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EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO - 2 (Paola Radif - Il Cittadino)

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Capitolo primo (Prima Parte)

Educare in un mondo che cambia

Il “mondo che cambia”, già oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa negli anni passati, è ben più – dicono i vescovi – di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove, ma “provoca la fede e la responsabilità dei credenti”.
Gesù ammoniva i suoi contemporanei a saper valutare il loro tempo con i segni che portava in sé e anche il Concilio Vaticano II esortava a scrutare i segni dei tempi interpretandoli alla luce del vangelo. Dunque è questo che si tratta di fare anche oggi, facendo discernimento con l’aiuto dello Spirito Santo, per mettersi accanto ad ogni uomo, alla ricerca di risposte adeguate alle sue attese.
Osservare l’uomo, le sue esigenze e speranze, significa anche prendere coscienza degli aspetti problematici della cultura contemporanea, che tende a ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica e la bellezza a godimento effimero. Nonostante ciò è sempre possibile cercare di riconoscere le potenzialità nascoste e far leva sulle risorse offerte dalla cultura stessa.
Un segno dei tempi può essere senza dubbio considerata l’accresciuta sensibilità per la libertà e d’altronde il desiderio di libertà trova spazio e realizzazione anche nel messaggio cristiano.
Per il cristiano, la libertà è una progressiva conquista attraverso un percorso di liberazione dalle schiavitù delle passioni. Si parla dunque di libertà non come semplice punto di partenza, ma come processo continuo verso il fine ultimo dell’uomo che “può volgersi al bene soltanto nella libertà”.
A questa diffusa ricerca di libertà e amore che rimanda a valori umani, oltre che cristiani, l’opera educativa è chiamata a parlare.
Il messaggio cristiano pone l’accento “sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede”, assai più grandi di ogni attesa umana. L’educatore cristiano ha il compito di diffondere la notizia che il vangelo “può trasformare il cuore dell’uomo, restituendogli ragioni di vita e di speranza”.
Ma ecco, ora, alcuni aspetti oggi diffusi e rilevanti che influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza e affettività.
Si fa sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza, c’è disorientamento, infelicità, depressione. Smarrito il significato autentico dell’educare, l’uomo ritiene di saper “farsi da sé”, separandosi dalle proprie radici, dagli altri e perdendo così via via l’amore di sé e della vita.
Le cause di questo disagio possono individuarsi – in ultima analisi – nella negazione della vocazione trascendente dell’uomo, come scriveva Papa Benedetto XVI: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (Caritas in veritate, 78).
La formazione dell’identità personale avviene oggi in un contesto plurale, con diversi soggetti di riferimento, essendo presenti accanto a famiglia, scuola, lavoro, anche la comunicazione multimediale e le occasioni del tempo libero. Queste condizioni, in cui si colloca il percorso formativo, accrescono la libertà di scelta della persona e fanno appello alla sua responsabilità. Questo riguarda anche la scelta religiosa, perché al centro della relazione dell’uomo con Dio c’è la libertà.
Ne consegue l’urgenza di educare a scelte responsabili e questo inizia già nei primi anni di vita. Non è tuttavia possibile che l’educazione sia neutrale -  come talora si vuol sostenere, per non condizionare la libertà del soggetto – perché il proprio stile di vita rappresenta di fatto una proposta di valori o disvalori. “È ingiusto, continua il documento, non trasmettere agli altri ciò che costituisce il senso profondo della propria esistenza”.
Un altro nodo che si riscontra a livello educativo è dato da scetticismo e relativismo imperanti. La natura è considerata come una cosa puramente meccanica, senza alcun valore mentre la Rivelazione, anch’essa relativa, è solo un momento dello sviluppo storico. Così la storia perde significato perché viene considerata un agglomerato di decisioni occasionali e arbitrarie.
Invece, come ha detto il Santo Padre nel discorso all’Assemblea generale della CEI nel maggio 2010, “nel concerto tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che va sempre avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono le indicazioni per un’educazione che non è imposizione ma apertura dell’io al tu, al noi, e al Tu di Dio”.

Filo diretto col catechista
Quali suggerimenti emergono per il mondo catechistico in questo primo capitolo?

  • Il catechista è certamente attento a ciò che gli cambia intorno, come lo è un genitore, un insegnante, un sociologo. E se ne interessa in modo intenso quanto più sente che i mutamenti rischiano di risultare sterili, se non trovano la giusta collocazione all’interno di una proposta o di un percorso educativo.
  • Un ragazzo “troppo” vivace, talvolta arrogante, o un bambino ostinatamente silenzioso, possono paragonarsi alla “nuvola che sale da ponente”, come Gesù diceva agli apostoli, ricordando che da questo prevedevano pioggia. Dunque: inviano un semplice segno. I nostri ragazzi, con le loro manifestazioni, positive o negative che siano, vogliono comunicare qualcosa. Comunicano con qualsiasi linguaggio, impercettibile o anche rumoroso, e a volte non con parole chiare, come certo preferiremmo per semplificarci la vita.
  • Il catechista deve imparare a fare discernimento per capire i segnali di disagio che gli vengono lanciati e le richieste di aiuto che si nascondono sotto atteggiamenti spesso incomprensibili.
Se riuscirà a essere un buon interprete, il dialogo potrà diventare fluente e fecondo.

Paola Radif
Fonte: ilcittadino.genova
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