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Manicardi 27 ottobre 2013 XXX Tempo Ordinario

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 Fonte: monasterodibose
domenica 27 ottobre 2013
Anno C
Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-57


La vocazione profetica porta Geremia a incontrare opposizioni fino a essere consegnato in mano di altri uomini: il suo destino è nelle mani di altri; la sua vita o la sua morte dipendono da altri: quella verità così essenziale per cui la nostra vita è legata inscindibilmente ad altri e viviamo grazie agli altri, trova in Geremia gettato in prigione e da lì fatto risalire una attestazione drammatica e dolorosa (I lettura).
Il cammino di Gesù di obbedienza al Padre è anche cammino di salita verso Gerusalemme, verso l’immersione (“battesimo”) che lo attende e che egli riceverà quando sarà consegnato nelle mani dei peccatori che lo maltratteranno e le metteranno a morte. Gesù vive l’abbandono nelle mani di Dio conoscendo il tragico destino di chi cade in balia degli uomini e della loro malvagità (vangelo).

Annunciato dal Battista come colui che “battezzerà in Spirito santo e fuoco” (Lc 3,16), Gesù, nei giorni della sua vita terrena, sperimenta l’incompiutezza della sua missione e il caro prezzo che essa comporta. Lo Spirito che scenderà a Pentecoste immergerà i discepoli nel fuoco dello Spirito, ma questo avverrà solo dopo la sua morte e resurrezione; inoltre Gesù stesso riconosce di dover passare attraverso il fuoco dell’immersione nella morte cruenta. Perché l’incendio del Regno divampi occorre prima che egli stesso sia bruciato e consumato da tale fuoco. Venuto per narrare il Dio che è “fuoco divorante” (Dt 4,24), per suscitare la passione per il Regno, per sconvolgere le vite con il soffio impetuoso dello Spirito, per far ardere i cuori con la sua parola bruciante, Gesù incontra coloro che sanno “spegnere lo Spirito”, far tacere la profezia, mortificare la follia per il Signore.

Non c’è altra via, per lui, che ardere e consumarsi egli stesso al fuoco della sua passione per Dio e del suo desiderio di dare comunione e vita agli uomini. Egli stesso diviene fuoco: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano del Regno”, recita un detto di Gesù tramandato da Origene. Il fuoco dona calore e luce ma, nel mentre, consuma e divora. Da quella morte, nasce la nostra vita. Il fuoco che Gesù è venuto a portare e gettare sulla terra è passione di amore e passione di sofferenza. Del resto, chi può conoscere il segreto del fuoco se non chi se ne lascia consumare?

Per quanto enigmatiche, le parole di Gesù sul fuoco che egli è venuto a portare ricordano alla nostra stanca cristianità e alle nostre vecchie chiese che il cristianesimo è vita e fuoco, passione e desiderio, avventura e bellezza. Ha scritto il patriarca di Costantinopoli Atenagora: “Il cristianesimo è la vita in Cristo. E il Cristo non si ferma mai alla negazione, al rifiuto. Siamo noi che abbiamo caricato l’uomo di tanti fardelli! Gesù non dice mai: ‘Non fare, non si deve fare’. Il cristianesimo non è fatto di proibizioni: è vita, fuoco, creazione, illuminazione”.

La venuta di Gesù è anche giudiziale: la sua presenza sollecita una presa di posizione e una scelta e così essa può provocare divisioni: Gesù, infatti, è “segno di contraddizione” (Lc 2,34). La famiglia stessa non sarà esente da tale intervento giudiziale e dalle separazioni che esso opera (cf. Lc 12,51-53). L’urgenza del Regno porta a relativizzare anche l’istituto famigliare che viene traversato e lacerato, come da spada, dalla parola di Gesù che chiede di avere per lui un amore prioritario e di mettere al primo posto le esigenze del Regno (Lc 14,25-26).

E l’oggi storico deve essere giudicato a partire dalla novità escatologica introdotta da Gesù: il Regno di Dio si è fatto vicino. Prima ancora di riconoscere “i segni dei tempi” si tratta di riconoscere il segno del tempo, il segno che il tempo stesso è diventato da quando ha accolto l’evento dell’incarnazione. Esso è occasione di conversione, appello a conversione. Segnato dall’irruzione del Regno, ormai il tempo della storia e dell’esistenza personale di ciascuno è kairòs, momento propizio per la conversione (cf. Lc 13,1-5). È luogo di incontro possibile con il Signore che viene.

LUCIANO MANICARDI
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