Clicca

XX domenica del t. O. (Luciano Manicardi)

stampa la pagina

domenica 14 agosto 2011
Anno A
Is 56,1.6-7; Sal 66; Rm 11,13-15.29-32; Mt 15,21-28
L’integrazione dei pagani nel popolo di Dio: questo il tema che unifica il brano di Isaia e il passo evangelico. In particolare, sia la prima lettura che il vangelo attestano lacapacità di fede dell’altro, del non appartenente al popolo santo. Isaia parla di stranieri che “hanno aderito al Signore per servirlo e amarlo” osservando il sabato e restando saldi nella sua alleanza; nel vangelo Gesù testimonia la grande fede della donna cananea che vince le sue resistenze a esaudirne la richiesta.
Nell’incontro tra l’ebreo Gesù e la donna cananea, rivive per un momento l’antica inimicizia tra il popolo d’Israele e le popolazioni di Canaan, le genti idolatriche che abitavano la terra dove Israele si installò. L’identità rigorosamente giudaica di Gesù, il suo forte senso di appartenenza al popolo eletto, costituisce un ostacolo all’incontro con la donna la quale si scontra con il silenzio di Gesù (cf. Mt 15,23), con la risposta secca rivolta ai discepoli che si fanno intercessori interessati per la donna (“Non sono stato inviato che alle pecore disperse della casa di Israele”: Mt 15,24), con la dura risposta rivolta a lei personalmente (cf. Mt 15,26). E tuttavia Gesù è capace di vivere la sua identità non in modo chiuso ed escludente. La sua “fierezza ebraica” lo porta a incontrare lo straniero a partire da un’identità salda, ma anche aperta, non immutabile, non ingessata in nazionalismi o sciovinismi. E così Gesù insegna a non fare dell’identità un idolo.


Costitutivo dell’identità di Gesù è l’ascolto della sofferenza dell’altro. Gesù si lascia interpellare e cambiare dalla sofferenza che muove la donna: la sua figlia è gravemente malata. Analogamente, Gesù accoglie il centurione pagano che va a lui portando la sofferenza del suo servo (Mt 8,6: “Il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”): l’universale esperienza della sofferenzaè rinvio a quella fragilità dell’umano che Gesù ascolta e che lo conduce a farsi prossimo all’altro, anche se straniero. Ed è elemento costituivo di ogni identità che voglia essere umana, prima che confessionale o nazionale.
Vi è un territorio abitato da ogni uomo, la sofferenza, che travalica ogni patria e ogni confine e ci rende tutti “connazionali”: il mio essere abitante nel territorio della sofferenza (territorio che normalmente isola e separa) diviene occasione di relazione e di giustizia di fronte allo straniero e alla sua sofferenza.

I motivi che rendono così restio Gesù ad accedere alla richiesta della donna sono di ordine teologico: la storia della salvezza implica che egli compia la sua missione presso Israele, non i pagani. Ma l’ascolto della sofferenza dell’altro corregge questa corretta ma astratta visione teologica della storia di salvezza in una più concreta e umana prassi di salvezza delle storie. E anzitutto delle storie personali e famigliari, sempre precarie e sempre traversate da drammi e sofferenze. Inserendosi nella visione della storia di salvezza avanzata da Gesù (i figli d’Israele distinti dai “cani”, i non ebrei), la donna introduce la metafora spaziale della casa e della tavola in cui “i cani domestici” hanno accesso insieme ai figli e si sfamano delle briciole dei figli, legittimi commensali. I cani e i figli, i non-giudei e i giudei hanno un’unica casa e un’unica tavola. L’osservazione geniale della donna converte e dà pienezza alla visione di Gesù: nell’unica casa e attorno a un’unica tavola vi è possibilità di una contemporaneità di pasto tra figli d’Israele e stranieri, contemporaneità in cui il primato di Israele (i figli) è riconosciuto e ridimensionato al tempo stesso.
Gesù riconosce la fede dell’altro e vi fa fiducia: “Grande è la tua fede, ti avvenga come tu vuoi” (Mt 15,28). E fiducia è l’aspetto umano della fede. Creare un clima di fiducia nella chiesa è essenziale perché le persone possano vincere la paura e vivere la fede davvero in una casa comune in cui nessuno è più straniero e ospite, ma tutti sono familiari di Dio (cf. Ef 2,19). Del resto, nella comunità cristiana “non c’è più né giudeo né greco … ma tutti sono uno in Gesù Cristo” (cf. Gal 3,28).
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero
Fonte: monasterodibose
stampa la pagina



Gli ultimi 20 articoli