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Casati - 13 ottobre 2013 XXVIII Tempo Ordinario

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2 Re 5,14-17 2
Tm 2,8-13
Lc 17,11-19

C'è la fede dei nove, una fede che guarisce sì dalla lebbra, ma non salva. E c'è la fede di questo samaritano, di questo straniero, l'unico che ritorna -sembra di vederlo- "lodando Dio a gran voce", fede che guarisce sì dalla lebbra, ma soprattutto salva: a lui, a lui solo è detto: "la tua fede ti ha salvato".
E il discorso, voi lo capite, viene subito a me: la mia è una fede che salva, oppure è una fede che modifica qualcosa fuori, ma in profondità non salva? Potrebbe anche la mia essere la fede di quei nove? Come era la fede dei "nove che non ritornarono"? Una fede dominata dalla legge; si muove entro l'arco, piuttosto rigido, delle cose prescritte. Era prescritto presentarsi ai sacerdoti. Ci vanno. E' la religione del "io ti do, tu mi dai". Tu mi dai la guarigione, io ti do un'offerta, quella prescritta. E così siamo a posto. Una norma fredda che spegne il cuore. Guardate invece il samaritano, l'uomo straniero, straniero ai calcoli. Lo conduce il cuore, fa le cose che non sono scritte, parla ad alta voce per strada. Capisce che il problema non è dare qualcosa, ma dare se stesso. E' l'uomo che esplode con la sua spontaneità, con la sua dolcezza, con la sua passione. E' l'uomo "salvo dentro". Come Naaman il Siro, di cui parlava la prima lettura, miracolato anche lui dalla lebbra: e gli canta in cuore la gratitudine. Lui sì, miracolato dentro. Pensate, l'uomo della guerra, lui il grande generale che ha a che fare con gli eserciti, lui l'uomo che ha fatto l'abitudine al sangue, l'uomo cui la guerra ha impietrito il cuore. Ebbene lui sì, salvo dentro, cambiato dentro, sfiorato da una dolcezza, pervaso da una tenerezza, da una gratitudine che non dovrà morire. Pensate, il grande generale, lui abituato a invadere le terre, e che ora vuoi caricare su due muli un po' di quella terra, la terra del miracolo, e così anche lontano, anche in patria...da quella terra, la terra del miracolo, ringraziare il Dio di Israele. Vedete dov'è il miracolo? La vera malattia, la vera lebbra da cui essere guariti, è questa aridità del mio cuore, il cuore dei nove lebbrosi che non ritornano, questo materialismo pratico -tanto la salute, la guarigione l'abbiamo avuta!- questo cuore che non sa più protendersi, andare più in là, andare oltre, questa indifferenza, questa abulia, questa noncuranza, sì, questa indifferenza che è la malattia forse del nostro tempo, il pericolo maggiore da cui siamo aggrediti, una malattia che è un pianeta , il pianeta dell'indifferenza. Ebbene, se tu ritorni a ringraziare, è segno che sei stato toccato dentro, sei salvo. Penso all'Eucaristia domenicale: dovrebbe essere questo ritornare, e con un nodo di gioia alla gola: correre a ringraziare... Ma anche l'Eucaristia può diventare un'osservanza, un precetto senza gioia, un rito senz'anima, senza dolcezza, senza passione,un monumento di ordinaria amministrazione, un monumento di indifferenza. Oppure, Dio lo voglia, l'Eucaristia può diventare la terra su cui ringraziare, la terra del miracolo perché è la terra della croce. Nella Bibbia è scritto di questo popolo, il popolo di Dio, che fatto un tratto di strada, si fermava e costruiva un altare e ringraziava. Dopo una battaglia, dopo una marcia, il popolo si fermava e celebrava con canti, con danze il Signore che era stato la salvezza. Il popolo ricordava: Fermati e ricorda. Sì, oggi la domenica ci si ferma dal lavoro, ma si ricorda o non può diventare la domenica una grande distrazione? Ricorda il tuo cammino, quello della settimana, è il Signore che ce l'ha fatto percorrere! Il popolo di Dio, il popolo della Bibbia si fermava, ricordava e danzava davanti al Signore. Il senso della gioia, della fede deve abitare nelle nostre celebrazioni, deve risplendere negli occhi e sui volti di tutti noi quando usciamo. Non tutti oggi entrano nelle chiese e ascoltano il Vangelo, cioè la buona notizia, la notizia che da gioia al cuore. Possano gli uomini e le donne d'oggi leggerla sui nostri volti, nei nostri occhi quando camminiamo e quando sediamo con loro.
Fonte:sullasoglia
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