Roberto Repole "La crisi della Chiesa che torna minoranza e fa pseudo-carità"
5 agosto 2024
Pubblichiamo parte dell'articolo "Riflessioni sulla Chiesa del futuro" dell'arcivescovo di Torino Roberto Repole dalla rivista "Vita e pensiero", bimestrale dell'Università Cattolica di Milano in vendita in libreria. Il tema è quello della Chiesa delle origini, fatta di comunità piccole, che nei secoli ha attraversato le epoche della cristianità, ormai esaurita.
Ora la Chiesa dunque torna simile a quella degli inizi.
Come sarà la Chiesa fra dieci, venti, trent’anni? Come dobbiamo ragionare di fronte ai numeri della partecipazione religiosa in forte calo o alla notizia di intere parrocchie che vengono cancellate?
Generalmente gli studiosi distinguono il concetto di “cristianità” e di “cristianesimo”. Cosa si intende per cristianità? Proprio quel nuovo modo di essere cristiani, nel quale la Chiesa non era più minoranza bensì maggioranza, anzi divenne la totalità. Appartenere alla società civile e appartenere alla Chiesa divenne un tutt’uno. Con annessi e connessi.
Siccome dominava la cultura imperiale, la Chiesa assorbì quella cultura e quella forma mentale. Rispetto all’imperatore, che era divenuto anch’esso cristiano, si cominciò a dire che il papa aveva un potere superiore, che però si esprimeva nelle stesse forme del potere dell’imperatore. Sorse quello che noi oggi chiamiamo “clericalismo”: c’era qualcuno che pensava di essere più cristiano di altri.
Per farla breve, dal IV secolo in avanti noi abbiamo ereditato questo nuovo modo di essere Chiesa maggioranza, che si è tradotto in tante forme strutturali esteriori. La Chiesa si è ramificata in tutti i territori, coprendoli interamente con i propri servizi. A un certo punto si è pensato che la missione dell’evangelizzazione fosse addirittura compiuta, conclusa, che non ci fosse più nessuno da convertire.
Solo la scoperta delle Americhe riattivò l’idea dell’annuncio. Nei secoli recenti, sotto i colpi della cultura moderna, la sovrapposizione fra società civile e Chiesa ha cominciato a incrinarsi.
La teologia dell’Ottocento e soprattutto del Novecento, il magistero del secolo scorso, in particolare grazie al grande evento della Chiesa che è stato il Concilio Vaticano II, hanno cominciato a prendere consapevolezza che occorresse ripensare la Chiesa non più secondo il modello della “cristianità” maggioritaria.
Finita l’epoca costantiniana, l’epoca della cristianità, si è aperta la fase della “postcristianità”. Dal Concilio sono trascorsi sessant’anni. È stata una lunga storia, ma oggi noi dobbiamo essere consapevoli di essere la stessa Chiesa di sempre, solo in modi rinnovati. Siamo tornati a essere una Chiesa – verrebbe da dire – più simile a quella degli inizi della vicenda cristiana.
La grande fatica che oggi dobbiamo affrontare è quella di ripensarci, non essendo più la totalità, forse neppure più la maggioranza. Ritrovando la freschezza degli inizi, quando i cristiani erano una minoranza. Sappiamo di trovarci a un guado, in un passaggio: ciò che abbiamo ereditato, il modo di essere Chiesa dei secoli passati, non esiste più. Si tratta di passare a un altro modo, che però non abbiamo ancora in mente e soprattutto non abbiamo nella carne. Questa situazione può creare un po’ di sconcerto, un po’ di timore. Oggi la Chiesa, in Europa, continua a essere riconosciuta come un’istituzione molto importante. Ad esempio per quanto riguarda l’impegno nel sociale. Il papa è invocato come autorità mondiale, come mediatore per la pace in Ucraina, è un’autorità riconosciuta ben al di là del mondo cristiano.
Per altro verso, la Chiesa sta perdendo la capacità di informare i comportamenti delle masse: penso ai cosiddetti temi etici, alla questione dell’affettività, della difesa della vita.
Su questi temi la Chiesa ha sempre meno presa nell’opinione pubblica, e ben poca nei comportamenti.
Io sono convinto che nel mondo di oggi, e anche di domani, la Chiesa divenuta minoranza continuerà a collaborare in mille modi alla vicenda degli uomini e a intervenire laddove ci sono povertà e umiliazioni.
Povertà materiali, ma anche spirituali. Rispetto all’impegno sociale, per rimanere la Chiesa di Gesù Cristo ed essere vigili, dovremo fare molta attenzione nel futuro a non accontentarci di operare una “pseudo-carità”, separata dall’adesione a Gesù.
La Chiesa non può limitarsi ad aiutare i poveri, dovrà essere profetica per non limitarsi a soccorrere le vittime della società ipercapitalista, che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Una Chiesa radicata in Gesù, anche se minoritaria, non si adeguerà al mantenimento degli status quo e lavorerà per progettare una società più giusta, più equa, senza persone strutturalmente condannate alla marginalità.
Ci si chiede poi dove siano finiti i giovani, che disertano le chiese. La Chiesa di oggi non è solo minoritaria, ma in forte invecchiamento. In verità non solo la Chiesa, ma l’intera società occidentale.
I motivi sono moltissimi. C’è poca fiducia nella vita e nel futuro, viviamo pochi orizzonti di speranza, anche perché siamo immersi in una cultura che non offre spiragli di speranza.
Rimanere desti rispetto alla cultura nichilista è uno dei grandi compiti dei cristiani in questo tempo. La scarsa adesione dei giovani all’esperienza cristiana mi fa pensare che la Chiesa oggi non è più percepita come risorsa spirituale. È una grave povertà, se consideriamo la ricchezza straordinaria della nostra tradizione spirituale.
Viviamo un cristianesimo che non offre veri cammini di spiritualità. I giovani chiedono proposte alte. Ma, lo ripeto, la Chiesa può offrire soltanto ciò che vive.
In definitiva, io credo che molti cristiani non sentano più l’urgenza o la bellezza di annunciare e testimoniare Gesù Cristo agli altri. Credo che in maniera sottile molti cristiani facciano proprio il nichilismo contemporaneo o, se volete, quella forma di nichilismo che è l’assoluto relax, il relativismo.
Una cosa vale l’altra. Ma io non sto nella Chiesa e non sono cristiano se una cosa vale l’altra. Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù Cristo.
Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano.
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