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III domenica del tempo Ordinario domenica 23 gennaio 2011 (Luciano Manicardi)

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Is 8,23-9,3; Sal 26; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23 

L’esperienza della salvezza espressa come irruzione della luce in un contesto di tenebra: questo il messaggio che unisce il testo di Isaia e il vangelo. La zona del nord d’Israele, dove erano stanziate le tribù di Zabulon e di Neftali, in passato umiliate sotto la mano del sovrano assiro che le assoggettò, smembrò in tre distretti (cf. Is 8,23b) e ne deportò la popolazione, conosceranno una liberazione (I lettura): la salvezza è qui una liberazione sul piano storico; Gesù che si stanzia in quella medesima regione è la salvezza di Dio fatta persona: la salvezza si situa sul piano teologico (vangelo). Se la salvezza operata da Dio per le zone settentrionali d’Israele appare come una rinascita a popolo di zone ridotte precedentemente a non-popolo, la venuta di Gesù in Galilea provoca la rinascita di alcuni uomini galilei, dei pescatori, a pescatori di uomini, a discepoli di Gesù. La salvezza è qui colta nella sua dimensione esistenziale. La luce che Gesù è si irradia e suscita una chiamata alla sequela e un invio in missione: la salvezza è una nuova nascita, un venire alla luce.
L’arresto di Giovanni Battista segna la fine del suo ministero pubblico e l’inizio del ministero di Gesù. Il ritiro (cf. Mt 4,12) è il luogo spirituale che consente a Gesù di assumere la fine di Giovanni e di decidere l’inizio del proprio ministero. Il ritiro appare luogo di elaborazione della perdita, di confronto con la paura, di assunzione della solitudine, di lettura della realtà alla luce della Parola di Dio (cf. la citazione del passo di Isaia in Mt 4,15-16), di accoglienza di un’eredità e infine di elaborazione della decisione nella piena assunzione della propria responsabilità. Responsabilità nei confronti di Dio, di Giovanni, ma anche delle persone che, senza Giovanni, abitavano in zone tenebrose, prive della luce che Giovanni irradiava. Persone che, per Matteo, non sono solamente dei figli d’Israele, ma anche dei pagani: la “Galilea delle genti” (Mt 4,15) comprendeva una popolazione mista di ebrei e pagani. La luce postpasquale della resurrezione si riflette sul Gesù che si stabilisce a Cafarnao, anticipando la manifestazione del Risorto in Galilea (cf. Mt 28,16-20). 
Gesù inizia il suo ministero situandosi in continuità con il suo predecessore. In effetti, le parole della sua predicazione sono le stesse di Giovanni: “Convertitevi, perché si è avvicinato il Regno dei cieli” (Mt 4,17; cf. Mt 3,2). In Gesù però la pregnanza delle parole sulla vicinanza del Regno è molto più forte: egli stesso, nella sua persona, narra il regnare di Dio. Gesù appare come successore di Giovanni che ne accoglie l’eredità e la vivifica innovandola con la sua presenza messianica. Sempre la trasmissione della fede e della vita spirituale è opera di testimonianza, di martyría: Giovanni è testimone di Dio nella sua vita e nella sua morte (a cui prelude il suo arresto: cf. Mt 11,2-15; 14,3-12), così la sua vita diviene eloquenza, parola, messaggio di Dio stesso (cf. Mt 21,25). E Gesù, sull’esempio di Giovanni e accogliendone il messaggio, consegna la propria vita al cammino che Dio gli dischiude indirizzandolo sulle orme di Giovanni.
La continuità con Giovanni diviene subito novità dell’agire di Gesù: egli chiama con estrema autorità alla sua personale sequela. E la chiamata chiede all’uomo di realizzare il proprio nome (Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni) nella sequela di Cristo; di ordinare la propria umanità alla luce di Cristo, del suo cammino e della sua promessa (“Vi farò pescatori di uomini”: Mt 4,19); di lasciare tutto (il lavoro, la famiglia: cf. Mt 4,20.22) con atto di libertà e di impegnare anche il futuro in un “sì” che viene detto in un momento preciso e di cui non si possono sapere le conseguenze (“subito … lo seguirono”: Mt 4,20.22). Il “subito” della sequela immediata e senza condizioni deve divenire durata, perseveranza, definitività, e questo è possibile solo se si rinnova nel prosieguo del cammino il ringraziamento per la vocazione ascoltata e accolta un tempo, la fiducia nella misericordia del Signore, la docilità al suo Spirito, la preghiera umile al Signore. È possibile solo se si rinnova ogni giorno la scelta fatta un tempo, se si ri-sceglie ciò si è scelto un tempo.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero  

Fonte: MonasterodiBose
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