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Alexa, medium per “sentire” i morti?

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Può accadere di sognare i propri cari che non sono più tra noi.
 E di vederli e sentirli come li conoscevamo, come li conosciamo. Si muovono, ci parlano, ci chiedono cose, ce le spiegano. Li sentiamo, ne cogliamo gli accenni nella voce, le sfumature, il timbro, il tono, l’ironia, la tristezza o l’allegria. Freud ci aveva voluto mettere in guardia: nei sogni chi ci appare è sempre un noi travestito. Il nostro io prende i volti delle persone conosciute, ma siamo sempre e solo noi. Non è una visione consolante e poi forse non è così fedele alla nostra esperienza.

   Se ci appaiono le persone che conosciamo, viventi o no che siano, è perché noi siamo fatti, costituiti dalla presenza degli altri. Come insegnano gli antropologi non siamo individui, ma “dividui”, cioè un insieme a cui collaborano coloro che fanno il nostro mondo. L’identità è una collezione patchwork che prevede che la presenza sia una compagnia più che una solitudine. Le voci altrui noi le incorporiamo e spesso ne siamo definiti: il nostro nome chiamato da nostro padre e nostra madre è il primo costituente del nostro riconoscerci a noi stessi. L’idea che Alexa possa incorporare la voce dei nostri cari, e che possiamo sentirla rivivere quando essi non ci sono più fa parte di quelle magie evocative che la tecnologia spesso ci promette. Che cosa c’è di diverso tra il sentire la voce di mia madre come Alexa e quella di sentirla in un sogno?

   La differenza sta nella promessa di “realtà” di Alexa. Come sempre accade con la tecnologia, essa ci si offre come una “oggettività”. Ci dimentichiamo che siamo stati noi a registrare la voce dei nostri cari e ad averla offerta ad Alexa. E ci sembra che ci sia una specie di voce dall’al di là che ci accompagna nella vita quotidiana. Probabilmente c’è molta più “verità” nel sogno, perché la sua complessità rende la presenza conosciuta molto più ricca per noi: ci suggerisce cose che avevamo dimenticato, ci fa prevedere qualcosa che i nostri cari ci avrebbero indicato. Alexa ci dà l’illusione di una praticità, di un risponderci in cose banali, quotidiane, di routine. È un trucco, una magia al pari di quelle praticate da un buon prestigiatore.

   La tecnologia nel suo insieme, soprattutto quella digitale ha sempre di più dei caratteri che la fanno somigliare a una magia. Quel potere parlare con una tavoletta attaccata all’orecchio a una persona lontana, quel potere raggiungere chi non vediamo ha molto a che fare con i poteri dell’evocazione, con la sfera magica della maga sotto il tendone del luna park. Le cose si rendono molto più manifeste quando entrano in ballo questioni complesse riguardanti la presenza e le sue manifestazioni. L’insieme di invisibilità ed evocazione crea dei cortocircuiti dentro cui noi diventiamo molto più soggetti al credere nella “oggettività” dei dispositivi tecnologici che usiamo.

   Qualche anno fa un’amica che era stata a Lourdes mi aveva raccontato come nella folla che stava di fronte alla grotta dove era apparsa la Madonna si era manifestata un’ombra che sembrava proprio la Vergine. La persona che era con lei aveva scattato una foto dell’ombra e questa sembrava proprio dimostrare che quello che tutti avevano avuto l’impressione di vedere fosse “invece” proprio vero. Da quando esiste la fotografia essa ci promette una oggettività superiore a quella del nostro sguardo. Come se dovessimo davvero pensare che i media che usiamo ogni giorno siano mediatori molto più capaci di noi di attestare la realtà che ci circonda.

   C’è una grande letteratura dei primi del Novecento di libri con foto di fantasmi prese durante sedute spiritiche: strani ectoplasmi, nuvole con la faccia di bambine smunte, ombre in marsina. Siamo ancora figli di quella idea di medium/media e tutti i media per noi hanno il fascino di quella fiducia evocatrice: anche Alexa. Da un certo punto di vista i media, vecchi e nuovi, si sono infiltrati nella nostra idea di al di là e l’hanno resa molto più vasta e ambigua. Che differenza c’è tra il credere che quel numero che stiamo facendo ci faccia parlare con una persona che è invisibile, posta nell’al di là di un luogo a noi inaccessibile adesso e il credere che un nostro caro ci possa apparire?

Franco La Cecla

Franco La Cecla (1950), antropologo e architetto, ha insegnato in diversi atenei italiani e stranieri, dedicandosi anche alla realizzazione di documentari e all’organizzazione di mostre. Nei suoi lavori ha approfondito il tema dell’impatto sociale dell’architettura, indagando i modelli di organizzazione dello spazio tra localismo e globalizzazione e rivolgendosi in particolare alle soglie e ai confini tra le culture.



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