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Alessandro D’Avenia, matrimonio e nuovo libro

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Alessandro D’Avenia, matrimonio e nuovo libro: «Come Ulisse ho trovato l’amore nel ritorno. La mia Alice mi ha riconosciuto»

di Roberta Scorranese per il Corriere

Alessandro D’Avenia ha scritto il suo libro più bello e stamattina ha i capelli leggermente scompigliati, il viso arrossato, lo sguardo morbido. Sembra appena nato. «Forse è così — dice —. Come Ulisse, tutti noi dovremmo poter nascere due volte: la prima senza poter scegliere, al pari dell’eroe omerico costretto a partire per una guerra che non gli appartiene. E poi, una seconda volta, con cognizione, lucidi nel nostro destino».

«Resisti, cuore » esce il 19 settembre per Mondadori e racchiude il suo senso profondo nel sottotitolo, «L’Odissea e l’arte di essere mortali». Si contrappone così a un altro saggio dello scrittore e insegnante, «L’arte di essere fragili», su Leopardi. È su questo confine tra la fragilità e la mortalità che si snoda la bellezza complessa di questo libro e, assieme, un importante momento di vita personale dell’autore. Partendo dal viaggio di Ulisse, D’Avenia indaga il tema del ritorno a casa, della scelta di vita, dell’eroe che (stanco eppure splendente di consapevolezza) intraprende il viaggio decisivo: diventare mortale. E, come tale, capace di amare e di essere amato.

Non si può amare senza la coscienza di essere mortali?
«Omero lo dice con parole precise quando narra la figura di Calipso, la dea immortale che riesce a tenere con sé Ulisse per sette anni. Gli promette vita e giovinezza eterne, cose che Penelope non potrà mai dargli. Ma Ulisse parte, perché sa che l’amore è avere qualcuno che ci riconosca nella nostra piena caducità».

Il libro ha questa dedica: «Ad Alice, che mi ha riconosciuto». Lei si è da poco sposato con Alice Rosati: quando parla di «riconoscimento» allude all’agnizione, la parte finale dell’Odissea, con l’eroe che torna a casa?
«Proprio così. L’amore è riconoscimento, perché quando Ulisse torna a Itaca se non viene riconosciuto resterà per sempre prigioniero dell’estraneità. L’amore è riconoscere con il cuore, usando sempre le parole di Omero. E il mio ritorno a casa è stato questo, smettere di combattere una guerra che non mi appartiene, riconoscere di essere mortale, dunque amare ed essere amato, finalmente».

Qual era la «guerra»?
«In questo libro così mio ho deciso di parlare della depressione che colpì mio padre quando io ero un ragazzo. Lui si spense, mia madre divenne il suo grembo, io cercavo uno spazio mio dove non poter sentire più dolore. Allora me ne andai. Mi trasferii a Roma, per la laurea e un dottorato proprio sull’Odissea».

Oggi potrebbe definirla una fuga?
«No, oggi mi accorgo che la mia fuga fu un’altra, più sottile. Un’altra scelta, che pensavo mi avrebbe protetto dal dolore per sempre: dare la mia vita a Dio vivendo nel celibato. Credevo che una decisione simile mi avrebbe messo al riparo da ogni dolore, ma non mi accorgevo che quella chiamata, seppur nobile e altissima, in me nasceva non dalla gioia ma dalla paura».

E Ulisse ci insegna che dalle guerre che non ci appartengono ci si salva solo con il ritorno.
«È così. Cerchiamo di comprimere la paura di amare e di crescere dentro una corazza di perfezione, ma prima o poi questa maschera va in pezzi. E io sono crollato. Ma, come Ulisse, ho dovuto imparare a riconoscere gli errori come esperienze, perché quello è il punto di partenza verso Itaca».

Nell’Odissea c’è un doppio movimento, uguale e contrario: Ulisse torna, Telemaco parte. Tornando, lei oggi può guardare i suoi allievi da una prospettiva diversa, «paterna»?
«I ragazzi sono stati indispensabili in questo mio ritorno. Intanto il libro è nato assieme a loro, in una indimenticabile lettura collettiva dell’Odissea che facemmo in pandemia, lontani ma vicinissimi. E poi, quando la mia corazza ha mostrato le sue crepe, loro per primi mi hanno riconosciuto e accolto. Non so se questo sia un libro-padre, di certo l’Odissea è il mio libro-madre, perché mi dà una lingua e una trama di vita».

Nella seconda parte affiora forte l’elemento femminino. Penelope diventa il perno di una riflessione sullo sguardo delle donne.
«Sì, perché nel suo cuore c’è la vera Itaca, che è salva non solo psicologicamente, ma anche giuridicamente. Penelope non si sposta, resiste. Questo non è solo il poema di Ulisse, ma è anche suo».

Lei, però, non lo riconosce subito.
«Lo riconosce quando lui si mostra per quello che è: non l’eroe, ma il mortale. Ci si riconosce nella sconfitta. Nello spazio sacro dell’amore».

Questo è anche un libro sulla potenza della parola.
«È un libro sul dire le cose e definirle con chiarezza, a tratti con una potenza narrativa degna di un romanzo moderno. Ma è anche un libro sui tanti simboli del viaggio di Ulisse. Ci sono i mentori, gli antagonisti, i compagni. È il viaggio di tutte le nostre vite».

Come si definirebbe oggi?
«Felicemente mortale».

Il tour a teatro

«Resisti, cuore: la nostra Odissea a teatro »

10 ottobre - Milano - Teatro Carcano
13 ottobre - Roma - Teatro Quirino
18 ottobre - Bologna - Teatro Duse
13 novembre - Palermo - Teatro Biondo

Durante gli eventi (previsti tutti alle 21) alcuni lettori potranno salire sul palco con Alessandro D’Avenia per porgli una domanda. al link https://www.mondadoristore.it/davenia-tour-libro-evento/ tutti i dettagli per partecipare, obbligatoria prenotazione 




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