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Casati - 7 Ottobre 2012 XXVII Tempo Ordinario

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Gn 2, 18-24
Eb 2, 9-11
Mc 10, 2-16

Se noi leggiamo attentamente e non superficialmente questo brano del Vangelo di Marco, se andiamo a osservare con attenzione la reazione di Gesù alla domanda-trabocchetto di quei farisei: "È lecito a un marito ripudiare la propria moglie?" -e chissà perché non alla moglie ripudiare il proprio marito-, la sensazione che proviamo è questa: è come se Gesù si trovasse a disagio nelle strettoie della legge, come se Gesù non respirasse dentro la durezza, dentro la durezza del cuore e dentro la durezza della legge.
È come se volesse respirare, farci respirare l'aria dell'inizio. "Ma all'inizio" -dice- "all'inizio non fu così, all'inizio Dio li creò maschio e femmina...". Come se dicesse: voi riducete a norme il respiro dell'inizio! E il progetto dell'inizio era un progetto contro la solitudine: il male è la solitudine, il male vero! È folgorante questa parola di Dio che sta all'inizio: "Non è bene che l'uomo sia solo". Questo è ciò che interessa a Dio: che nessuno si senta soffocare dalla solitudine. E la solitudine -dice il racconto sapiente della Genesi- non è colmata dalle cose: Adamo aveva tutto. Paradossalmente quella solitudine non era colmata nemmeno da Dio: Adamo aveva Dio! E Dio è contro la solitudine. Forse dovremmo ricordarlo, perché a volte noi finiamo per benedire la solitudine, l'angoscia della solitudine. Ma non è questo ciò che vuole Dio, non è questo ciò che sta all'inizio. Ecco, il pericolo è proprio questo, quello di staccarci dal grande respiro dell'inizio. Ma pensate che cosa diventa la grande emozione del "per sempre", "ti sposo per sempre", l'emozione di questa sfida: sei come uno sigillo sulla mia carne, sei così scritta sulla mia pelle, sul mio cuore, che dico: "per sempre"... Pensate che cosa diventa questa emozione del "per sempre" quando la si impoverisce, la si appiattisce a un precetto, a una casa senza nessuno che vi abita, a un guscio vuoto di respiro. E quello che stiamo dicendo per l'indissolubilità potremmo ripeterlo per la fedeltà: la fedeltà che spesso, troppo spesso, è impoverita a "non tradire l'altro", e non invece interpretata, ricondotta -come evoca la parola- a "investimento di fiducia" nell'altro, a passione per la sua immagine, a rispetto tenero del suo volto, a scommessa sull'altro, sulla sua creatività e libertà. Ritornare al respiro dell'inizio. E -lasciatemi aggiungere- essere fedeli ogni giorno al respiro dell'inizio. È questo - sembra dirci Gesù - è questo che ci può evitare il rischio, il tragico rischio, di trovarci un giorno con un contenitore vuoto tra le mani. Un prete, che da anni è impegnato anche a livello di Commissioni diocesane nel campo della pastorale del matrimonio, in un suo libro scrive: "Due sposi, nel giorno del matrimonio, non dovrebbero promettere di stare insieme per sempre, ma di tenere per sempre vivo l'amore: è questo che consente loro di crescere" (G. Borsato). La fedeltà quotidiana all'inizio per non ricadere nella solitudine. Perché Dio non è per la solitudine. Vorrei finire - l'interpretazione, lo confesso, è azzardata - cercando di capire questo accostamento dell'insegnamento di Gesù sul matrimonio con l'episodio dei bambini, sgridati, cacciati dai discepoli. Perdonate se interpreto così: la solitudine non è colmata dai discorsi. A volte, spesso, è colmata dal corpo. I discepoli pensavano che non ci potesse essere legame tra Gesù e i bambini, perché proprio non capivano niente dei discorsi, peraltro bellissimi, di Gesù. I genitori al contrario pensavano che il legame passasse attraverso il corpo, attraverso le mani: glieli portavano i bambini perché li accarezzasse! E Gesù dà ragione a loro: la distanza non è colmata solo dai discorsi, è colmata da uno sguardo, da una carezza, da un abbraccio! Gesù li prendeva tra le braccia ed era una benedizione.
Fonte:sullasoglia
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