Foglietto 5 febbraio 2012 (Famiglie Visitazione)
Marco 1, 29-39
1) Subito andò nella
casa di Simone e Andrea: la parola subito è usata otto volte nel cap. 1 di
Marco. Anche nel testo di questa domenica c’è il senso
dell’incalzare dell’opera del Signore: non ha tregua tra un’azione e l’altra;
anche se passa dal luogo pubblico (la sinagoga) alla quiete della casa, non
cambia la sua sollecitudine verso l’umanità povera e malata che gli si fa
incontro.
2) La suocera di
Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei: questo parlare di lei non c’è nei paralleli di Mt e Lc,
il racconto ha un tono familiare.
3) Egli si avvicinò
e la fece alzare prendendola per mano: il
Signore si avvicinò a quella donna,
figura dell’umanità afflitta da una malattia che la costringe alla immobilità. La fece alzare: il verbo è quello usato
in tante formule usate negli Atti e nelle lettere di Paolo, che sono la radice
delle professioni di fede: Cristo… che fu
sepolto e che è risorto (lett: è
stato risuscitato, è stato fatto alzare) secondo le Scritture (1Cor 15,4). Cristo
fa risorgere l’umanità da quella malattia. Prendendola per mano: pare di vedere
l’icona pasquale della Discesa agli inferi, in cui Gesù solleva con la sua mano
Adamo ed Eva. È la sua mano che salva, come dice il salmo: tu mi hai preso con la mano destra (Sal
72,23).
4) La febbre la
lasciò ed ella li serviva: c’è il verbo
della diaconia, la guarigione è il punto di partenza per il servizio, per
restituire il dono ricevuto. Chi non ama rimane
nella morte (1Gv 3,14).
5) Gli portavano
tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città
era riunita: cessato il riposo del sabato,
si forma una assemblea davanti alla porta. Ci
sono i malati e gli indemoniati, ci sono anche quelli sani, quelli che portavano. C’erano
tutti, come se il bisogno di salvezza fosse la condizione comune di tutta la
città. Poco più avanti i discepoli diranno:Tutti ti cercano!.
6) Guarì molti che
erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni: il termine molti
non deve essere inteso come un limite, come se qualcuno fosse rimasto escluso. La
grazia è abbondante, la misericordia di Dio si è fatta presente nella persona
di Gesù.
7) Al mattino presto
si alzò … e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava: qualcuno potrebbe pensare che il figlio di Dio non abbia
bisogno di pregare, che ha operato prodigi proprio perché è ricco e dotato di
tutto quello che gli serve, come gli eroi e i grandi della terra. Questo
versetto è straordinariamente importante, perché svela il segreto della potenza
di Gesù, il suo rapporto mite di figlio con il Padre.
8) Ma Simone e
quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce: il verbo è molto forte, questo inseguimento ha
quasi le caratteristiche di una persecuzione,
l’incalzare degli avvenimenti continua.
9) Andiamocene
altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti
sono venuto (lett: uscito): Gesù accetta la sollecitazione dei suoi discepoli, Gesù è
venuto da lontano, è uscito dal Padre perché tanti possano ascoltare la sua
parola.
Giobbe 7, 1-4. 6-7
1) Giobbe, uomo
giusto e buono, è stato privato dei suoi beni, dei figli e della salute e il
libro che porta il suo nome, a partire dalla sua vicenda personale, tratta il
tema del Silenzio del
Signore di fronte all’innocente che patisce. Questo fatto non era spiegabile
dal pensiero religioso del tempo per il quale la sofferenza era
la punizione che Dio infliggeva agli ingiusti.
Giobbe invece afferma la propria giustizia: Mi
terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi
rimprovera nessuno dei miei giorni (Gb 27,6). Giobbe è profezia del Cristo che
si è caricato delle nostre sofferenze, si
è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e
umiliato (Is 53,4).
2) L'uomo non
compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli
d'un mercenario? Il mercenario è il
salariato, l’operaio pagato a giornata. “Duro servizio” traduce la
parola milizia, servizio militare. La durezza di cui si parla è
dovuta sia alla fatica sia all’essere soggetto a un’obbedienza totale, prima e
al di là di ogni umana ragionevolezza.
3) Come lo
schiavo sospira l'ombra: Il desiderio dell’ombra è
grande eppure l’ombra è “un nulla”, come “un nulla” è la vita dello schiavo. Dice Giobbe: un'ombra sono i nostri giorni sulla terra (Gb
8,9).
4) Così a me
sono toccati mesi di illusione e notti di affanno: protagonista è lo scorrere del tempo. Tra l’oggi e l’evento
ultimo (la fine del servizio, la morte) solo mesi d’illusione (mesi vuoti) e notti
d’affanno (notti di fatica). Alla fragilità e
alla vanità della vita umana fa riscontro l’immutabilità e “solidità” della
natura: una generazione se ne va e
un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta e si affretta a tornare là dove
rinasce (Qo 1,4-5).
5) I miei giorni
scorrono più veloci d'una spola, svaniscono senza un filo di speranza: la vita dell’uomo è descritta
servendosi dell’immagine del telaio. Normalmente,
durante la tessitura, la spola si muove molto velocemente trascinandosi il filo.
Giobbe dice che i suoi scorrono più veloci della spola per cui il filo
della speranza (= la vita) si stacca. La
versione greca dei LXX traduce: la mia vita… si è perduta in una vuota
speranza. La speranza non è assente, ma è vuota
come sono vuoti i mesi del v 3. Nuovamente
viene sottolineata l’apparente “inutilità” della vita.
6) Ricordati: all’improvviso la lamentazione
di Giobbe è interrotta da una supplica o forse da un’esclamazione imperiosa a
Dio che continua a tacere e sembra essersi dimenticato di lui.
L’espressione “ricordati” ricorre innumerevoli volte nella scrittura.
La prima volta è il Signore che ordina a Israele: ricordati del giorno del sabato per santificarlo (Es 20,8) e così
pure la seconda volta (cfr. Dt 9,7).
La terza volta invece è Mosè che prega il Signore: ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla
caparbietà di questo popolo e alla sua malvagità e al suo peccato (Dt 9,27).
L’espressione di Giobbe è quindi molto forte perché usa un’espressione usata da
Dio stesso e ci rivela che il suo cuore crede, anche nella dura prova, che
Signore può salvare.
1Corinzi 9, 16-19. 22-23
1) Annunciare il Vangelo non è per me un vanto:
L’uomo non ha nessuna cosa di cui vantarsi o gloriarsi se non nel Signore: ma
chi vuol vantarsi, si vanti di avere senno e di conoscere me, perché io sono il
Signore che pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, e di
queste cose mi compiaccio (Ger 9,24).
2) Guai a me se non annuncio
il vangelo: Paolo è stato
afferrato da Gesù Cristo, parla nel suo nome, completamente abbandonato alla
“buona violenza”che ha conosciuto: mi hai sedotto Signore e io mi sono
lasciato sedurre, mi hai fatto violenza e hai prevalso. . .
mi dicevo: non penserò più a Lui non parlerò più nel suo nome! Ma nel mio cuore
c’era come un fuoco ardente trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di
contenerlo, ma non potevo (Ger 20,7ss).
3) Se lo faccio di mia iniziativa ho diritto
alla ricompensa: gli apostoli erano mantenuti a spese della chiesa
fondata mediante il loro ministero, ma Paolo come è noto, rifiuta questo
privilegio: io non mi sono avvalso di questo diritto (1Cor 9,15).
Paolo annuncia il Vangelo gratuitamente; spende gratuitamente la sua vita non
volendo essere di peso ad alcuno della sua comunità e neppure vuole aprire un
“credito” verso Dio: afferma con forza di non avere diritto ad alcun compenso.
4) Pur essendo libero da tutti,
mi sono fatto servo di tutti: Paolo, imitando Gesù, non
vuole essere servito, ma vuole servire e dare la sua vita in riscatto di molti:
se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi
dovete lavare i piedi gli uni agli altri (Gv 13,14).
5) Tutto io faccio per il Vangelo, per
diventarne partecipe: anche la buona predicazione del Vangelo,
secondo Paolo, avviene solamente se chi lo annuncia è immerso con la sua vita
nella buona notizia: quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo
anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi.
E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo
(1Gv1,3). Paolo è con-partecipe di quello che
annuncia, sta con la sua comunità: non sopra la sua comunità.
SPIGOLATURE ANTROPOLOGICHE
Non possiamo qui riprendere tutta la vicenda di Giobbe.
Ci basta considerare le parole che ascoltiamo dal suo Libro come il lamento di
una vita irrimediabilmente penosa, qui considerata in particolare nella
prospettiva della categoria del tempo. Un
tempo che diventa insopportabilmente lungo quando si è nella prova e
nell’angoscia. Un tempo che diventa come un
soffio quando segna il veloce percorso verso la fine.
Ma tutto si capovolge quando Dio entra nell’intimo della vicenda umana, fino ad
assumerla Egli stesso. Quando Dio, nella
Persona di Gesù, “si fa Giobbe” tutta l’esistenza umana assume un volto
radicalmente nuovo. Anche quello che si
presenta come “male” diventa principio e occasione di un cammino luminoso di
speranza e di pace.
La suocera di Pietro è il simbolo di un’umanità visitata
da un Dio finalmente capace di accostarsi alla ferita dell’uomo per alzarlo e
per promuovere un’esistenza nuova di riconoscenza e di dedizione.
Ma la novità straordinaria è la rivelazione, la scoperta che questa è la
vicenda dell’intera umanità. A Cafarnao tutta
l’umanità è rappresentata da “tutta la città”, che tutta ha bisogno di essere
guarita. Non solo dalla malattia del corpo e
della mente, ma anche dalla malattia dello spirito, subita da coloro che nel
linguaggio del Vangelo sono chiamati “indemoniati”, e cioè posseduti da spiriti
negativi che li fanno essere cattivi, o ladri, o tristi, o suicidi, o
assassini, o disperati… A Cafarnao non ci sono l’Ospedale S. Orsola
e il Carcere della Dozza, il primo per i malati e il secondo per i “cattivi”.
Sono tutti malati. Siamo tutti malati.
O prigionieri. Nessuno deve essere condannato.
Non ci sono i “buoni” e i “cattivi”. Ci sono
solo tutti malati. O prigionieri.
Che colpa ha uno che è malato o prigioniero? Bisogna solo guarirlo e liberarlo!
Gesù, il grande medico dei corpi e delle anime, li vuol curare e guarire tutti.
Per questo “tutti lo cercano”. Alcuni perché
lo conoscono. Molti perché hanno bisogno di
quello che solo Lui può regalare. Lo cercano
anche se non lo conoscono.
Ma Lui vive tra due “appuntamenti”: uno presso suo Padre
che lo ha mandato e lo guida. L’altro è verso
tutta la Galilea e tutto il mondo, perché “per questo è venuto”.
Per questo, già dall’altra domenica, si è preso con sè degli amici ai quali ora
dice: “Andiamocene altrove…”. Le Chiese sono
come la casa di Cafarnao: tutti devono trovarvi Chi li guarisca e li liberi.
La Chiesa non è un tribunale. Il giudizio
spetta a Dio solo. Alla fine.
A noi è lasciato l’incarico della cura e del perdono.
Mansione da noi non gestibile se non a nome e nella potenza di Gesù.
Il bellissimo brano di 1Corinti ci dà la misura dell’opera straordinaria di
Paolo in questa direzione!