Paolo Gamberini "Meno c’è fede, più c’è speranza!"
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Quante volte nella nostra vita dinnanzi ad una disgrazia e al male, ad una sofferenza insopportabile e al dubbio che minaccia la nostra pur fragile certezza che Dio ci voglia bene, abbiamo detto: “Signore, aumenta la mia fede”. Pensando che quanto più ci sia fede, tanto più le situazioni si risolvono.
Più delle volte in ciò che domandiamo c’è rassegnazione: donami, Signore, la capacità di accettare le cose così come sono. Intanto nulla potrà cambiare. Quante volte ci sentiamo sbattuti e travolti dagli eventi. Tutto quello che ci accade lo prendiamo per il nostro destino o per l’insondabile ed immutabile fato.
“Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe” (Mt 17,20).
La fede può essere piccola quanto un granellino di senapa, eppure fare cose straordinarie: la parabola di Gesù sembrerebbe spingersi fino all’impossibile. Infatti come può un albero di gelso sradicarsi da solo e trapiantarsi, cioè mettere le radici nell’acqua del mare? Tutto questo non solo è straordinario, ma impossibile. Ma la fede può fare l’impossibile.
L’impossibile non sta tanto in ciò che la fede compie, ma nel fatto che la fede fa agire, è attiva la fede: non è una quieta e stanca rassegnazione alle cose, anzi, arriva a sconvolgere l’ordine del creato, le “leggi” cosiddette della natura. Un gelso è ben radicato nella terra. Ebbene nulla c’è per la fede che sia inamovibile o sacrosanto. Non c’è niente di più contrario alla fede, dico quella di cui ne basta poco, che la rassegnazione o l’assuefarsi al destino.
La fede è coraggio e decisione, azione e iniziativa: la fede è coraggio di progettare e di compiere cose nuove, di uscire da schemi consolidati da leggi secolari ed immutabili.
Certamente la fede, dico quella di cui ne basta poco, è capace di accettare tutto quanto c’è di negativo nella vita – peccato, dubbio, non senso, violenza e morte – ma con coraggio e non passività. E qui accettare con coraggio, e con fede, vuol dire non lasciarsi paralizzare dalla negatività, dicendo che intanto nulla potrà cambiare, ma reagire cogliendo lo spiraglio di positivo che anche la situazione più nera possiede, fosse anche solo proprio il fatto che mi rendo conto di poter reagire.
Questa capacità di spezzare le logiche necrofile presenti nella nostra società, nella chiesa, nelle nostre famiglie e comunità religiose, è la stessa forza di Dio che non vuole la morte, ma la vita. Questa forza vitale ed amante della vita, che è la fede, dico quella di cui ne basta poco, può far stare un gelso sul mare, cioè, può far vigoreggiare una pianta anche se le viene a mancare la terra della sicurezza a cui si tiene stretta con tutta forza delle radici.
La fede, dico quella di cui ne basta poco, sa vivere anche sull’incertezza dei flutti dei tempi, quando la paura ci sta sgomentando e ci blocca a cambiare e far progetti di vita.
La fede, dico invece quella che ne vorremmo sempre di più, è quella di cui ce ne tanta in Italia ed è per questo che ne vorremmo ancora di più. C’è anzitutto troppo cattolicesimo nel nostro paese: la maggioranza della popolazione in Italia e in particolare al Sud continua ad identificarsi nei valori della tradizione, ma senza viverli e lasciarsi coinvolgere. Le tappe dell’esistenza sono ancora segnati da questa fede nominale, di cui se ne vorrebbe sempre ancora di più.
Innanzitutto i fedeli, perché bisognosi di sicurezze e bisognosi di miracoli, di madonne e di Padre Pio. Anche i preti ne vorrebbero di più di questa fede: approfittando di una certa ricerca di fede anche tra persone un tempo non credenti si tenta di aver spazio nella televisione con servizi continui sul papa e dando spazio ai migliori comunicatori della fede ed organizzando incontri di massa di preghiera.
Di questa fede se ne vorrebbe sempre di più, e dato che forse non ce n’è abbastanza, si finisce per far appello all’impegno morale richiesto da chiunque. L’azione caritativa, l’impegno verso gli altri e a fini di solidarietà, hanno quasi sostituito l’annuncio di fede. La Chiesa è in parte ancora convinta di operare in un mondo fondamentalmente cristiano (nonostante la crisi irreversibile della fede cristiana) e cerca di coinvolgere l’insieme della popolazione e di rispondere alle più diverse domande religiose e sociali.
“Se aveste fede quanto un granellino di senape”.
In tutto questo, alcune strategie anche della Chiesa sembrano più dettate dalla rassegnazione e dal bisogno di arroccarsi sulle proprie certezze, come se si volesse guadagnare a tutti i costi il terreno perduto nella società, nella politica e ancor più nelle coscienze dei cattolici.
C’è ancora molto orgoglio in tutto questo: nella Chiesa come sistema che cerca di conservarsi ed espandersi e in ciascuno di noi. Ci teniamo a quello che abbiamo compiuto ed operato nel campo del Signore. Abbiamo diritto di sederci a tavola per primi, poiché abbiamo fatto quello che ci era stato chiesto.
Ci è difficile sradicarci dalle nostre “grandi” opere e gettarci nel mare. “Siamo servi inutili”, ci ricorda il Signore. Queste parole sono certamente dure, ma ci liberano dalla logica della ricompensa e del dovuto. Dischiudono le nostre storie, la storia stessa della Chiesa, alla novità della fede che desidera l’impossibile. L’orgoglio di chi vuole conservare per espandersi è stupido, la disperazione di chi crede di aver perso tutto è sterile: solo la fede, dico quella che ce ne vuole poco, vince. Non c’è altra strada per avere la vita.
Meno ce n’è, più ce n’è di fede. La fede piccola e umile dell’impossibile.