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Rosanna Virgili “Il ritratto della donna che salva Mosè dalle acque”

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10 Luglio 2024


«Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: “È un bambino degli Ebrei”. La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: “Devo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?”. “Va’”, rispose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: “Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario”. La donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè, dicendo: “Io l’ho tratto dalle acque!» (Es 2,5-10).

Chi non sa e non ha mai provato a immaginare questa dolcissima scena in cui un neonato, figlio di schiavi, viene soccorso e salvato da una principessa, figlia del re? Sembra davvero tessuta di quella materia di cui… son fatte le favole! Ma se c’è un popolo ebraico che ricorda come le sue antiche origini affondino in un esodo dal Paese d’Egitto, allora qualcuno deve aver preso l’iniziativa per guidarlo nel Paese dei Cananei, condotto dalla Voce di Dio. 

Mosè salva Israele dalla perdita della sua identità che Faraone voleva realizzare uccidendo i suoi figli maschi e cancellandone, così, il nome dalla terra. Ma qualcuno deve essere stato il salvatore del salvatore…anzi la “salvatrice”! Qualcuno deve aver “salvato dalle acque” (del Nilo) l’uomo che riuscirà ad aprire le acque (del Mar Rosso) per salvare gli Israeliti. Ed ecco la figlia di Faraone che si presta a fare tutto questo. Con libera decisione e coraggiosa insubordinazione al volere paterno, senza le quali Mosè non sarebbe sopravvissuto

A lei la Bibbia dedica i pochi versetti sopra citati senza nemmeno rivelarne il nome, ancorché immensa sia l’importanza del suo operato. Ma in diversi testi dei Midrashim si ritorna a indagarne l’identità non solo per tesserne il dovuto elogio ma anche per narrarne i giorni a venire. Il suo nome era Bityà ed era la primogenita del Faraone, pertanto destinata addirittura a succedere a suo padre nel Regno (cf. Shemòt Rabbà, 18); stupisce, allora, ancor di più che, per compassione, si prendesse cura della vita di un bambino mettendo a rischio la propria vita, contravvenendo al decreto paterno. La sua grandezza d’animo viene così lodata: «Moshè non era tuo figlio e tuttavia l’hai chiamato tuo figlio» (Midràsh Waiqrà Rabbà,1), eguagliando al partorirlo l’adozione di un orfano. Quanto è espresso anche nel testo dell’Esodo (cf. v.10: «Egli fu per lei come un figlio»). 

E se al seno della madre biologica, Iochebed, che lo allattò, Mosè si formò come un uomo giusto rispetto alla legge, alla grazia di Bityà, la madre adottiva, Mosè imparò la giustizia dell’amore del prossimo: sì come lei aveva visto la sua sofferenza, lui vide, infatti, le sofferenze del suo popolo (cf. Es 2,11). Così grandi furono i meriti di Bityà che fu fatta degna di entrare da viva nel Gan Eden, in paradiso. Il motivo è spiegato così nel Midrah: il Santo Benedetto disse che dal momento che costei ebbe portato salvezza ad Israele e la sua uscita verso la vita, le allungo la vita! (cf. Kallà Rabbati,3).


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