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III domenica di Pasqua (Enzo Bianchi) 18 aprile 2010

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Leggiamo oggi il capitolo 21 del vangelo secondo Giovanni, una sorta di appendice all’intero vangelo. Nei giorni successivi alla Pasqua, Pietro prende l’iniziativa di andare a pescare, azione simbolica che allude alla missione: il discepolo amato, come gli altri cinque che sono con Pietro sulla riva del lago di Tiberiade, acconsentono alla sua decisione e lo accompagnano. La barca della chiesa si spinge al largo e Pietro la conduce su acque profonde, come un tempo aveva fatto su ordine di Gesù (cf. Lc 5,4). «Ma in quella notte non presero nulla»: non basta che sia Pietro a guidare la pesca, occorre che ci sia anche il Signore. «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5) aveva detto Gesù, e ora in sua assenza la pesca è vana…
Gesù risorto è in realtà presente sulla riva del lago, ma i discepoli non sanno riconoscerlo, poiché sono ancora avvolti dalle tenebre dell’incredulità. Vista la loro pesca infruttuosa, egli indirizza loro parole che li rinviano agli inizi della vocazione: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Essi obbediscono prontamente al suo comando, con il risultato che «non possono più tirare su la rete per la gran quantità di pesci». È allora che il discepolo amato grida: «È il Signore!». Udita questa confessione di fede sgorgata da un cuore che ama, Pietro si sente pervaso di vergogna, e, cintosi ai fianchi il camiciotto per coprire la sua nudità, si getta in acqua, mentre gli altri raggiungono la riva sulla barca. «Scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane». Sebbene li abbia preceduti, Gesù chiede ai discepoli di condividere con lui il frutto della loro pesca: 153 grossi pesci, tanti quante erano le specie allora conosciute, a indicare l’universalità della chiesa. Eppure la rete non si spezza, come la tunica di Cristo non era stata lacerata dai soldati al momento della crocifissione (cf. Gv 19,23-24)…
Al termine del pasto in cui il Signore Gesù si è fatto nuovamente servo dei suoi discepoli, egli si rivolge a Pietro chiamandolo con il nome che questi aveva prima della vocazione, al quale era ritornato dopo il suo rinnegamento. E lo fa ponendogli una precisa domanda: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di tutte queste cose?». Per tre volte Pietro aveva negato di conoscere Gesù, e ora per tre volte il Signore lo interroga, al punto che Pietro, addolorato per questa insistenza, gli risponde: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene!». È il traboccare di un cuore ferito, simile al pianto amaro ricordato dai vangeli sinottici nella notte del tradimento (cf. Mc 14,72), ma qui unito a una confessione di amore. Il Risorto allora lo riabilita, chiamandolo per tre volte ad essere pastore delle sue pecore: il rinnegamento è avvolto dalla misericordia, e Simone torna ad essere Pietro, la Roccia della chiesa.
Gesù rivela poi a Pietro il futuro che lo attende, ricollegandosi ad alcune parole pronunciate nel corso dell’ultima cena. Durante la lavanda dei piedi gli aveva detto: «Tu ora non capisci, capirai più tardi» (Gv 13,7), e anche: «Dove io vado, per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi» (Gv 13,36). Finalmente è giunto il momento di svelare l’ora e il modo di questa sequela: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Sì, Pietro glorificherà Dio accettando di essere condotto là dove non avrebbe voluto: al martirio, quando verserà il sangue per attestare la sua fedeltà a Cristo… E così risuona per lui ancora una volta la chiamata originaria del Signore: «Seguimi!».
Quella che sigilla il quarto vangelo è una pagina preziosa, perché rivela che la chiesa nasce plurale, è per sua natura una comunione plurale: al suo interno, infatti, l’unica volontà del Signore ha posto sia il primato petrino sia il permanere del discepolo amato fino al giorno della sua gloriosa venuta (cf. Gv 21,22-23). Queste due figure complementari ci ricordano che nella comunione dell’unica chiesa di Dio occorre riconoscere la pluralità di tradizioni diverse, tutte però orientate verso l’unico Signore: è questa la condizione perché la missione sia fruttuosa! Non lo si dimentichi: già all’interno dei vangeli l’unità della chiesa è plurale, così come diversi sono i doni e le chiamate, ma unico è il Signore (cf. 1Cor 12,4-6)!
Enzo Bianchi

Fonte: MonasterodiBose
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