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Commento al Vangelo della Domenica di Giancarlo Bruni: 20/2/2011 VII Domenica T.O.

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Giancarlo Bruni, (1938) appartiene all'Ordine dei Servi di Maria e nello stesso tempo è monaco della Comunità ecumenica di Bose. Risiede un po’ a Bose e un po’ all’eremo di San Pietro alle Stinche (FI). Il suo impegno nel diffondere una spiritualità biblica mai separata dalla realtà quotidiana e dalla storia, lo ha fatto conoscere come uno degli autori italiani più apprezzati nell'ambito religioso. E’ docente di ecumenismo presso la pontificia facoltà teologica “Marianum” di Roma. Tiene corsi e conferenze in varie parti di Italia e all’estero.

1. Siamo al cuore del discorso della montagna: la parola di Dio come stella orientatrice il cammino dell’uomo viene compiutamente detta (Mt 5,17), e con essa viene compiutamente specificato il contenuto della giustizia superiore (Mt 5,20) portato dalla Luce-Sapienza di Dio che è Cristo (Mt 4,16).
Ove tale giustizia è accolta lì nasce il simile a Dio (Mt 5,48), alla terra e al mondo sale e luce (Mt 5,13-14); lì l’esserci diventa esistenza felice (Mt 5,1-12) come sta scritto: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28), «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (Mt 13,16) «cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (Mt 13,35). E cosa nascosta e ora rivelata in pienezza è la perfezione di Dio origine e modello della perfezione dell’uomo.
2. Ascoltiamo: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio…» (Mt 5, 38-39). Il «fu detto» si riferisce a Esodo 21,24-25: «Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido», la cosiddetta legge del taglione propria al mondo antico tesa a fissare una equivalenza tra danno causato e riparazione, superando il sistema della vendetta lasciato all’arbitrio personale: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido» (Gen 4,23). Siamo dunque al cospetto di una parola orientata a istituire un ordine relazionale più umano e tuttavia soggetta, così come formulata, all’essere intesa come norma che dichiara lecito il «restituire il colpo».
Non era questa l’intenzione della legge quanto di affidare all’istituzione legislativa la casistica offesa-risarcimento, questione sulla quale Gesù non entra lontano dall’immaginarsi come riformulatore del codice penale, non si rivolge infatti ai giudici ma direttamente alla parte lesa, in particolare il discepolo, ricordando che la perfezione va oltre la stessa legittima richiesta di giustizia: essa sta nella non opposizione al malvagio. Questo il «suo dire» che porta a compimento una parola antica di giorni: dalla richiesta di ricomposizione di un diritto leso alla «non resistenza», alla più radicale «nonviolenza». E a titolo esemplificativo vengono riferite alcune situazioni proprie al mondo palestinese di allora: non percuotere chi ti percuote; a chi ti vuole portare in tribunale per una tunica dagli anche il mantello; se per strada trovi àngari, i corrieri militari e civili che ti costringono a portare la loro merce per un miglio fanne due; e dà e non voltare le spalle a chi chiede.
Ma perché tutto questo? La risposta è: «Avete inteso che fu detto: Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano…Voi siate perfetti come è perfetto il Padre» che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa povere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,43-48).
Siamo al cuore del messaggio evangelico. Gesù è venuto a dire la parola ultima su Dio in termini di amore non condizionato da «ragioni etiche», egli ama amici e nemici, malvagi e retti; non condizionato da «ragioni etniche», egli ama giudei e non andando oltre il «Devi amare il tuo compagno» dispensato dall’amare il tuo nemico soprattutto se non del tuo popolo; e non condizionato da «ragioni di reciprocità», il suo amore è nell’ordine della unilaterale libertà, gratuità, universalità e continuità. È un amore in perdita che continua ad amare anche quando non amato.
3. In questo stà la perfezione del Dio di Gesù, nel suo compiere fino in fondo la sua verità. Questo vuol dire perfezione, quella svelata dal Cristo l’Agnello-Servo perfetto (Gv 19,30; 1Pt 2,21-25) che nel dono di sé manifesta l’«incontenibile tenerezza» del Padre. E manifesta altresì in che cosa consiste la perfezione dell’uomo. Perfetto e felice è l’uomo il cui esistere è traduzione della propria verità filiale, sulla scia del suo Signore commento dell’amore del Padre nella quotidianità della vita, riflesso della sua sovrabbondante attenzione a che il sole e la pioggia non manchino a nessuno. Questo è giustizia.

Fonte: novena
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