "e" congiunge ma distingue. Da dove nasce? «Nasce per onorare la coscienza contemporanea: questa distinzione tra Gesù e Cristo l'ha introdotta la storiografia e bisogna tenerne conto per non restare dentro la bolla della "mente credente" senza fare i conti con la realtà. Gli studi storici presentano questa distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede: a introdurla è stato Reimarus nel 1778».
In cosa consiste? «C'è il Gesù storico e il Gesù inventato dai discepoli dove lo scopo politico di Gesù viene trasformato: la sua missione politica diventa missione religiosa. La questione centrale di "Gesù e Cristo" sta in una domanda: Gesù doveva morire? Il Gesù storico era centrato nell'amore per il prossimo, che si esplicitava come avvento del regno di Dio. Dio è stanco dell'iniquità e Dio interverrà nella storia, come per il Battista. Quando dico "Gesù non voleva morire" intendo che quello che lo porta alla morte è il senso complessivo dell'annuncio della profezia, perché questa tocca fili politici. E nel regime teocratico di quell'epoca toccare la religione significava toccare la politica. La sua morte nasce da qui: questo profeta dava fastidio e viene crocifisso come tutti i nemici dell'impero, ma non era prevista fin dall'inizio».
E invece? «Il cristianesimo nasce – perché i discepoli lo inventano o perché succede qualcosa – proprio da qui. Perché se interpretiamo la morte in croce come fallimento della missione di Gesù inevitabilmente questa diventa anche il fallimento speculativo del messaggio. Quindi la morte in croce deve essere interpretata diversamente cioè come "compimento". I discepoli scoprono alcuni passi in cui Gesù diventa l'Agnus dei, il sacrificato. E quindi si arriva al "compimento". Così il gesuanesimo diventa cristianesimo, una religione che lega la salvezza alla redenzione. Cristo è morto per te, tu non ti salvi per l'osservanza ma perché il redentore è morto per te. E questa è proprio una caratteristica specifica del cristianesimo».
Auspica un ritorno al gesuanesimo? «Tornare al gesuanesimo non è possibile e non è auspicabile, perché il cristianesimo è stato anche, grazie a Paolo, l'universalizzazione del messaggio, l'universalizzazione di un amore che riguarda tutti, mentre Gesù non andava da tutti. Io credo che vada tenuto questo universalismo ma vada tolta l'idea che la salvezza dipenda dal sacrificio del sangue versato, tornando invece all'osservanza dei comandamenti. La salvezza dipende dalla giustizia che tu pratichi, dalle opere non dal sangue di Cristo, recuperando qui il nucleo antico del gesuanesimo. Che per altro nel corso dei secoli ritorna come corrente, dal "Vangelo sine glossa" di San Francesco ai movimenti pauperistici, e che nel Novecento trova la massima espressione nella ricerca storica sul "Gesù ebreo" da cui oggi non si può prescindere».
Che reazioni ci sono state alle sue tesi? «C’è chi si spaventa, chi grida all'eresia e chi mi scrive che aspettava da anni un libro così, perché qui ritrova una possibilità. Da un punto di vista cristiano, in effetti, sono un eretico. Io non credo che la mia salvezza dipenda dal sangue di Cristo. Sono un avventuriero dello spirito, per usare l'espressione di De Chardin. Mi sento in linea con un maestro come Piero Martinetti, a cui dedico il libro, che scrisse "Gesù Cristo e il Cristianesimo". Mi rivolgo a quelli che sentono che qualcosa c'è ma non è quello che dicono i cristiani, a quelli che non riescono più ad andare a messa però sentono che la vita è più del darwinismo. Ecco sono una guida dei perplessi: non si può creare una nuova dogmatica e le domande sono importanti».





