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Enzo Bianchi "La rimozione della morte"

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La Repubblica 
 2 ottobre 2023
per gentile concessione dell’autore. 

È stata una scelta coraggiosa da parte di Torino Spiritualità quella di proporre come tema di ricerca e di confronto la morte: “Agli assenti. Della morte ovvero della vita”. Sì, proprio la morte, la nostra morte, in una stagione culturale che ha rimosso questo limite e destino degli umani, coloro che significativamente i greci chiamavano “mortali”. Oggi la gran massa delle persone non vuole saperne della morte, cosicché è diventata l’unica realtà veramente oscena, che non deve essere vista, considerata, pensata. Tuttavia, anche se evitiamo con il massimo impegno di esserne testimoni, la morte continua a essere presente nelle nostre vite familiari e di relazione. E ci sforziamo di tener lontano dai pensieri e dalle parole anche la nostra morte personale, l’unico evento che ci sta sicuramente dinanzi. 
Anche il vocabolario quotidiano risente del bisogno di non pensare alla morte, di non nominarla. È vergognoso, ma persino il linguaggio ecclesiastico cristiano si è fatto incerto: non si pronuncia più la parola “morto”, ma si preferisce quella di “defunto”, o l’espressione “se ne è andato… non è più tra di noi!”. E i funerali non sono più la visione del morto che lascia la terra, ma riti e parole per dirlo ancora vivo: tutti tentativi di non accettare la definitività della morte attraverso varie forme, inefficaci, di “rianimazione del cadavere”. 
Ma ciò che appare follia è che accanto alla rimozione della morte ne avvenga la spettacolarizzazione, cosa che si verifica spesso. Si tenta di negare la morte ma di vedere la vittima; si esalta, si fa parlare il morto non in un compianto, ma in un incrocio di interessi personali che ne sfruttano miseramente la figura. 
La mia generazione ha ancora ricevuto dalla tradizione umanistica il consiglio di “pensare la morte”, di prepararsi all’evento finale riflettendo sulla propria morte. Resta vero che oggi ciò che desta paura non è tanto la morte in sé quanto il morire, il modo in cui si morirà. Chi pensa alla morte prova a immaginare il tragitto che che non conosce in anticipo. Le vecchiaie prolungate aumentano quest’ansia: si sarà ancora autonomi, o si sarà abbandonati nelle mani di altri? 
Vivremo nella consapevolezza del cammino che facciamo o la malattia mentale, la demenza senile ci trasformerà, ci darà un volto verso il quale è difficile sostenere lo sguardo? I tentativi di cura saranno sopportabili? Ci sarà chi risponde alla nostra richiesta di cure palliative, o saremo preda della sofferenza? Sono paure che riguardano ciò che avverrà prima della nostra morte. Situazione insensata, perché il dolore è insensato e non ha nessun significato. 
Non ci è chiesto di accogliere la sofferenza fisica come se fossero voluti da Dio. Dio non ci chiede neanche di offrire il nostro dolore, ma solo di attraversarlo amando e accettando di essere amati da chi resta. 
Nessuno di noi sa se morirà nella luce dell’alba promessa o nella tenebra della notte sopraggiunta, se nel tormento o con il sorriso grato sul volto. Possiamo solo invocare che nella morte non ci venga impedito di amare fino alla fine.

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