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Tonino Bello, la pace in cattedra (di Lorenzo Rosoli e Fulvio De Giorgi, Avvenire 17.3.10)

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Presidente di Pax Christi e vescovo di Molfetta. Cittadino del mondo e pastore di una Chiesa locale. Uomo di azione, di parola, di preghiera. Nato il 18 marzo 1935 ad Alessano (Lecce), Antonio Bello – per tutti don Tonino – domani avrebbe compiuto 75 anni, l’età in cui i vescovi presentano al Papa le dimissioni, se non si fosse spento il 20 aprile 1993, consumato dal tumore. Ma è il seme che muore a dare frutto. «Tonino Bello fu testimone e costruttore di pace. Immerso nelle sfide dei suoi anni. Ma l’eloquenza e la fecondità della sua profezia non sono venute meno», afferma il vescovo di Pavia Giovanni Giudici, attuale presidente di Pax Christi Italia. «Sono visitatore nei Seminari. E a 17 anni dalla sua morte, trovo ancora grande curiosità e attenzione verso di lui. No, non è andato in 'pensione', il nostro don Tonino», incalza il vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo­-Terlizzi, Luigi Martella.

Giudici: con gli ultimi, maestro di speranza - «Voglio rimanere in Pax Christi, rispondeva Tonino Bello agli amici che lo andavano a trovare sul letto di morte. Voglio rimanere nella pace di Cristo. Così fu la sua vita – racconta Giudici, che l’ha conosciuto di persona –. Don Tonino fu uomo di gesti coraggiosi come il pellegrinaggio di pace nella Sarajevo sotto assedio, straziata dalla guerra etnica. Fu prete e vescovo che insegnò a noi, suoi confratelli, l’arte della speranza come condivisione del cammino con i piccoli, gli ultimi, i sofferenti. Da vero pastore del Vaticano II fu sempre attento non solo ai temi del lavoro e della giustizia sociale, ma anche alla liturgia come incontro di un popolo con il mistero di Dio. Il suo linguaggio era ricco di immagini, poetico, creativo, capace di andare al cuore delle cose. E delle persone. Un antidoto alla tentazione dell’ecclesialese». Che cosa significa oggi per Pax Christi camminare 'nella compagnia' di Tonino Bello? «Significa continuare ad essere, come lui ci ha insegnato, al fianco degli ultimi, dei poveri, delle vittime – risponde Giudici –. In Iraq come in America Latina o in Terra Santa, impegnati a costruire 'ponti e non muri', come s’intitola una nostra campagna; sempre pronti a denunciare le logiche di morte del nostro tempo – come abbiamo fatto con la Cei a fine gennaio con un incontro sul traffico internazionale di armi. Nella memoria di Tonino Bello – mentre accompagniamo il suo cammino verso gli altari – rinnoviamo la memoria di martiri del Vangelo della pace e della giustizia come l’arcivescovo Oscar Romero».
Martella: Eucaristia e poveri, la sua passione - Un tempo di grazia, «il processo di beatificazione aperto due anni fa: ci aiuta a scoprire e far conoscere don Tonino non solo come presidente di Pax Christi ma anche come pastore di una Chiesa particolare, quella di Molfetta» scandisce Martella, che conosceva Bello ancor prima che divenisse vescovo. «I suoi gravosi impegni fuori diocesi non hanno mai condizionato la sua presenza a Molfetta. Fu sempre vicino alla sua gente e ai suoi preti; pronto all’incontro con tutti; sempre aperta la sua porta. Don Tonino – in questo Anno Sacerdotale – ci restituisce l’ideale di un prete pieno di passione per il Vangelo vissuto sine glossa, affascinante e credibile perché in lui la Parola diventa vita. Al centro di tutto: l’amore per i poveri e per Cristo Eucaristia. Gli piaceva scrivere i discorsi a un tavolino collocato nella cappellina dell’Episcopio, davanti al tabernacolo». Il suo criterio: «Pensare globalmente, agire localmente». Uomo del Sud, «innamorato della sua terra, della quale sapeva denunciare i mali ma anche additare le ricchezze, sarebbe stato certamente 'protagonista' del cammino che ha portato la Cei alla pubblicazione del documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno ». Il 20 aprile prossimo, anniversario della morte, Molfetta accoglierà un convegno regionale su Bello e i giovani al quale parteciperà Giudici. «E il 30 aprile in Cattedrale si terrà la prima sessione del Tribunale per la causa di beatificazione – anticipa Martella –. Ci saranno il prefetto della Congregazione delle cause del santi, l’arcivescovo Angelo Amato, nativo di Molfetta e il postulatore, l’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo, Agostino Superbo». E sarà un giorno di festa. Grazie a quel seme che continua a dare frutto.

Nel marzo di quest’anno, don Tonino Bello avrebbe compiuto 75 anni e perciò, come tutti i suoi confratelli vescovi, avrebbe rassegnato le sue dimissioni nelle mani del Papa e sarebbe diventato vescovo emerito, andando 'in pensione'. Ma il Signore lo ha già chiamato, nel 1993, nella Casa del Padre. Don Tonino non è perciò mai andato e non andrà mai 'in pensione'. È una bella immagine per dare la cifra di questo mio ricordo: e mi pare quasi di vederlo, don Tonino, in Paradiso, a braccetto con il suo (e mio) maestro nella fede, monsignor Michele Mincuzzi, che alla questione dell’utilizzazione pastorale dei vescovi emeriti aveva dedicato i suoi ultimi pensieri, un po’ dolenti, ma sempre caldi di passione per la Chiesa. Cosa si staranno dicendo, ora, in cielo, i due grandi vescovi del Mezzogiorno? Staranno certo parlando con tenerezza della loro Chiesa, ciascuno con il suo indimenticabile sorriso: disarmato, come di un bambino attento e vivace, quello di don Tonino; sapiente e dolcemente ironico, il sorriso di don Michele. E un altro ricordo, un altro anniversario, affiora spontaneo: il 25° della presidenza di Pax Christi (che don Tonino assunse nel 1985) e, insieme, il 25° della riflessione che egli offrì alla sua diocesi di Molfetta, dopo il Convegno di Loreto della Chiesa italiana. Una riflessione, quest’ultima, oggi attualissima, fin dall’esortazione d’esordio: Coraggio, Chiesa! Vai alla ricerca degli ultimi sul tuo territorio. Il loro nome è: moltitudine. E come non riconoscere una penetrazione profetica in un altro scritto dedicato alle 'litanie della paura'? A rileggerlo, sembra che parli di oggi e della nostra condizione nella società del 2010. Don Tonino notava un 'trasferimento' nell’origine delle paure: non più da eventi della natura (catastrofi, pestilenze, carestie) ma, prevalentemente, da eventi della storia umana. «Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dall’avarizia della terra, ma della carestia prodotta dall’avarizia dell’uomo. È dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee ». E ne faceva l’elenco, quasi una triste litania: «Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro. Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei marocchini. Paura dei terzomondiali. Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne, che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci viene il sospetto che questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze evangeliche. Paura di uscire di casa. Paura della violenza. Paura del terrorismo». E continuava, ancora: «Paura di non farcela. Paura di non essere accettati. Paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati. Paura che sia inutile impegnarsi. Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo noi. Paura che ormai i giochi siano fatti. Paura di non trovare lavoro. Quante paure!». Certo, da vero discepolo di Cristo qual era, non c’era nulla di genuinamente umano che non trovasse eco nel suo cuore. Ed egli comprendeva angosce e tristezze, ma cercava di condurle alla speranza: al coraggio cristiano che vince le paure. Con la fede pura e ferma nel Vangelo di Gesù. Con la grande bussola orientatrice del Concilio Vaticano II. Ecco la capacità di leggere i segni dei tempi: i movimenti profondi della storia, non quelli effimeri della cronaca. Era quella profondità degli animi di uomini e donne in cammino, comunque, verso il Regno: la stessa profondità su cui più volte aveva riflettuto Aldo Moro, salentino come lui (e come lui legato a Mincuzzi). Perciò don Tonino non va in pensione. I suoi libri si leggono sempre e da tanti. Le sue intuizioni pastorali appaiono veramente attualissime. Sì, anche la sua 'pastorale' di coraggio evangelico non va in pensione. Forse qualche paura oggi c’è anche nella Chiesa: potrebbe non esserci? E forse, nella Chiesa, anche noi laici potremmo rimanere in qualche modo prigionieri della paura; proprio quella che lui ha indicato: paura di non farcela; paura di non essere accettati; paura di rimanere impantanati; paura che l’impegno sia inutile… Eppure il Vangelo è sempre con noi. Lo Spirito continua a soffiare. E, se lo vogliamo, il magistero del Concilio ci orienta sempre. Così, con apertura d’animo e senza preconcetti, possiamo riprendere quella riflessione di don Tonino, di venticinque anni fa, e vederne l’attualità pastorale, e vedere davvero il profilo di Chiesa delineato con sapienza: una Chiesa «sicura solo del suo Signore », una Chiesa «disarmata, che si fa 'compagna' del mondo, che mangia il pane amaro del mondo». Tutti noi lo sappiamo: alla Chiesa del Vangelo (e perciò del Concilio) ci chiama lo Spirito. In una società pervasa dal relativismo nichilistico, davanti alle tante paure e alle difficoltà umane derivate dalla crisi economica, non servono le prediche enfatiche, gli irrigidimenti culturali, le manovre politicistiche: «Oggi dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci, con umiltà e discrezione, accanto a tanti giovani che la sera affollano il corso, ai tanti indifferenti senza Dio, senza codici, senza lavoro, senza progetti, senza ideali. È questo il nuovo grembo in cui la Parola di Dio attende di farsi carne. E farci compagni di viaggio senza arroganza, ma rimotivando la vita e spostando così, piano piano, l’ago dal concetto di 'significato per me' al concetto di 'valore per tutti'». Un grande messaggio pastorale di speranza e un progetto esistenziale di gioia. Insieme, alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi.
Antonio Bello è nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935. Dopo il Seminario a Ugento ha frequentato quello regionale di Molfetta e il Seminario O.n.a.r.m.o. di Bologna. È stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1957 conseguendo poi la Licenza in teologia alla Facoltà Teologica di Milano e il dottorato alla Lateranense. Nella sua diocesi d’origine è stato nominato prima vice rettore e poi rettore del Seminario, direttore dell’Ufficio pastorale, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Ugento e infine della parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria di Tricase. Il 10 agosto 1982 Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi e il 30 settembre 1982 vescovo di Ruvo. Nel 1985 è stato nominato presidente nazionale di Pax Christi. Ha pubblicato numerosi volumi. È morto a Molfetta il 20 aprile 1993; ai funerali hanno partecipato decine di migliaia di persone. Il cimitero di Alessano, dove oggi riposano le sue spoglie, è costante meta di pellegrinaggio.
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