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Manicardi - 2 dicembre 2012 Prima Avvento

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domenica 2 dicembre 2012
Anno C
Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36


La prospettiva escatologica al cuore delle tre letture bibliche illumina di luce particolare nel testo di Geremia la fede, cioè la fiducia nel compimento delle promesse di Dio; nella seconda lettura la carità, in cui tutti i credenti sono chiamati a crescere; e nel vangelo la speranza, la speranza della venuta del Signore che i cristiani nutrono anche di fronte a eventi catastrofici e di contraddizione.
Emerge così la dimensione escatologica delle virtù teologali. Il brano dell’Antico Testamento e quello del vangelo chiedono entrambi di discernere l’avvicinarsi della salvezza in mezzo a tribolazioni e a situazioni che smentiscono il compiersi della promessa di Dio.

La venuta del Signore (appena accennata in Lc 21,27) è vista da Luca nelle reazioni che produce sugli uomini: il dramma escatologico, dice Luca, è anche un dramma storico ed esistenziale. Eventi catastrofici nella natura e nella storia, in cielo e in terra, che saranno motivo di angoscia e smarrimento, di attesa ansiosa, di paura e morte per tanti uomini, per i credenti potranno essere il segno dell’avvicinarsi della salvezza. “Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). Alzare il capo significa anche “alzare gli occhi” e vedere ciò che a molti resta invisibile: la salvezza che avanza tra le tribolazioni storiche, il Regno che emerge da dietro le macerie della storia, la promessa del Signore che resta salda anche nell’accumularsi delle rovine “sulla terra” (Lc 21,25). Nessun pessimismo, nessun far coincidere le catastrofi naturali e storiche, per quanto devastanti, con la fine del mondo, ma anche nessun cinismo, nessuna fuga dai dolori del reale per rifugiarsi in una visione spiritualistica o ingenuamente ottimista. Del resto, per Luca non solo gli “uomini”, cioè “i non-credenti”, sono sottomessi al rischio di essere soverchiati, schiacciati dagli eventi che devono succedere, ma anche i credenti se non veglieranno e non pregheranno (cf. Lc 21,34).

Vigilare significa dunque lottare positivamente contro l’angoscia (v. 25), contro il rischio di finire in balia di paure, fantasmi e credenze che ci agiscono; significa non cadere nello smarrimento (v. 25: la Bibbia CEI traduce “ansia”), nel disorientamento, dunque non perdere il cammino, non essere spiazzati dagli eventi che accadono; significa ritrovare forza e coraggio che impediscono alla paura di paralizzarci e di condurci alla morte (v. 26: “moriranno di paura”); significa nutrire la speranza cristiana, e non nutrire attese angosciate e ansiose (v. 26).

La vigilanza tende a impedire “l’appesantimento del cuore” (v. 34), il suo ispessirsi che lo conduce a perdere lucidità, il suo rivestire una corazza che lo difenda dalle sofferenze della vita. La vigilanza è lotta contro l’abitudine e la sua influenza anestetica. In particolare, l’ammonizione mette in guardia dall’ottundimento dei sensi e dell’intelligenza che può venire da un’angoscia che si sfoga negli eccessi del mangiare e del bere, da una paura della morte che viene esorcizzata nelle sfrenatezze sessuali, da un non-senso che si manifesta nelle preoccupazioni ossessive per se stessi. È così che l’attesa del Signore veniente può divenire realtà quotidiana, vissuta “in ogni momento” (v. 36). Attendere il Signore nella vigilanza e nella preghiera significa farlo regnare sul nostro oggi e conoscerne dunque la venuta già qui e ora. E significa essere irrobustiti, ricevere forza così da perseverare nelle tribolazioni e nelle prove e discernere in esse l’avvicinarsi della salvezza (v. 36).

Preghiera e vigilanza, che pongono il credente alla presenza di Dio, mostrano una valenza escatologica: vivendo alla presenza del Signore nell’oggi, il credente si prepara a incontrarlo alla sua venuta.

L’inizio dell’Avvento, con il comando di Gesù: “Vegliate e pregate in ogni momento”, è occasione offerta al credente per verificare la qualità della sua preghiera e, più radicalmente, se egli prega o meno. E interrogarsi sulla propria preghiera significa interrogarsi sulla propria fede e sulla qualità della propria vita.


LUCIANO MANICARDI
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