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Risurrezione senza Miracolo

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Nella nostra epoca post-religiosa e post-fisicalista, i cristiani hanno bisogno di esprimere nuovamente il significato della risurrezione di Gesù per il mondo. “Gesù è risorto dai morti!”. È così che i primi cristiani – nel loro linguaggio e immaginario – hanno espresso la convinzione che lo stile di vita di Gesù – il suo amore e la sua resa incondizionati – lo hanno fatto risorgere dai morti. Non c’è alcuna “bacchetta magica” o deus ex machina che agisce qui. Il Vangelo di Marco (15,39) demitizza tale comprensione della risurrezione facendoci contemplare la scena del centurione che guarda Gesù in croce. “Il centurione, che stava lì davanti a Gesù, vide come morì e disse: ‘Certamente quest’uomo era Figlio di Dio!’”. Il “come” dà accesso al centurione a cogliere quell’amore con cui Gesù ha dato la vita per gli altri. Come scrive Paolo: “l’ultimo Adamo divenne uno spirito vivificante” (1Cor 15,45). Gesù diventa spirito vivificante nel dare-la-vita, amando. 

Così si manifesta la legge, il logos o matrice dell’universo, che è il bene e l’amore. Il bene e l’amore trionferanno non tanto pagando un prezzo a un piano sacrificale stabilito da Dio per soddisfare la sua ira, come se Dio volesse che noi subiamo il dolore e la sofferenza come prova della nostra fedeltà a Lui o come punizione per una colpa originale. Dio non usa il potere o la violenza per raggiungere il suo obiettivo, e stabilire così la sua giustizia e il suo regno. Dio usa l’amore e la bontà e questi sono incondizionati e non provvisori. Dio usa tutte le nostre situazioni di vita – buone e cattive che siano – per incorporarle nel piano cosmico dell’universo. Egli ripara e guarisce le ferite del mondo suscitando in ciascuno di noi e in tutte le creature il desiderio di amare, cioè di risorgere. “In tutte le cose Dio opera per il bene di coloro che lo amano, che sono stati chiamati secondo il suo proposito [il disegno dell’Amore]. Per coloro che Dio ha preconosciuto, ha anche predestinato ad essere conforme all’immagine del suo Figlio, affinché fosse il primogenito tra molti fratelli e sorelle. E quelli che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati, li ha anche glorificati” (Rom 8, 28-30). La vita di Gesù esemplifica il modo con cui Dio agisce nel mondo. 

Dio non ha bisogno di “intervenire” nell’universo, aprendo un sepolcro e risuscitando un cadavere dalla tomba, poiché Dio è già a casa sua nel mondo. Dio dimora nel cosmo (cfr Gv 1,11) attraverso il logos, che è la matrice (dal lat. Matrix, “madre; utero”) di tutte le cose. Dio non ha bisogno di intervenire come fa un super-eroe alla fine di un film hollywoodiano, usando la violenza fisica e morale per mostrarsi vittorioso sui cattivi, salvando i buoni dalla sofferenza e dalla morte in extremis. 

La risurrezione di Gesù ci rivela la matrice divina, il logos, la logica, la “regola”, o la grammatica dell’universo. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto”. “Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,24-25). Il cristianesimo, così come altre tradizioni religiose, indicano che questa “regola” universale è un paradigma di trasformazione, secondo il quale la morte non è schivata ma trasformata. Gesù ha rivelato tale paradigma cosmico di tutte le cose prendendone coscienza, vivendolo e annunciandolo. “Poiché la creazione attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio, […] [e] sarà liberata dalla schiavitù alla corruzione e condotta alla libertà e alla gloria dei figli di Dio” (Rom 8,18-19). 

Gesù è la primizia di coloro che dormono (1Cor 15,20). “[Gesù] il primogenito tra molti fratelli” (Rom 8,29). Anche noi stiamo camminando sulla stessa via del Logos e della Sapienza di Gesù nostro fratello, diventando così con lui anche noi, Cristo e Figlio Dio. “Cari amici, ora siamo figli di Dio, e quello che saremo non è ancora stato reso noto. Ma sappiamo che quando Cristo apparirà, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così com’è” (1Gv 3,2-3). 

La risurrezione di Gesù, quindi, non è un evento miracoloso – unico e singolare – accaduto nella storia, ma è la rivelazione di Qualcosa che continuamente e dovunque accade nella creazione. Risurrezione e trasformazione sono, infatti, il modello e il paradigma universale di ogni cosa. La risurrezione è il compimento dell’incarnazione cosmica. Abitando la materia fin dall’inizio della creazione, lo Spirito di Dio continuamente “fa passare” (cfr. Pasqua, che significa “passaggio”), “trascendere” ogni cosa verso la definitiva pienezza del suo stato. Con il termine “Cristo” la cristologia “evolutiva” di Teilhard de Chardin e Rahner ha voluto intendere l’unzione spirituale di tutta la materia fisica, perché questa possa trasformarsi pienamente in quello Spirito che fa essere e trascendere tutte le cose. Tutto è Cristo, quindi, poiché tutto è “unto” dello Spirito. L’universo è pertanto “battezzato” non solo nella morte e risurrezione singolare e individuale di Gesù ma nella morte e risurrezione di quel “corpo” che è l’unità organica e complessa di tutta la realtà. La Risurrezione è solo l’incarnazione portata alla sua logica conclusione. E l’incarnazione non è altro che l’auto-espressione di Dio secondo il divenire e la differenziazione creaturale. 

Se Dio abita la materia, allora possiamo naturalmente credere nella “risurrezione” del corpo. Ma tale “risurrezione” non è affatto il risuscitamento dello stato-di-separazione tra le cose e di tutte le cose. Non è la permanenza della condizione di caducità e di corruzione di cui parla l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani (8,20-21). Il termine “corruzione” rinvia alla “separazione”, di ciò che è originariamente unito e indiviso. Paolo, infatti, presenta la risurrezione come il principio generale di tutta la realtà (1Cor 15,13). La Risurrezione non è un’anomalia che è avvenuta una e una sola volta nella creazione e nella storia dell’umanità. Per Paolo, la Risurrezione è un modello cosmico che dice della realizzazione piena della creazione (cfr. 2Cor 1,21-22; Ef 1,14). La Risurrezione di Gesù e ancor più la visione di lui come risorto non è altro che il rendersi conto dei discepoli di ciò che da sempre e dovunque accade. 

Niente è uguale per sempre, afferma la scienza moderna. I geologi con buone prove possono dimostrare che nessun paesaggio è permanente per millenni. Acqua, nebbia, vapore e ghiaccio sono la stessa cosa, ma a stadi e temperature differenti. “Risurrezione” è un’altra parola per indicare il cambiamento e la trasformazione in cui giunge la vita con/dopo la morte. Il prefazio per la liturgia cattolica dei defunti dice: “La vita non è tolta, ma è trasformata”. La scienza ci sta ora dando un linguaggio molto utile per ciò che la religione aveva già intuito e immaginato, anche se in linguaggio mitologico. “Mito” non significa “falso” ma qualcosa che è sempre vero. La Risurrezione di Gesù, per così dire, è la mappa del paesaggio. Rappresenta un particolare e singolare microcosmo che fa vedere come Dio agisce e opera – sempre e ovunque – nel macrocosmo. 



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