Massimo Recalcati "L’evaporazione del padre"
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La Repubblica, 29 gennaio 2024
Il dibattito politico e culturale che si è sviluppato dopo l’assassinio brutale di Giulia Cecchettin e
che si rinnova drammaticamente ad ogni femminicidio, ha convocato al suo centro il grande tema
del patriarcato. Ho commentato innumerevoli volte la formula di Lacan secondo la quale il nostro
tempo sarebbe caratterizzato dall’”evaporazione del padre”. Questa formula fu, non a caso, proposta
all’indomani della grande contestazione giovanile del ’68. Una intera concezione del mondo si stava
dissolvendo: l’autorità padronale del padre – messa alla gogna dai giovani contestatori – non
costituiva più il fondamento indiscusso della società occidentale. Non si trattava, dunque, di
descrivere solo il progressivo smarrimento dei padri nell’esercitare la loro funzione educativa nei
confronti di figli sempre più ribelli, ma di indicare la crisi irreversibile di una intera concezione del
mondo che ruotava attorno al simbolo del padre come vertice di una rappresentazione gerarchica
della vita individuale e collettiva di cui Dio stesso, in ultimo, ne costituiva il vertice indiscusso. Con
l’immagine dell’evaporazione del padre si decreta la fine di quel mondo. E’ questa la causa
profonda della difficoltà estrema che nel nostro tempo coinvolge tutti coloro che si trovano
impegnati in pratiche educative: come fare esistere rispetto nei confronti della loro autorità
simbolica se il suo fondamento sembra evaporato? Ma se l’ideologia del patriarcato è
definitivamente evaporata sotto i colpi del ’68, del femminismo, del movimento del ’77 e,
soprattutto (come Lacan, Pasolini e la Scuola di Francoforte, tra i primi, avevano avvertito), del
discorso del capitalista e della società dei consumi, non si deve però escludere che essa abbia
lasciato una brace ancora accesa. Il maschilismo ne è un esempio eclatante.
Tuttavia esso non è più la conseguenza necessaria del primato dispotico del padre, come invece
accadeva ancora prima del ’68. Si tratta piuttosto di un maschilismo residuale, post-patriarcale, che
assume delle forme erratiche e non egemoniche, una specie di terribile incrostazione malefica
difficile da sciogliere del tutto. Ma, più in generale, il tema dello strascico residuale del patriarcato
coinvolge innanzitutto la figura stessa del padre. E’ indubbio che esiste anche nell’Occidente
democratico una tendenza declinista-nostalgica a ricuperare il valore della tradizione patriarcale,
dunque una idea di famiglia cosiddetta naturale organizzata sulla differenza ontologica tra i sessi e
sull’autorità paterna, una concezione verticistica del potere dello Stato. Si tratta di un declinismo
nostalgico che ha un respiro largo e coinvolge l’idea stessa di società. E’ il vero fondamento
culturale di ogni sovranismo: ripristinare i valori indiscussi della tradizione, disciplinare il caos
delle differenze e delle contaminazioni ribadendo un principio rigido e conservatore di identità che
rigetta l’integrazione del differente, affermare una concezione gerarchica della società al cui vertice
è occupato dal ripristino dell’autorità perduta. Nondimeno, questo declinismo nostalgico risponde
ad una questione urgente: una volta evaporato il padre del patriarcato e la sua funzione di bussola
valoriale, quali coordinate simboliche sono in grado di orientare le nostre vite? Come organizzare il
caos di un mondo senza Dio? Esiste davvero una alternativa culturale e politica al tentativo, votato
fatalmente al fallimento, di restaurazione nostalgica e declinista del vecchio ed esangue ordine
patriarcale? L’errore profondo del ’68 e dei movimenti di contestazione che si sono susseguiti è
stato quello di gettare via il bambino con l’acqua sporca, ovvero di non separare la figura del padre
padrone come prototipo ideologico del patriarcato (di cui il maschilismo è la propaggine sessuale),
dal principio simbolico del padre di cui la vita individuale e collettiva necessita per essere davvero
generativa. Ma come bisogna intendere, nell’epoca dell’evaporazione del padre (che è la nostra
epoca), questo principio? Non si tratta più di un principio legato al sangue, alla stirpe, al genere, alla
tradizione. Bisogna oggi scorporare questo principio da ogni sua rappresentazione genealogica. La
grande popolarità di cui gode il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per esempio, è una
espressione di principio paterno che non agisce a colpi di bastone ma nella direzione di garantire
una circolazione plurale della parola. Quello che resta del padre nel tempo della sua evaporazione è
l’atto della testimonianza che non esiste vita o gruppo autosufficiente. Più di preciso, il nuovo
principio di autorità non scaturisce più dall’obbedienza e dalla disciplina, ma da tutte quelle
contingenze nelle quali la parola diviene un fatto, una testimonianza appunto. Ma di cosa?
Dell’esistenza di una Legge non scritta che tiene insieme la vita differente degli uomini e che esige
il lutto del pensiero unico, il lutto di ogni volontà di potenza che pretende, come accade ai babelici
descritti nella Torah, di costituirsi da sé come “un solo popolo” che parla una “sola lingua”. Una
Legge che coincide con quella di un padre che non domina più la vita dei figli o dei sudditi, ma che
si offre come un ponte che unisce, una forza che sa generare comunità.