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Crepet sullo spot Esselunga: “Una seduta psicoanalitica che parla al senso di colpa degli italiani”

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Professor Crepet, ha visto che tsunami ha sollevato lo spot dell’Esselunga?

«Sì, ed era ora che qualcuno ponesse gli italiani di fronte a una realtà speculare a quella del Mulino bianco. E chi dice che il Mulino nero è a sua volta uno stereotipo, sbaglia, perché si tratta semplicemente di una verità statistica. Certo, si tratta di un dramma per questo fa pensare, quindi coglie nel segno. Poi non so se il committente ne ricaverà un beneficio proporzionale al clamore che ha accompagnato l’uscita dello spot. A volte il messaggio, se molto forte, in questo caso la storia della pesca e della bambina, sovrasta il prodotto. Ma questo non è un problema nostro».


Lo spot ha anche molto diviso.

«Ha diviso perché non è facile arrendersi a una realtà dolorosa. Vale a dire che la separazione è sempre un lutto, e che i bambini abbiano due camere da letto non può essere considerata una soluzione felice. E ancor peggio è quando si delega anche involontariamente, per incapacità, il ruolo di paciere ai figli: questa, purtroppo, è la massima sconfitta».

In effetti la pesca da regalare al babbo è un’idea della bambina…
«Sì, e questo è un messaggio realistico, ma molto triste. Stupisce, però, lo stupore destato da questa scena. Venga una mattina al tribunale dei minori, e capirà perché la metafora della pesca è un dettaglio ”light” rispetto a quello che succede nella famiglie con figli che si separano con la massima e più cinica nonchalance».

I nostri nonni o genitori che restavano insieme tutta la vita sono stati più bravi o più fortunati?
«Certamente più bravi. Le generazioni dagli anni 60-70 in poi sono più egoiste e più facili alle scorciatoie che portano appunto alla doppia cameretta dei bambini che si incontrano a weekend alterni. Manca la volontà di manutenzione dei sentimenti e si agisce da egoisti».

Quindi a lei questo spot è piaciuto.
«L’ho trovato fatto molto bene. Ma è sempre triste assistere a una storia di disfatta e di incomunicabilità che coinvolge i bambini e, anzi, delega loro qualcosa che gli adulti non sono capaci di fare».

Più che uno spot una seduta psicoanalitica.
«Una grande seduta psicoanalitica collettiva, direi, che parla ai sensi di colpa degli italiani».

Il copywriter che ha scritto la storia, allora, è stato bravo…
«Sicuramente ha colto nel segno. Ha raccontato, che piaccia o no, le nuove famiglie. La verità è che siamo messi male e non è un’offesa per nessuno. Il lavoro di ricucitura delegato alla bambina, come ho già detto, toccherebbe agli adulti, ai genitori, e questa manifesta incapacità relazionale tocca i sentimenti profondi di tutti. È una partita che stiamo perdendo, inutile girarci intorno».

Qualcuno dice che è diseducativo, però.
«Guardi, mi ricorda le critiche che ricevette il neorealismo che raccontava l’Italia vera, quella con le pezze al sedere. Ci fu chi insorse, ma quella era la realtà e anche lì era inutile girarci intorno».

La Meloni ha detto che in questo spot ha trovato una grande poesia.
«Più che poesia, ripeto, quel messaggio era un messaggio di puro neorealismo».


Fonte: IlSecoloXIX



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