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Il paradosso cristiano e le teologie femministe

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Con in mano il più recente libro di Elizabeth Green, teologa vivacissima e pastora emerita dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, irrefrenabili mi raggiungono i versi in cui Emily Dickinson osserva l’estate che si consegna a una stagione di colori: «per non essere antiquata indosserò un gioiello anche io». Non trovo migliori parole per raccogliere questo libro, prezioso e contenuto pur non cedendo mai alla superficialità, perché ogni passaggio è documentato, né all’autoreferenzialità, perché tesse un dialogo costante con teologhe e teologi, né alla banalità, perché domande ipotesi e attestazioni si intrecciano sapientemente. 

Si tratta di una visione complessiva della fede cristiana che si giova delle teologie femministe ed è realizzata attraverso il commento all’Inno contenuto nella lettera di Paolo ai Filippesi, 2,5-11, che ci accompagna anche nella preghiera dei primi vespri di ogni domenica. 

Tante volte abbiamo meditato quel testo che contiene un passaggio “pericoloso” : «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Egli, pur essendo nella condizione di Dio […] svuotò sé stesso». Il testo si conclude poi con una affermazione di vita, di resurrezione. Ma qui sta il paradosso: come lo svuotarsi (che si indica anche come kenosi) può portare alla vita, come il vuoto può generare il pieno? Questo singolare movimento dice qualcosa di importante di Dio e dell’essere donne e uomini? Ecco, dunque, lo svolgimento ma anche il titolo del libro: Dio, il vuoto, il genere (ed. Claudiana). 

L’avvio è anche autobiografico, perché Elizabeth confida che per la sua prima omelia le fu affidato proprio quel testo, che da allora continua a interpellarla. 
Dunque, il libro ha un taglio omiletico, magari un po’ dolciastro? Assolutamente no! Lo studio è suddiviso in tre parti che si richiamano e riprendono, dando vita a un disegno complessivo. Una introduzione e una conclusione racchiudono otto capitoli, ognuno dei quali è dedicato a una teologa che svolge il tema vuoto/pieno secondo un punto di vista prevalente. Abbiamo così una presentazione ragionata di Rosemary Radford Ruether, Daphne Hampson, Anna Mercedes, Sallie Mc Fague, Marcella Althaus-Reid, Sarah Coakley, Masao Albe con Paul Knitter (questi sono due uomini, il primo dei quali buddista) e Dorothee Sölle. 

Molti dei libri citati non sono mai stati tradotti in Italia e c’è ancora chi può permettersi di insegnare teologia ignorandoli e senza avvertire la gravità di questa lacuna, vuoto che cancella: Green crea invece un ponte importante, consentendoci di avere un accesso iniziale ai loro scritti e ai titoli ulteriormente suggeriti, anche nelle schede di approfondimento. Si apre così una prima forma di diverso vuoto, che è piuttosto spazio denso di energia: mostrare le alleanze e non dimenticare i nomi propri mette in circolo e potenzia la forza di tutte e di tutti. Questa pratica viene chiamata empowerment: condividere l’energia non è solo una addizione, bensì una moltiplicazione che crea vita. 

Ecco, allora, la tesi principale del libro: c’è una buona notizia nel Vangelo - e nell’Inno che lo sintetizza - a patto di leggerlo senza sovrapporvi le strutture inique che vogliono annichilire le donne e i poveri. È proprio questa iniquità che deve esser svuotata, per liberare non solo le vittime, ma anche Dio, prigioniero dei nostri cattivi immaginari. Tramite le teologhe invitate nelle pagine troviamo perciò sia rilievi critici, che piste di soluzione capaci di rovesciare i termini: il paradosso dello svuotamento, se interpretato e trasformato dalla resistenza delle donne, è possibilità di liberazione. Non, perciò, un vuoto di vite cancellate, ma un’operazione di svuotamento che sgombra dagli orpelli per delineare uno spazio denso di energia condivisa e vitale, per tutte e tutti, umani e non. Ecco così sfilare diverse declinazioni della kenosi/svuotamento: come abbandono del patriarcato, come “potere per”, come risorsa per la crisi climatica e poi in relazione al desiderio queer, alla preghiera e alla contemplazione, infine alla prova del dialogo con il buddismo e della mistica. 

Nella conclusione, ancora più personale, appaiono tre immagini importanti, note alla tradizione, ma trasformate in un percorso che non ha lasciato nulla come prima: il pozzo d’acqua viva, il gap che apre varchi, la tomba vuota di Pasqua. Il tutto è condito dal pregio, abbastanza raro e decisamente invidiabile, di un linguaggio piano, attento a farsi comprendere anche quando attraversa una produzione teologica non facile e sempre troppo poco nota, in un bell’italiano sfiorato qua e là da qualche anglismo che lo rende veramente irresistibile: sembra proprio di ascoltare l’autrice in presa diretta, il che è un’esperienza impagabile. 

Teologa, docente di Storia della chiesa antica, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano 

L’Inno dei Filippesi 

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, 
il quale, pur essendo di natura divina, 
non considerò un tesoro geloso 
la sua uguaglianza con Dio; 
ma spogliò se stesso, 
assumendo la condizione di servo 
e divenendo simile agli uomini; 
apparso in forma umana, 
umiliò se stesso 
facendosi obbediente fino alla morte 
e alla morte di croce. 
Per questo Dio l’ha esaltato 
e gli ha dato il nome 
che è al di sopra di ogni altro nome; 
perché nel nome di Gesù 
ogni ginocchio si pieghi 
nei cieli, sulla terra e sotto terra; 
e ogni lingua proclami 
che Gesù Cristo è il Signore, 
a gloria di Dio Padre. 

Filippesi 2,5-11


Fonte: L'Osservatore Romano febbraio 2024 inserto Donne Chiesa Mondo

 
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