Omelia 9 dicembre 2012, II Avvento (Ludwig Monti)
Lc 3,1-6
Vox clamantis
in deserto
Nel
nostro cammino verso il Signore che viene, in questa II domenica di Avvento ecco
Giovanni il Battista, che prepara per noi la via e con la sua obbedienza radicale
alla Parola di Dio ci guida all’incontro con Cristo. Giovanni è stato il
precursore di Cristo nella storia e lo sarà fino alla fine dei tempi, come aveva
compreso Origene.
Nella persona di Giovanni avviene
l’incontro tra la storia, sempre fallibile e problematica (come attesta la
lista di nomi appena ascoltata), e la Parola potente di Dio, qui contenuta in
un famoso oracolo del profeta Isaia (cf. Is 40,3-5). Parola che, proprio perché
potente, non si impone ma si espone al rifiuto. La Parola non cessa di
risuonare nella storia, giorno dopo giorno, e chi si mette seriamente al suo
ascolto deve essere consapevole di una sua condizione permanente: sempre la
Parola giunge a noi attraverso una “vox
clamantis in deserto”, “la voce di uno che grida nel deserto”. La Parola e
il deserto, binomio inscindibile. Il deserto personale è la condizione
necessaria affinché l’uomo sia reso servo della Parola, facendo tabula rasa di idee preconcette, facendo
tacere dentro di sé le immagini idolatriche. Nel deserto siamo tentati, come lo
è stato Gesù, di fuggire dalla comunione con il Dio invisibile per cedere alle
suggestioni di Satana, suggestioni ben visibili, scorciatoie verso una vita che
pare più felice e invece è semplicemente disumana. E il deserto avanza anche
intorno a noi, se abbiamo il coraggio di osservare la realtà per quella che è.
In questo deserto non dobbiamo però
disperare: la Parola di Dio continua a risuonare, il Vangelo continua a
brillare come una luce che non può essere sopraffatta dalle tenebre (cf. Gv
1,5). Certo, Giovanni morirà martire, decapitato in carcere dall’arroganza di
un potente di questo mondo; ma proprio lui, che Luca ci presenta come “colui
che annuncia il Vangelo” (cf. Lc 3,18), proprio lui è una voce che continua a
gridare, che non può essere messa a tacere da niente e da nessuno. E cosa
grida? “Ogni carne, ogni essere vivente vedrà la salvezza di Dio”. Questo il
paradosso inesauribile del Vangelo: “Voce che grida nel deserto: Ogni carne
vedrà la salvezza di Dio”. Gridare nel deserto è già un paradosso; gridare nel
deserto la salvezza offerta a tutti lo è doppiamente!
Ma qui, e non altrove, sta la potenza
crocifissa del Vangelo. Questa, del resto, è stata anche la dinamica interiore
della vita di Gesù, Vangelo fatto carne. Dall’inizio alla fine, come ci testimonia
Luca. Gesù apre la sua predicazione, nella sinagoga di Nazaret, facendosi eco
di un’altra parola di Isaia, quella che annuncia la buona notizia della
liberazione di tutti i prigionieri e proclama l’anno di grazia del Signore (cf.
Is 61,1-2); eppure già allora i suoi concittadini cercano di ucciderlo, non
sopportando tale annuncio (cf. Lc 4,16-30). Gesù dice al capo dei pubblicani
Zaccheo: “Oggi per questa casa è avvenuta la salvezza … Il Figlio dell’uomo
infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”; eppure al vedere
ciò tutti mormorano e lo disprezzano (cf. Lc 19,7.9-10). Gesù muore su una
croce dicendo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc
23,34); eppure, proprio mentre prega in questo modo, tutti lo scherniscono: “Ha
salvato altri e non può salvare se stesso!” (cf. Lc 23,35.37.39)…
Anche Gesù, come Giovanni, è stato “voce
che grida nel deserto”. Non si è ribellato alla contraddizione tra il contenuto
gioioso e liberante del suo annuncio e la durezza di cuore di chi non voleva
accoglierlo, vicino o lontano da lui. “Ha proseguito nel suo cammino” (cf. Lc
13,33), nel suo stile di vita evangelico, senza disperare per la sconfitta a
cui andava incontro agli occhi del mondo. Ha cercato tenacemente di far fiorire
il deserto, a beneficio di tutti. E il fatto che ancora oggi siamo insieme per
fare memoria del gesto sintetico dell’intera sua vita conferma che il Vangelo
di Cristo non può essere incatenato (cf. 2Tm 2,9) e che la sua salvezza ha già
avuto un inizio, nonostante noi e nonostante il poco che possiamo vederne, un
inizio del quale attendiamo il compimento alla sua venuta. Se ci fidiamo di Gesù
e del suo Vangelo, ecco dunque delinearsi il compito che spetta a noi suoi
discepoli, quel compito in cui si riassume “l’essere integri e irreprensibili
per il giorno di Cristo” (Fil 1,10). Continuare a essere anche noi, con la
nostra vita, “voce che grida nel deserto”, in ogni deserto: “Ogni carne vedrà
la salvezza di Dio”.