Gianfranco Ravasi «La cremazione»
Di fronte alla sconfitta totale nella battaglia contro i Filistei, il re Saul implorò il suo scudiero di trafiggerlo con la spada, «ma lo scudiero non volle perché era troppo spaventato. Allora, Saul afferrò la spada e vi si gettò sopra» (1 Samuele 31,4). I Filistei piombarono su quel cadavere, gli staccarono la testa, come fecero ai suoi tre figli caduti nel combattimento. Gli abitanti del villaggio ebraico di Iabes, legato a Saul, avuta la notizia, «presero il corpo di Saul e quelli dei suoi figli, li portarono a Iabes e qui li bruciarono» (31,12).
È questa la prima menzione della Bibbia di una cremazione di cadavere in un contesto tragico. Un paio di secoli dopo, con sdegno il profeta Amos condannerà il popolo di Moab, tradizionale avversario di Israele, «perché aveva bruciato le ossa del re di Edom [che pure era un nemico degli Ebrei] riducendole poi in calce» (2,1). Per la Bibbia la cremazione era, infatti, considerata un atto infame, così come l’abbandono di una salma senza sepoltura. È ciò che attesta con orrore un altro profeta, Geremia: «I cadaveri degli uomini giacciono come letame nel campo, come i covoni dietro il mietitore, e nessuno li raccoglie» (9,21). E contro il re perverso Ioiakim egli citerà un terribile oracolo divino: «Il suo cadavere sarà esposto al caldo del giorno e al freddo della notte» (36,30).
Ben diversa è, invece, la considerazione che la pratica della cremazione gode presso altri popoli fin dall’antichità greco-romana; anzi, essa è il rito funebre dominante nell’India brahmanica e in altre civiltà asiatiche o dell’antico Messico. Come è noto, la Chiesa cattolica in passato aveva condannato questa prassi a causa di certe concezioni materialistiche e antireligiose ad essa sottese. Non possiamo, poi, dimenticare l’infamia del nazismo con l’orrore dei forni crematori in funzione in vari lager.
Ora, però, l’atteggiamento ecclesiale è cambiato: lo stesso Codice di diritto canonico, pur raccomandando «la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti», non proibisce la cremazione «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla fede» (canone 117C, comma 3). Su questa linea si erano mossi altri documenti ecclesiali, come l’istruzione Ad resurgendum cum Christo della Congregazione per la Dottrina della fede (2016). Questo stesso dicastero vaticano nel dicembre scorso, rispondendo a una richiesta avanzata dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha offerto alcune indicazioni pastorali ulteriori. Ne riprendiamo la sostanza secondo una duplice direzione.
La prima riguarda la possibilità di «predisporre un luogo sacro per la conservazione delle ceneri dei battezzati, indicando per ciascuno i dati anagrafici per non disperderne la memoria nominale». La seconda precisazione riguarda, invece, la possibilità di «valutare la richiesta da parte di una famiglia di conservare debitamente una minima parte delle ceneri di un loro congiunto in un luogo significativo per la storia del defunto». La cremazione scelta senza preconcetti materialistici è, quindi, accolta dalla Chiesa che, già nel Rito delle esequie contemplava una celebrazione specifica nella cappella del cimitero o presso la tomba o persino nella stessa sala crematoria e ora in un eventuale “cinerario” comune, parallelo al cimitero con la sepoltura con inumazione. La diffusione di questa prassi non deve però debordare in forme sconcertanti come la dispersione delle ceneri che può evocare una visione immanentistica e materialistica. Essa collide con la fede nella Risurrezione finale che vedrà la nostra identità personale in una forma gloriosa e trasfigurata, liberata dai limiti di questo mondo.