Paola Radif commenta "Camminare nelle vie dello Spirito". Lettera Pastorale 2009-2010 Card. Bagnasco (2)
Capitolo II
Verso il “centro”
Il Cardinale constata che la modernità “non ha mantenuto la promessa di fondo: costruire un mondo più umano e sereno.” Tutte le conquiste del progresso rischiano infatti – se assunte a mito o usate in chiave strumentale – di ridurre la persona alla sola dimensione della materialità e quindi non ne valorizzano tutte le potenzialità.
Incapace di ascoltare il mistero delle cose o, quanto meno, ostacolato nella riflessione sul senso ultimo dell’esistenza, l’uomo prima o poi avverte in sé l’esigenza di valutare “se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”, come scriveva Camus.
Porsi quelli che il filosofo ebreo Martin Buber ricorda come i tre punti di partenza per una seria riflessione esistenziale,e cioè: “Da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno rendere conto”, aiuta a recuperare la dimensione profonda dello spirito, che l’odierna cultura orizzontale e pragmatica vorrebbe mettere tra parentesi. Individuato il centro, che è il senso globale dell’esistenza, e una volta raggiunto, prosegue l’arcivescovo, l’uomo potrà costruirvi intorno quell’edificio che chiamiamo “vita spirituale” e che costituisce la struttura portante di ogni persona.
La diffusione sempre più in crescita ai nostri giorni di fenomeni come l’occultismo, la superstizione, il fascino di alcune filosofie orientali, pur non coerenti con la fede, è tuttavia segno di una ricerca e prova di una convinzione che la vita non sia solo una sequenza di giorni senza senso né prospettiva.
L’uomo “quanto più si avvicina al centro interiore dell’anima, tanto più diventa cosciente che il suo centro radicale e fondativo è fuori di sé: è Dio.” Ed è significativo, scrive ancora il Cardinale, che già Plutarco nel 1° sec. d.C. affermasse: “Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, che ignorano la scrittura, non hanno re, case, ricchezze, non fanno uso di monete, non conoscono teatri e palestre; ma nessuno vedrà, né vedrà mai, una città senza templi e senza divinità.”
Inoltre, poiché la vita quotidiana, ricorda l’arcivescovo, coi suoi pressanti impegni diventa una sfida, un pretesto per sfuggire in qualche modo al richiamo della nostra dimensione spirituale, rientrare in se stessi è l’atteggiamento giusto perché è nell’uomo interiore che abita la verità.
In questo cammino verso la parte più interna di noi stessi riconosciamo quello che S.Teresa d’Avila scriveva nel “Castello interiore”. L’anima umana le era apparsa in visione come un castello costituito da un prezioso diamante, circondato da stanze e incastonato nelle mura di cinta : il cuore di tutto questo edificio è la sua parte centrale, dove si svolge il rapporto di maggior segretezza tra Dio e l’anima.
Per raggiungere il centro è indispensabile il silenzio, ma il silenzio “buono”, cioè quello in cui l’anima si riposa e si ristora. Non un “mutismo”, segno di distanza e di distacco, ma un tacere che è abitato dalla ricerca e dal gusto della verità: un silenzio che è “il guardiano dell’anima.”
Il catechista in ascolto
Che cosa dice al catechista questo capitolo II?
Al catechista si chiede uno sguardo equilibrato nei confronti dei due binari sui quali scuola, cultura, società e, forse, famiglia collocano i ragazzi nel percorso di questi loro anni di vita, particolarmente importanti ai fini di una formazione umana e cristiana. Ci riferiamo al piano puramente scientifico, pragmatico e a quello spirituale. Il catechista ricorrerà con fede allo Spirito Santo per riuscire a proporre con parole giuste, con dolcezza e gradualità, e naturalmente sempre con grande chiarezza, i valori spirituali senza troppo sminuire le realtà materiali.
Tutte le novità in fatto di tecnologia possono essere apprezzabili, purché non diventino troppo “indispensabili”. Anche le spiegazioni puramente scientifiche di tanti eventi o fenomeni dovranno essere inquadrate in un’ottica compatibile con la fede, nella quale è sempre possibile trovare un punto d’incontro anche partendo dalla semplice razionalità.
Dialogando con i ragazzi su quelle che sono le loro attività e le loro aspirazioni, il catechista può poi inserirsi sempre più nel secondo binario, quello spirituale, senza mai escludere l’altro, per non diventare troppo teorico, offrendo, per esempio, qualche spunto concreto per la preghiera.
A questo proposito si potrà introdurre anche il discorso sulla necessità di momenti di silenzio, per non essere frastornati da rumori, confusione e musica spesso troppo assordante e talvolta inopportuna.
Ci pensiamo mai al fatto che nell’era della comunicazione tutti i mezzi sofisticati che abbiamo anziché aiutarci a comunicare ci isolano? Gli sms non ci fanno parlare con gli amici e non aiutano il vero dialogo, la musica ascoltata in cuffia ci illude di essere meno soli, ma in realtà ci estrania completamente dall’ambiente circostante, il computer ci fa disimparare la scrittura di una lettera perché l’ e-mail è più veloce e poi c’è il correttore automatico e anche il traduttore in lingua, se per caso servisse…poveri noi, stiamo esagerando, dove andremo a finire?
Proporre almeno di avere qualche spazio di tempo senza sfidare i decibel con la musica nelle orecchie è chiedere troppo? E se sì, perché?
Verso il “centro”
Il Cardinale constata che la modernità “non ha mantenuto la promessa di fondo: costruire un mondo più umano e sereno.” Tutte le conquiste del progresso rischiano infatti – se assunte a mito o usate in chiave strumentale – di ridurre la persona alla sola dimensione della materialità e quindi non ne valorizzano tutte le potenzialità.
Incapace di ascoltare il mistero delle cose o, quanto meno, ostacolato nella riflessione sul senso ultimo dell’esistenza, l’uomo prima o poi avverte in sé l’esigenza di valutare “se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta”, come scriveva Camus.
Porsi quelli che il filosofo ebreo Martin Buber ricorda come i tre punti di partenza per una seria riflessione esistenziale,e cioè: “Da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno rendere conto”, aiuta a recuperare la dimensione profonda dello spirito, che l’odierna cultura orizzontale e pragmatica vorrebbe mettere tra parentesi. Individuato il centro, che è il senso globale dell’esistenza, e una volta raggiunto, prosegue l’arcivescovo, l’uomo potrà costruirvi intorno quell’edificio che chiamiamo “vita spirituale” e che costituisce la struttura portante di ogni persona.
La diffusione sempre più in crescita ai nostri giorni di fenomeni come l’occultismo, la superstizione, il fascino di alcune filosofie orientali, pur non coerenti con la fede, è tuttavia segno di una ricerca e prova di una convinzione che la vita non sia solo una sequenza di giorni senza senso né prospettiva.
L’uomo “quanto più si avvicina al centro interiore dell’anima, tanto più diventa cosciente che il suo centro radicale e fondativo è fuori di sé: è Dio.” Ed è significativo, scrive ancora il Cardinale, che già Plutarco nel 1° sec. d.C. affermasse: “Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, che ignorano la scrittura, non hanno re, case, ricchezze, non fanno uso di monete, non conoscono teatri e palestre; ma nessuno vedrà, né vedrà mai, una città senza templi e senza divinità.”
Inoltre, poiché la vita quotidiana, ricorda l’arcivescovo, coi suoi pressanti impegni diventa una sfida, un pretesto per sfuggire in qualche modo al richiamo della nostra dimensione spirituale, rientrare in se stessi è l’atteggiamento giusto perché è nell’uomo interiore che abita la verità.
In questo cammino verso la parte più interna di noi stessi riconosciamo quello che S.Teresa d’Avila scriveva nel “Castello interiore”. L’anima umana le era apparsa in visione come un castello costituito da un prezioso diamante, circondato da stanze e incastonato nelle mura di cinta : il cuore di tutto questo edificio è la sua parte centrale, dove si svolge il rapporto di maggior segretezza tra Dio e l’anima.
Per raggiungere il centro è indispensabile il silenzio, ma il silenzio “buono”, cioè quello in cui l’anima si riposa e si ristora. Non un “mutismo”, segno di distanza e di distacco, ma un tacere che è abitato dalla ricerca e dal gusto della verità: un silenzio che è “il guardiano dell’anima.”
Il catechista in ascolto
Che cosa dice al catechista questo capitolo II?
Al catechista si chiede uno sguardo equilibrato nei confronti dei due binari sui quali scuola, cultura, società e, forse, famiglia collocano i ragazzi nel percorso di questi loro anni di vita, particolarmente importanti ai fini di una formazione umana e cristiana. Ci riferiamo al piano puramente scientifico, pragmatico e a quello spirituale. Il catechista ricorrerà con fede allo Spirito Santo per riuscire a proporre con parole giuste, con dolcezza e gradualità, e naturalmente sempre con grande chiarezza, i valori spirituali senza troppo sminuire le realtà materiali.
Tutte le novità in fatto di tecnologia possono essere apprezzabili, purché non diventino troppo “indispensabili”. Anche le spiegazioni puramente scientifiche di tanti eventi o fenomeni dovranno essere inquadrate in un’ottica compatibile con la fede, nella quale è sempre possibile trovare un punto d’incontro anche partendo dalla semplice razionalità.
Dialogando con i ragazzi su quelle che sono le loro attività e le loro aspirazioni, il catechista può poi inserirsi sempre più nel secondo binario, quello spirituale, senza mai escludere l’altro, per non diventare troppo teorico, offrendo, per esempio, qualche spunto concreto per la preghiera.
A questo proposito si potrà introdurre anche il discorso sulla necessità di momenti di silenzio, per non essere frastornati da rumori, confusione e musica spesso troppo assordante e talvolta inopportuna.
Ci pensiamo mai al fatto che nell’era della comunicazione tutti i mezzi sofisticati che abbiamo anziché aiutarci a comunicare ci isolano? Gli sms non ci fanno parlare con gli amici e non aiutano il vero dialogo, la musica ascoltata in cuffia ci illude di essere meno soli, ma in realtà ci estrania completamente dall’ambiente circostante, il computer ci fa disimparare la scrittura di una lettera perché l’ e-mail è più veloce e poi c’è il correttore automatico e anche il traduttore in lingua, se per caso servisse…poveri noi, stiamo esagerando, dove andremo a finire?
Proporre almeno di avere qualche spazio di tempo senza sfidare i decibel con la musica nelle orecchie è chiedere troppo? E se sì, perché?
Paola Radif