Aggiungici su FacebookSegui il profilo InstagramSegui il Canale di YoutubeSeguici su X (Twitter)   Novità su Instagram
Clicca

“Oggi è necessario liberare Gesù”

stampa la pagina

CASERTA-ADISTA. «Nel nostro mondo le disuguaglianze sono sconcertanti e crudeli. Ed è doveroso constatare che una causa principale di essere è il governo della Chiesa cattolica». «La disuguaglianza radicale, che la Chiesa mantiene come un dogma di fede, è quella delle donne rispetto agli uomini». A partire da queste affermazioni, mons. Raffaele Nogaro, già vescovo di Caserta, sviluppa un’esegesi evangelica a testimoniare che l’esclusione della donna dai ministeri e da alti ruoli direttivi è contraria al mandato di Gesù.

«Anche Dio ha bisogno di una madre per nascere come uomo», chiosa nella sua riflessione intitolata “Oggi è necessario liberare Gesù” (febbraio 2023) che pubblichiamo di seguito.

 

“Gesù percorre tutta la Galilea, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffonde per tutta la Siria e conducono a Lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici ed Egli li guarisce. Grandi folle cominciano a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano”(Mt 4,23-25).

La segnalazione dei vari territori vuole indicare che tutte le genti della terra ricorrono a Gesù, perché Gesù esaudisce integralmente l’essere umano. Ecco il mio Gesù, il Gesù di tutti! Gesù annuncia il “Regno” a ogni essere umano, il quale oltrepassa tutti gli ostacoli della “condizione umana” (Malraux), per liberarsi e pienificarsi nella Gloria.

Gesù è il “Grande Compagno” (A. N. Whitehead) che ci raggiunge lungo la strada per dirci: “non temete, supereremo tutte le tempeste”, supereremo anche l’abisso della morte per impossessarci della libertà, della perfezione dell’essere, del “Regno”. Ora, l’uomo che ha la coscienza della vita e l’amore della vita è permanentemente in tensione e affranto perché ha paura della morte. Gesù ci dice: “Non abbiate paura” io ho vinto la mia morte e ho vinto anche la vostra morte.

“Ecco: Io sono la Risurrezione e la Vita: chi crede in me anche se muore vive e chiunque vive e crede in me, non muore in eterno” (Gv 11,25-26). Il Regno di Dio vuole assicurarci che noi siamo i possessori della vita. Gesù, l’unigenito del Padre “nasce da Donna” (cf. Gal 4,4), si fa uomo come ognuno di noi, per rendere armoniosa la vita terrena in ordine ad una vita piena fatta esclusivamente d’amore.

È giusto infatti ricordare che una fede che procrastina nell’aldilà la vita vera e che impedisce di vivere qui e ora in pienezza umana, è anticristiana. Penso che tutti coloro che credono alla vita terrena e vogliono renderla sempre più valorosa e sempre più bella, sono i veri credenti. Cristiano infatti è colui che provvede al bene dell’umanità. La terra è bellissima, è il fascino integrale di ogni uomo, che ha la coscienza della sua libertà. Ognuno di noi vorrebbe avere tutte le conquiste e tutte le soddisfazioni qui sulla terra. Ma l’umanità è naturalmente competitiva, perché è ossessionata dalla proprietà privata: ogni essere umano sogna di diventare padrone del mondo.

Gesù si incarna in questo contesto di violenza per donare la vita nuova, la vita vera, la vita felice. Gesù entra nello smarrimento del mondano con l’“Amore Eterno” (cf Ger 31,3) del Padre per assicurare tutti noi: “Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Gesù è il perdono del peccato umano (cf. Gv 1,29). Gesù viene a “guarire ogni sorta di malattia e di infermità perché “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt 9,12).

Soprattutto Gesù viene a portare la vita sempre nuova: “nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio... né versa vino nuovo in otri vecchi... ma vino nuovo in otri nuovi” (Mt 9,16-17). Ogni giorno la vita è una novità. È insensato rimettere il vecchio al posto del nuovo. L’annuncio di Gesù non può essere considerato un rattoppo, né essere adattato alla legge mosaica e alle pratiche religiose di qualche istituzione ecclesiastica.

Il messaggio di Gesù è fuori da ogni schema, perché è radicalmente nuovo ed è soltanto all’interno di questo “nuovo” che anche il vecchio si conserva. Simon Weil è convinta che “non c’è la vera vita senza una nuova nascita, senza l’illuminazione interiore, senza la presenza di Cristo e del suo Spirito nell’anima”. La tenerezza di Gesù è rivolta a tutti: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi do ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me sono mit e umile di cuore. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso è leggero” (Mt 11,28-30). La sequela e l’imitazione di Gesù sono la libe-razione dei nostri condizionamenti quotidiani e danno la pace al cuore. Il desiderio di Gesù è l’amicizia con ognuno di noi: “Ecco: Io sto alla tua porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io vengo da lui, ceno con lui ed egli cena con me” (Ap 3,20). Un’amicizia che giunge al reciproco dono di sé stessi.

Gesù è essenzialmente Amore, è Dono e chi dona non toglie quello che si ha ma lo arricchisce. Siccome ogni essere umano ha la coscienza del dono ricevuto e del dono che può continuamente ricevere, la grazia, questi dovrebbe integrarsi nella empatia di Gesù per sperimentare anche sulla terra la felicità della vita: “Amatevi gli uni gli altri come io vi amo” (cf. Gv 13,34). La vita con Gesù è la “Beatitudine” della terra che “nell’ora del Padre” (cf. Gv 13,1) viene “Trasfigurata” nella Gloria della vita senza fine .

La “Chiesa reformanda” di papa Giovanni è rimasta immobile tenendo in tal modo ancora imprigionato Gesù. La Chiesa compromette il Vangelo perché fa di Gesù una “dottrina cristiana”, cui credere ciecamente, rendendo colpevole l’uomo che non ha fede in essa. La Chiesa rischia di togliere la coscienza e la libertà alle persone in nome di una sua infallibilità nel pretendere di definire la perfezione della vita umana con il “Catechismo “della Chiesa cattolica. Papa Francesco confessa che “non è la Chiesa che salva, è Cristo che salva”.

Gesù Cristo è “l’unico fondamento” (cf. 1Cor 3,11) e “l’unico Salvatore” (cf. 1Tm 2,3-5) dell’umanità. La Chiesa è valida solo quando compie una buona mediazione del Vangelo. Gesù è l’Amore del Padre-Madre per tutta “la condizione umana” che “si rinnova” sempre più fino a raggiungere la felicità integrale del “Regno do Dio”. “Vedo sempre il Signore Gesù accanto a me. Egli sta alla mia destra, per sostenermi. Per questo si rallegra il mio cuore e le mie parole sono piene di letizia. Anche la mia carne riposa al sicuro, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi. Né permetterai che il tuo fedele veda la corruzione. Mi fai conoscere i sentieri della vita e mi colmi di gioia con la tua presenza” (At 2,25-28).

I diaconi

Lo scopo della vita è amare Gesù. Ma per amare Gesù bisogna amare tutti La Chiesa o è diaconale o non è la Chiesa di Cristo. Gesù dice di sé: “Io sono il diacono (colui che serve)” (cf. Lc 22,27). Gesù scegliendo gli apostoli, quali messaggeri del suo vangelo in tutto il mondo, di fatto sceglie i servitori d’umanità, cioè i diaconi. In realtà dando loro il mandato chiede che siano come Lui a servizio di tutti fino alla “lavanda dei piedi ai fratelli e alle sorelle” (cf. Gv 13,2-9).

Sono suoi discepoli solo se seguono il suo esempio: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto per tutti” (Mt 20,28). Alla nascita della Chiesa di Cristo né Pietro, né gli altri apostoli manifestano l’ardore del “viso d’angelo” del diacono Stefano (cf. At ,15) che “vede la gloria di Dio e Gesù che sta alla destra del Padre, ed esclama: Contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Mentre viene lapidato Stefano chiede: “Signore Gesù accogli il mio spirito” e implora accoratamente “Signore non imputare loro questo peccato” (cf. At 7,55-60).

Credo anche che la prima e vera istituzione ministeriale della Chiesa e forse anche l’unica, sia il diaconato “il servizio alle mense” il servizio ai poveri (cf. At 6, 2). “Gesù è venuto ad annunciare la buona notizia ai poveri (Lc 7,22) E poveri sono tutte le genti cariche di sofferenza e prive di speranza. Anche Paolo, a Gesù che gli appare, dice di aver perseguitato “il suo testimone, il diacono Stefano” (cf. At 22,17-20).

Il diacono quindi è “il testimone di Gesù”. Il diacono è colui che conferma e dimostra con la sua vita, di totale servizio a tutti i bisognosi, la verità di Gesù e del suo Vangelo. Solo mantenendo lo spirito diaconale la Chiesa è benessere per l’umanità, altrimenti è solo politica. Nell’età apostolica il Diaconato è l’istituzione principe della Chiesa.

Più tardi gli antichi scrittori ecclesiastici, quali Ignazio d’Antiochia, Policarpo, Tertulliano e Cipriano elogiano la dignità del diacono, il quale ha la facoltà di esercitare tutti i ministeri della Chiesa, coordinati però dalla direzione del vescovo. Ancora nell’età apostolica si ha la presenza dei presbiteri, come ritiene Pietro che si connota “quale presbitero tra loro” (cf. 1Pt 5,1-3).

Non sembra tuttavia che questi presbiteri esercitino un ministero, ma raffigurino i tradizionali buoni padri di famiglia che sanno provvedere al benestare di una comunità. Probabilmente per necessità pastorali alcuni diaconi e presbiteri vengono ordinati “con lo spirito di sovranità” (Traditio apost. 3) per esercitare lo stesso ministero del vescovo, anche se come coadiutori. Mentre nei primi secoli il Diaconato è il ministero in esclusiva, gradualmente con l’affermazione del sacerdozio ordinato, il diaconato come ministero permanente scompare dalla Chiesa. Nel Concilio Vaticano II si decide il ripristino di questo fondamentale ministero. In tal modo il Concilio interpreta la necessità e i desideri delle comunità cristiane che hanno bisogno della “diaconia”, vale a dire del servizio permanente e del pronto soccorso della Chiesa verso tutte le emergenze del disagio nel popolo di Dio.

Il mio entusiasmo giovanile per l’Ecclesia reformanda di Giovanni XXIII, rimane sempre vivo. Ma penso che la Chiesa non si possa più riformare. È diventata ormai un grande impero sclerotizzato, al punto di non avere più elementi sorgivi e vitali per comunicare con l’uomo del nostro tempo. La malattia mortale di questa Chiesa è il potere. Dopo l’editto di Costantino del 313, la Chiesa ha accaparrato per sé tutto il potere e il papa si è proclamato “Summus Pontifex”, il capo di Stato che esercita la monarchia assoluta con la garanzia dell’infallibilità di Dio.

Ora il potere assoluto è sempre arbitrario, è sempre legalista, è sempre al di sopra e al di fuori della concretezza del vivere umano. Infatti il papa nomina i vescovi, senza consultare quel popolo di Dio che è la vera Chiesa di Cristo. Nelle encicliche sociali si dichiara che la democrazia è la forma migliore per la conduzione della società umana. Ma nella Chiesa la democrazia è peccato.

Nella Chiesa infatti il superiore ha “la grazia dello stato” che richiede solo l’obbedienza ai sudditi. La Chiesa è ancora espressione della classe medio-alta, ben lontana dalle sofferenze delle persone comuni. In modo quasi ossessivo si interessa di morale sessuale e non interviene se non formalmente sulla disuguaglianza globale, sulla migrazioni, sulle condizioni di impoverimento di miliardi di persone. Una Chiesa di questo genere “non è più una sorgente d’acqua viva che zampilla per la vita eterna” (cf. Gv 4,16) è soltanto l’emblema solenne della siccità mondiale.

“Dolcissimo Gesù, ritorna in mezzo a noi”. L’umanità di oggi ha bisogno estremo di un nuovo incontro con Te. Ebbene c’è “il tuo corpo vivo storico” del quale ci si può nutrire ogni giorno. È c’è il tuo Vangelo: “da chi andremo? Solo Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).

Penso con angoscia che anche oggi Gesù e Chiesa non possono accordarsi. Gesù ha il Vangelo e perdona, conforta e illumina. La Chiesa ha il Diritto Canonico e il Catechismo e comanda e punisce. Gesù mi dice: “Io sono il diacono dell’umanità” (cf. Lc 22,27).

Penso che oggi occorrono i diaconi, i discepoli di Gesù, coloro che seguono Gesù integralmente e staccati da tutte le comodità della terra, aiutano tutte le sorelle e tutti i fratelli a portare le pesanti e martorianti croci dell’esistenza. Penso che oggi occorrono “gli operari del Vangelo” (cf. Lc 10) che come “i Samaritani” della parabola “caricano sulla loro cavalcatura i mezzi morti sulla strada” e danno loro lo Spirito di Gesù, che è ancora beatitudine sulla terra e vita senza fine felice dopo “il passaggio da questo mondo al Padre” (cf. Gv 13,9).

Gli operai del Vangelo

Il capitolo 10 di Luca descrive il secondo invio in missione dei discepoli ed è molto più lungo e articolato del primo (cf. Lc 9,1-6). In questo secondo invio son ben “settantadue” che vengono messi accanto ai primi dodici. I settantadue non sono infatti un’aggiunta ai dodici ma sono l’identificazione degli “operai del Vangelo” che devono a nome di Gesù raggiungere tutte le nazioni della terra. Tutto il mondo infatti è indicato nel numero settantadue, che Gen 10, nella versione dei Settanta (che Luca segue), indica tutte le nazioni della Terra.

I Dodici sono i testimoni della vita di Gesù. I settantadue sono “operai del Vangelo” che devono comunicare la “lieta notizia della vita umana eternamente felice” a tutti gli abitanti della terra. Il testo di Luca, al cap. 10 è pienamente esplicativo a riguardo: «Il Signore designa altri settantadue e li invia a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove sta per recarsi. Dice loro: la messe è abbondante ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il Signore della messe che mandi operai nella sua messe. Andate quindi... guarite i malati e dite loro: è vicino il Regno di Dio» (Lc 10,1-9).

La qualifica di Operai del Vangelo viene espressamente da Gesù conferita ai “Settantadue”. Gesù ai settantadue dice di pregare il Padre perché mandi operai nella sua messe. E aggiunge: «Ora gli operai siete voi e Io vi invio a portare la consolazione a tutti e ad annunciare che il Regno di Dio è vicino».

Prossimo è ogni persona che si incontra e che ha bisogno di aiuto. Nella parabola però si puntualizza come ognuno deve essere prossimo per l’altro, al di là dei limiti, situazioni, barriere di qualunque genere – religiose, etiche, culturali, sociali –. Così, attraverso il comportamento deplorevole del sacerdote e del levita, c’è l’ammonimento a non fare del culto a Dio un fatto isolato, staccato dalla vita reale. Il samaritano, testimone di misericordia e d’amore, invita ognuno di noi ad agire come lui. Il dottore della Legge aveva chiesto a Gesù di indicargli la strada per raggiungere la vita eterna, la realizzazione piena della sua umanità, Gesù gli risponde che l’essere umano è vero-perfetto (“anthropos teleios”) quando agisce come il samaritano. Perciò “Va’ e fa’ anche tu così”.

Io sono un uomo di Chiesa e amo la Chiesa perché credo che Gesù abbia fondato la Chiesa fin dall’inizio della sua vita pubblica: “Gesù sale sul monte, chiama a sé quelli che vuole ed essi vanno da Lui. Ne costituisce Dodici – che chiama apostoli (mandati) – perché stiano con Lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13-14). Gli apostoli sono gli amati da Gesù (prendono tutto da Lui) e gli amanti della gente (donano sé stessi a tutti). La Chiesa è la grande famiglia dove tutti collaborano per la felicità di ciascuno.

Non può la Chiesa di Cristo costituirsi come monarchia assoluta e come Stato del Vaticano. Lungo i secoli infatti la Chiesa ha smarrito il Vangelo e si è affidata alla Dottrina Cristiana e al Diritto Canonico, che sono opera di uomini, non più di Cristo. Nei nostri tempi di tenebra è indispensabile che Gesù riporti il Vangelo nella sua Chiesa. In questa realtà della vita umana espressamente mortificata occorrono gli Operai del Vangelo, quei testimoni liberi e umili che possono raggiungere le persone dovunque queste si trovino. Sono i “buoni Samaritani” che sanno incontrare prontamente “i mezzi morti sulla strada” per dire loro che la vita è vera e che diventa bella senza fine nella casa del Padre. Nel cap. 10 (38- 40) di Luca anche due donne, Marta e Maria, evidentemente discepole di Cristo, pare siano chiamate a fare le “operaie del Vangelo”.

A Maria Gesù sembra dire. “È necessario che tu mi conosca bene e mi ami per annunciarmi ai fratelli”. E a Marta: “Compi il servizio della testimonianza a mio favore senza particolari preoccupazioni, perché Io ti sono sempre accanto e ti sostengo nel superare le difficoltà”. Nel Vangelo infatti Gesù mostra una grande fiducia nelle donne e a esse affida “l’annuncio del Vangelo” (cf. Gv 20,17-18).

LE DONNE SONO LA RIFORMA DELLA CHIESA

Nel nostro mondo le disuguaglianze sono sconcertanti e crudeli. Ed è doveroso constatare che una causa principale di esse è il governo della Chiesa cattolica. Ancora oggi la Chiesa ha una visione tolemaica di se stessa. Si ritiene l’essere assoluto che opera con l’infallibilità di Dio. “Extra Ecclesiam nulla salus”. La disuguaglianza radicale, che la Chiesa mantiene come un dogma di fede, è quella delle donne rispetto agli uomini. E con questo criterio di condotta la Chiesa si rende antievangelica.

Gesù non solo ha sempre parlato bene delle donne, ma tutto il Vangelo dà la percezione che Gesù abbia consegnato a esse il compito di comporre la comunità dei discepoli di Cristo. La rivoluzione copernicana è finalmente arrivata. Papa Francesco afferma: “Non è la Chiesa che salva, è Cristo che salva”. E “il Principio Speranza” si mantiene invincibile.

Maria, la discepola

Maria è la vera discepola di Gesù, modello di tutte le discepole e di tutti i discepoli del Vangelo. La sua presenza esemplare comincia con l’Annunciazione e si va a completare ai piedi del Figlio crocifisso. Maria, da discepola mite e umile, e anche nascosta, occupa tutto lo spazio del Vangelo. Nella Annunciazione la sua disponibilità discepolare è già totale. Non può comprendere il messaggio dell’Angelo, che le chiede di diventare la madre del Salvatore. Ella sa soltanto di essere la “serva del Signore” e desidera che “tutto avvenga in lei secondo la sua parola” (Lc 1,38). Viene subito considerata come la “donna del popolo” colei che rappresenta tutte le categorie di persone, ma soprattutto gli sprovveduti, i senza nome, i miserabili.

È la donna del popolo, con “l’anima sempre trafitta dalla spada” (cf. Lc 2,35), per le difficoltà e le tribolazioni che sostiene per seguire Gesù: sia quando va a partorirlo in una stalla, quando deve fuggire in Egitto, quando ritorna senza una precisa destinazione, quando deve andare a cercarlo, ancora ragazzo, perché si è fermato a Gerusalemme senza avvertirla, quando durante la vita pubblica, Gesù sembra trascurarla.

Nella sequela del figlio, Maria giunge su calvario e “stabat mater iuxta crucem - sta la madre presso la Croce” (Gv 19,25) per ricevere da Gesù la maternità, la cura integrale di tutte le genti e soprattutto dei poveri, degli afflitti, dei peccatori e dei perseguitati. “Virgo fidelis”: “beata te che hai creduto all’adempimento della parola di Dio” (Lc 1,45). Così il discepolo, ama totalmente Gesù, e lo segue dovunque, ad ogni costo, fino alla fine. Il carattere del discepolo è come per Maria, il martirio, il donare la propria vita ai fratelli.

Maria, la madre

L’uomo nasce con la volontà di potenza. L’uomo nasce con la sfida nel cuore: fin dall’inizio, l’Adam, l’essere umano, vuole “essere come Dio, conoscitore del bene e del male” (Gen 3,5). La donna nasce fedele al Creatore, perché deve mantenere la verità della vita, deve generare e proteggere “l’essere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,26). Mediante la donna, quindi, Dio compone la nuova creazione. Rivolto allo spirito del male, annuncia: “Io pongo inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: ella ti schiaccerà la testa e tu le insidiererai il calcagno” (Gen 3,15). Il Creatore assicura che nella storia dell’uomo, nulla è rovinato, non avranno la vittoria l’inganno e la violenza, la terra non sarà in dominio della morte, perché sulla terra, continuerà ad esserci la donna e con essa la generazione per sempre della vita.

Anche l’uomo, quando prende coscienza, riconosce la donna, quale archetipo dell’“uomo che vive”: l’uomo, allora, chiama la moglie Eva (da «hajah», che significa: «vivere-vita») perché ella è essenziale per tutta la storia dell’umanità: essa è la madre di tutti i viventi” (Gen 3,20). Dice papa Francesco: “La Donna viene percepita come una barriera protettiva contro il male. Vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura da ogni attentato malvagio. Così la Donna dell’Apocalisse, che corre a nascondere il Figlio dal Drago, e Dio la protegge (cf. Ap 12,6). Si apre qui lo spazio per una teologia della donna che sia all’altezza di questa benedizione di Dio, per lei e per la sua generazione”. Questa dichiarazione di papa Francesco rivela la profezia di tutte le madri del mondo.

La profezia delle madri è la generazione della vita, al di là di tutte le morti della storia umana. La profezia delle madri è la difesa della vita dei figli fino al sacrificio della propria La profezia delle madri è perdono e superamento del passato: la nascita di un nuovo essere umano è innocenza, che cancella tutte le tragedie del tempo. La profezia delle madri è affermazione della vita che continua, è certezza di futuro, è il fiorire della vita “piena di immortalità” (Sap 3,4). Dice un proverbio ebraico che “Dio creò il mondo e quando vide che non arrivava a tutto, creò le madri”.

Anche Dio ha bisogno di una madre per nascere come uomo. Nella storia delle genti, narrata dalla Scrittura, le donne-madri, anche moralmente eccepibili, fanno da chiave di volta nei grandi passaggi dell’umanità. Nella genealogia di Gesù: Giuda, generò Fares e Zara da Tamar... Salomon generò Boaz da Rut... Davide generò Sa- lomon da quella che era stata la moglie di Uria (Betsabea). Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù (Mt 1,3-5- 6-16). Per la mentalità ebraica, la storia non passa attraverso i fatti, ma attraverso le persone e la continuità storica è garantita dalla successione delle generazioni familiari.

Le genealogie, nella concezione biblica, esprimono pienamente il senso della storia, alla luce delle promesse di Dio. Mostrano la sua fedeltà, che non viene meno “di generazione in generazione”. In esse vengono indicati i nomi di padre in figlio, perché nella concezione ebraica le donne non contano, conta la linea di discendenza maschile. La caratteristica della genealogia di Matteo è invece la presenza di alcune figure femminili.

È una novità assoluta, rispetto all’Antico Testamento, perché si riconosce che la storia della salvezza non passa solo attraverso figure maschili, ma anche femminili. È una novità, ancora più sorprendente, per il carattere delle donne scelte. Solo una rivelazione speciale dallo Spirito può portare Matteo, un ebreo osservante della Legge, a formulare, una “genealogia” di Gesù, così anomala.

Tamar, di cui parla Genesi 38, si finge prostituta per avere un figlio con il suocero Giuda. Con questa astuzia può far rispettare la legge del levirato. Racab, di cui parla il libro di Giosuè, è davvero, una prostituta di Gerico. Accoglie nella sua casa due sconosciuti, mandati da Giosuè, che vuole conquistare la città. Racab, presumendo il destino di Israele, li nasconde, li aiuta a fuggire, dando la possibilità a Giosuè di entrare nella città e conquistarla. Rut, a cui è dedicato un intero libro della Bibbia, è una moabita, appartenente a un popolo le cui origini risalgono all’incesto delle figlie di Lot. C’è avversione tra Israele e Moab: “nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore” (Dt 23,3). Eppure la famiglia ebrea di Elimeleck e Noemi, troverà accoglienza nella terra di Moab e i loro figli sposeranno due moabite, Orpa e Rut. Quando Noemi rimarrà sola perché i suoi figli moriranno, Rut non l’abbandonerà. La suocera diventerà per lei “la sua terra”, il suo “popolo” e il Dio di Noemi diventerà anche il Dio di Rut (Rut 1,16). Rut rompe la divisione fra i popoli con la forza dell’amicizia, della tenerezza e della vita. Betsabea, la cui storia è raccontata nel secondo libro di Samuele, è la moglie dell’Ittita Uria. Davide si innamora di lei e manda a morte il marito. Betsabea piange la morte del marito e del primo figlio, ma poi dà alla luce Salomone.

L’elemento che accomuna queste donne è che sono straniere e la loro presenza nella genealogia di Gesù diventa segno della universalità della salvezza. Sembra che Dio voglia accordarsi con la Donna, per fare la storia della salvezza dell’uomo. Tamar, Racab, Rut e Betsabea, vengono introdotte, per disegno divino, nella storia della salvezza. Stanno a indicare che nelle vene di Gesù non scorre soltanto sangue ebreo. E si può dire che “dove sta il peccato, sovrabbonda la grazia” perché “Dio provvede” (Gen 22,14).

Lo Spirito, che ha guidato queste donne nelle loro storie, è lo stesso che “scenderà” su una giovinetta di Nazaret. Una donna che con la sua libera adesione al progetto di Dio, scardina il normale racconto della genealogia: non più da un uomo viene generato il Figlio, ma da Maria nasce Gesù (Mt 1,16). Maria è permanente richiamo della Incarnazione di Dio. Maria è la sposa dello Spirito Santo. Maria costruisce Dio nel suo grembo e lo rende uomo. Maria è l’essere umano riempito della grazia: è il prototipo dell’essere umano redento.

Maria è la femminilità di Dio: Gesù viene al mondo mediante la madre. Maria dà inizio alla liturgia della Croce (martirio), come mostra il discorso della “spada” che le trapassa l’anima (cf. Lc 2,35) Maria entra in modo esplicito nel Corano divenendo una porta tra cristianesimo ed islam. “Nella pienezza del tempo” (cf. Gal 4,4) c’è la Vergine, Madre di Dio, e la Madre dell’uomo. Mediante la Vergine-Madre si ha la “Concezione Immacolata” dell’umanità. La annuncia Pietro, il quale confessa: “Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” (At 10,28).

E quasi con insistenza interviene, per dire: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, Gesù Cristo è il Signore di tutti” (At 10,34-36). Maria è l’origine del Vangelo ed è la conferma che “la donna salverà il mondo”. Maria è la donna genuina, capace di rifare la storia dell’uomo. L’evento sublime, ma profondamente e intimamente umano, è dato dal Padre, che la vuole sposa del suo Spirito. Da Lei nasce “il Figlio Unigenito, come Dono sostanziale del Padre a tutti gli esseri umani, perché anch’essi diventino figli” (cf. Gv 8,16). E l’essere della Madre è essenzialmente “donare la vita”, come garanzia della vita, come comprensione per tutte le situazioni di vita. L’essere della madre è donarsi fino all’estremo, fino a proteggere totalmente la creatura umana, fino alla “misericordia” sempre.

L’episodio più umano e nel contempo più divino della nostra storia è quello delle “nozze di Cana” (Gv 2,1-12). La quotidianità dell’uomo, oltre che essere normale, è anche frivola: la celebrazione delle nozze comunque viene percorsa da un filo di incontinenza, che sembra solo profano. Nei nubendi, nella loro famiglia, c’è però tanta trepidazione e c’è tanta incertezza. Ma nelle nozze, a Cana “c’è la madre di Gesù” (Gv 2,1). L’affermazione, così netta, sembra quasi scolpire la presenza d Maria, come artefice di tutti i passaggi del momento celebrativo.

Maria, la Vergine di Matteo e di Luca, è in Giovanni, “la donna di casa”, che conosce il cuore delle persone, sa quante ansie e quanti malumori ci possono stare, anche in una festa, e vigila perché tutto proceda con ordine e, soprattutto, con serenità.

Prontamente si accorge che viene a mancare il vino, e pure se questa bevanda può rendere smodata la festa, la Madre sollecita Gesù perché provveda. Gesù è indisposto: “non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). La rivelazione nuova del Vangelo è data dal fatto che la Madre sceglie “l’ora” dell’uomo, piuttosto che “l’ora” di Dio. La famiglia degli sposi è nell’angustia, e la Madre deve provvedere, forzando la volontà del Padre. Con sicurezza si rivolge ai servitori, dicendo: “qualsiasi cosa Gesù vi dica, fatela” (Gv 2,5) Maria è certa che Gesù la esaudisce. In questa verità si potrebbe inserire tutta la bellezza e tutta la gioia della mediazione della Madonna. Infatti la trasformazione in vino dell’acqua di “sei anfore di pietra, contenenti da ottanta a cento litri” (Gv 2,6), viene compiuta. Viene così riportata l’allegria alla festa. “Il regno dell’uomo, non è di questo mondo” (Gv 18,36). Ma il figlio di Dio si fa uomo, perché nell’esperienza dell’“eterno amore” del Padre, vede quanto è tribolata, fino all’angoscia, la vita dell’uomo sulla terra. E vuole confortarlo, anche portargli letizia, usandogli sempre misericordia, fino a donargli la propria vita. La Madre, su questa terra, è “la consolazione degli afflitti” e “il rifugio dei peccatori”. E, inoltre, per noi, la sorgente della fede in Gesù: mediante lei, “Gesù manifesta la sua gloria e i suoi discepoli credono in lui” (Gv 2,11).

Che stupore gioioso sapere che la Madonna ci sta accanto, unicamente per proteggerci e per confortarci. Che bello sapere che la Madonna è sempre Misericordia! Il 1° cap. di Giovanni presenta l’essere di Gesù, che è “il Logos e il logos è Dio e per suo mezzo vengono fatte tutte le cose” (cf. Gv 1,1-2). “Questo Logos si fa carne” (Gv 1,14) e noi “riceviamo dalla sua pienezza, grazia su grazia”(cf. Gv 1,16). Il 2° cap. di Giovanni è il Vangelo di Maria. È Lei, infatti, che dà origine alla missione di Gesù, è Lei, che dà “inizio ai segni compiuti” (cf. Gv 2,11), “affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,31).

Sulla Croce, Gesù fa dono a me della Madre sua. Vuole che Maria sia mia Madre (cf. Gv 19,25-27). È la gioia più grande della vita, sapere che Maria è mia Madre e che mi accoglie sempre con misericordia. Sul modello di Maria, il vangelo presenta alcune figure femminili che non esprimono soltanto il “genio della donna”, secondo la Mulieris dignitatem, ma sono fondamento di umanità nuova.

Le donne con Gesù e gli apostoli (Lc 8,1-3)

“Gesù passa per città e villaggi annunciando la buona notizia del Regno di Dio. Sono con Lui i Dodici e alcune donne, che erano state guarite da spiriti cattivi e da malattie: Maria, chiamata Maddalena, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che li servivano con le loro sostanze”. Le donne qui nominate si ritroveranno in altri importanti momenti: alla crocifissione (cf. 23,49-55), alla risurrezione (cf. 4,40) e con gli Apostoli prima della Pentecoste.

Luca è molto attento al ruolo delle donne: la loro presenza alla sequela di un rabbì è sorprendente, soprattutto all’interno della società palestinese. Con la Pentecoste si costituisce la comunità cristiana, in cui le donne stranamente vengono esautorate.

Il matrimonio

Gesù antepone il diritto delle donne a ciò che era stabilito a favore dell’uomo (cf. Mc 10,1-12; Mt 9,1-9). Nel primo secolo la possibilità per l’uomo di sciogliere il vincolo matrimoniale non era in discussione, non lo erano i motivi a partire dai quali si potesse farlo. Gesù dice che la norma di Mosè non è in origine positiva ma concessiva. Dalla questione puramente legale, Gesù conduce i suoi interlocutori al fondamento antropologico del matrimonio, evidenziando come nel piano della creazione l’uomo e la donna hanno la vocazione all’unità. Tale vocazione viene da Dio. Pertanto ogni atto che porta alla separazione, da qualunque soggetto venga promosso, si pone come atto contrario alla decisione di Dio e alla vocazione profonda dell’uomo.

L’episodio della donna che cosparge di profumo i piedi di Gesù (Lc 7,36-50)

L’episodio è proprio di Luca anche se ha analogia con l’unzione di Betania (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Gv 12,1-8). Gesù viene invitato a pranzo dal fariseo Simone. Entra una donna che “piange”, bagna di lacrime i piedi di Gesù, li asciuga, li bacia, li cosparge di profumo. Simone è stupito: vede che a Gesù non fa problema essere toccato da una peccatrice. Gesù intuisce la perplessità di Simone e gli dice: “Tu non hai osservato le norme dell’ospitalità. La donna invece ha fatto tutto questo. Per questo ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha amato molto”. È straordinario; il perdono dei peccati non è conseguenza della fede in Gesù, ma dell’amore per Lui. I commensali si chiedono: “Chi è costui che perdona i peccati?”. A questo punto Gesù dice alla donna: “La tua fede ti ha salvato”. È però l’amore che porta al perdono, e il perdono genera la fede. Nel Vangelo di Marco è tramandata al riguardo una parola di Gesù illuminante: della donna che lo unge a Betania si dice, ed è un caso unico, che il suo gesto verrà ricordato “ovunque sarà annunciato il Vangelo” (Mc 14,9); vale a dire che ella è proclamata parte integrante dell’annuncio.

La donna siro-fenicia (Mc 7,24-30)

“Gesù entra in una casa e non vuole che alcuno lo sappia” (Mc 7,24). Eppure una donna entra e si getta ai suoi piedi. La donna è greca. Tra l’altro la donna pagana riconosce Gesù come “Kyrios-Signore”, titolo che mai altrove, in Marco, è usato da un essere umano nei confronti di Gesù. Gesù la provoca, sorpreso probabilmente dalla sua fede straordinaria, respingendola. Ma la donna, una pagana, sa che Gesù è il figlio di Dio, è l’amore universale, e pretende di avere “almeno le briciole” del Regno. Gesù è commosso: “Grande è la tua fede, o donna. Avvenga per te come desideri” (Mt 15,28).

Donne incontrate da Gesù

Gesù rimane incantato da una fede piena d’amore, come quella della donna: “Vede una vedova bisognosa che vi getta due spiccioli nel tesoro del tempio e dice: In verità io vi dico che questa vedova così povera ha gettato più di tutti. Tutti costoro infatti hanno gettato nelle offerte dal loro superfluo; ella invece, nella sua povertà, ha gettato tutto quanto aveva, tutta la sua vita” (Lc 21,1-4). La donna “getta la vita” per amore. Ed ecco una donna del popolo alzata la voce dice a Gesù: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha nutrito” (Lc 11,27). La donna sente la ricchezza di vita che c’è in Gesù e la manifesta con un entusiasmo appassionato.

In realtà Gesù tratta la donna con particolare delicatezza. La suocera di Pietro sembra essere la prima donna che Gesù incontra nel suo ministero: “Entrato nella casa di lui vede la sua suocera a letto con la febbre. Gesù tocca la sua mano e la febbre la lascia. La donna si alza e inizia a servirlo” (Mt 8,14-15). Il servizio delle donne probabilmente è rivolto a tutta la compagnia di Gesù. Ma il testo vuole rilevare la centralità dell’incontro tra Gesù e la suocera di Pietro. “Una donna perdeva sangue da dodici anni, si avvicina a Gesù dicendo tra sé: Se riuscirò anche solo a toccare la sua veste, sarò salvata. Gesù si volta e le dice: Coraggio figlia, la tua fede ti ha salvato” (Mt 9,20-22). Gesù è certamente più giovane di lei, ma la chiama “figlia” con la sensibilità di un cuore infinitamente amante. “Uno dei capi dice a Gesù: mia figlia è appena morta, ma vivrà se verrai ad imporre la tua mano su di lei” (Mt 9,18-19). Gesù entra in casa, prende la mano della fanciulla e questa si alza (Mt 9,23-25). La fede pura di un padre commuove Gesù al punto di ripagarla con il dono della figlia viva. In questo brano il protagonista è il padre, ma l’intervento creativo di Gesù è per la donna. La guarigione della donna curva è caratterizzata dalla presenza di Dio. Infatti Gesù le impone la mani, ma ella appena si raddrizza “glorifica Dio”. La volontà salvifica di Dio si è manifestata per mezzo di Gesù. È Gesù tuttavia che pieno d’amore per la misera, caccia da lei “lo spirito di infermità, e mette letizia nella sua vita (cf. Lc 13,10-17). Il verbo usato per “la vedova di Nain” è splanchnizomai l’emozione d’amore per questa donna è talmente profondo da muovere in Gesù le viscere materne della generazione. In realtà Gesù prende per mano “il ragazzo e lo restituisce a sua madre” (cf. Lc 7,11-17).

La moglie di Pilato

Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie gli inviò un messaggio: “Non avere a che fare con quel giusto: ho sofferto molto, oggi, in sogno, per causa sua” (Mt 27,19). È un sogno questo da confrontarsi con i cinque sogni dell’infanzia nel Vangelo di Matteo, i sogni intervengono con lo scopo di salvare Gesù; questo sogno non sortisce il suo effetto. Serve tuttavia a far risaltare l’innocenza morale di Gesù “quel giusto” e a far comprendere che Gesù è per tutti anche per i pagani che “soffrono” per la sua sorte. La sofferenza è sempre redentiva. Soffrire per Gesù vuol dire risorgere con Lui nella gloria.

La cena di Betania (Mt 26,6-13)

Nella cena di Betania ha luogo “l’unzione messianica” di Gesù. Annunciata dai preparativi per la Pasqua (cf. Mt 26,1- 2) e dal consiglio per mettere a morte Gesù (cf. 26,3-5) è seguita dalla messa in atto del tradimento di Giuda (cf. Mt 26,14-16). L’unzione di Betania è “sul capo” di Gesù (Mt 26,7), diversamente da quella descritta in Lc 7,28 e in Gv 12,3, che è compiuta sui “piedi”. È pertanto un’unzione regale. Gesù viene unto Re e Messia (cf. Sam 16,12-13) in modo semplice e dalle mani di una donna e solo Gesù comprende il significato del gesto: “Lei ha versato questo unguento sul mio corpo per la mia sepoltura” (Mt 26,12).

È paradossale che sia una donna a comprendere il significato salvifico dell’imminente morte del Messia, proprio quando Gesù ha istruito degli uomini a riguardo per ben tre volte. In Marco e Matteo c’è l’annuncio di Gesù: “In verità vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, in tutto il mondo, sarà narrato in sua memoria quello che lei ha fatto” (Mc 14,9). E noi dopo duemila anni ricordiamo con emozione questo evento.

Le donne alla crocifissione (Mt 27,35-36)

Tutti gli apostoli sono fuggiti, dopo il tradimento di Giuda. Gli uomini che passano sotto la croce canzonano Gesù che “ha liberato gli altri, ma non sa liberare sé stesso”. A una certa distanza dalla Croce “ci sono molte donne che hanno seguito Gesù dalla Galilea per servizio... Tra queste ci sono Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe e la madre dei figli di Zebedeo. (La madre che pretendeva onori per i figli, di fronte alla sofferenza di Gesù, lascia anche i figli per seguire Gesù). Per Gesù la donna è l’emblema della fedeltà. Le donne seguono poi Gesù alla sepoltura: “sono lì sedute di fronte al sepolcro, Maria di Magdala e l’altra Maria” (Mt 27,61). Alla risurrezione ci sono solo le donne: “Alla sera del sabato, al risplendere del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria vanno a vedere il sepolcro... Un Angelo del Signore scende dal cielo e avvicinatosi, rotola la pietra e vi si siede sopra... L’angelo dice alle donne: non abbiate paura. So che cercate Gesù, il crocifisso non è qui. È risorto come aveva detto” (Mt 28,1-6). Il ricordo delle parole di Gesù da parte di queste donne mette indirettamente in rilievo la dimenticanza e l’assenza dei discepoli, che non riappaiono se non quando alcune donne vanno da loro per riferire della tomba vuota (Mt 28,8).

Le donne della resurrezione (lc 24,1-12)

Il ruolo del sepolcro è ormai irrilevante. L’osservazione della tomba vuota suscita non la fede, ma la perplessità. I due uomini dagli abiti sfolgoranti dicono alle donne: “non è qui, è risuscitato”. Ricordate come vi parlò quand’era in Galilea: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato nelle mani di uomini peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”. E le donne si ricordano delle sue parole. Luca ripetutamente nota l’incapacità dei discepoli a comprendere le predizioni di Gesù (cf. Lc 9,44-45 e 18,31-34). Ora le donne ricordano le parole di Gesù e sanno che è risorto. Anche Pietro avvertito dalle donne arriva al sepolcro e rimane “stupito”. La parola di Gesù, ricordata dalle donne, le porta alla fede. Le parole di Gesù, dimenticate dagli uomini, lasciano questi nell’ansia del dubbio. È da rilevare, inoltre, che le donne ricordano le parole di Gesù perché lo seguono dovunque e non per interesse come gli apostoli, ma soltanto per amore.

Alcune donne fondatrici del vangelo: la “samaritana”: la prima missionaria

Gesù si intrattiene a dialogare con una donna, anche irregolare, per la sua condizione di vita, in luogo pubblico, sollevando lo stupore della donna stessa (Gv 4,9) e la perplessità scandalizzata dei discepoli (Gv 4,27). Viene spontaneo confrontare il personaggio del cap. 3 di Giovanni, Nicodemo, il quale come maestro della Legge, cerca i “segni”, per avere la conferma che Gesù è da Dio, con la samaritana che incontra Gesù, per la prima volta, e sente in lei il rinnovarsi della vita. Anch’ella cerca il Messia e Gesù mostra a lei totale fiducia, rivelandosi: “Sono io, che parlo con te” (Gv 4,26). La samaritana, la donna eretica e libertina è il primo personaggio del Vangelo cui Gesù rivela di essere il Messia. “La donna lascia l’anfora” (Gv 4,28), lascia cioè ogni tipo di cura materiale e corre dalla sua gente ad annunciare la venuta del Signore.

Con l’intervento della samaritana, infatti, Gesù, per prima, si rivela ai pagani o piuttosto ai dissidenti ed eretici, come venivano considerati i samaritani. La samaritana è quindi la prima “inviata-apostola” del Padre. Anticipa la missione che il Risorto darà ai suoi: “come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20,21).

Maria di Betania: la prima credente

“Maria, seduta ai piedi del Signore, ascolta la sua parola” (Lc 10,39). La fede di lei diventa amore adorante.

È davvero sorprendente che una donna assuma la posizione del discepolo ai piedi del maestro. La fede di Maria, però, è integrale, fino a diventare al di là di ogni interesse di carattere materiale, “passione” per Gesù. Parlo di “passione”, come di amore gratuito e sofferto per Gesù, fino a condividere il sacrificio supremo di Lui. Maria è presentata da Giovanni, come la discepola, che avendo già sperimentato il potere di Gesù sulla morte del fratello, ora accompagna il Signore con amore integro, nel suo esodo pasquale; “Maria prende trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparge i piedi di Gesù, poi li asciuga con i suoi capelli, e tutta la casa si riempie dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3). L’evangelista insiste sulla preziosità e purezza del nardo, sul suo valore: versarlo su Gesù, che è prossimo alla morte, è segno di un dono totale, puro, e anche necessario. Gesù accoglie con commozione il gesto della donna e lo collega alla propria sepoltura. Giuda protesta per lo sperpero, ma Gesù dice: “lasciatela fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Nel suo gesto Maria riconosce Gesù, come il Cristo, come il Signore della propria vita.

Marta: la prima teologa

“Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (Gv 11,5). Marta è indicata per prima, perché è la padrona di casa, in pieno controllo dei suoi beni, libera di offrire ospitalità a Gesù e ai suoi discepoli. Marta è triste, per la morte del fratello, e avrebbe voluto un intervento tempestivo di Gesù, ma afferma con vigore la sua messianicità: “Anche ora so che qualunque cosa, tu chiederai a Dio, Dio te la concederà” (Gv 11,2). A cuore aperto accoglie la testimonianza di Gesù, non solo straordinaria, ma che trascende ogni progetto umano, anche il più sapienziale: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vive; chiunque vive e crede in me, non muore in eterno” (Gv 11,25-26).

La risurrezione di Gesù è la novità permanente della storia umana, una novità che fa del futuro non solo il principiosperanza, ma una realtà che dà senso a tutta la passione di vita, a tutta la grande sofferenza e a tutte le conquiste più valorose della storia umana. Gesù, insiste con Marta: “Credi tu questo?” (Gv 11,2). E Marta riconosce Gesù quale l’unico benessere dell’umanità, sulla terra e nel regno di Dio: “Si, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,27). Nella dichiarazione di Marta si ha tutto il Kerygma della Chiesa.

Maria di Magdala, la fondatrice della fede pasquale

Come Pietro nel Vangelo viene nominato per primo tra gli apostoli, così Maria di Magdala viene sempre nominata per prima tra le discepole. Segue Gesù dalla prima ora della vita pubblica (cf. Lc 8,2), è ai piedi della Croce con Maria e Giovanni, segue la sepoltura di Gesù, si reca notte tempo al sepolcro per ungere il suo corpo (cf. Mt 27,56-61; 28,1; Mc 15,40-47; 16,1; -c 24,10e Gv 20,1). “Vede che la pietra è stata tolta dal sepolcro” (Gv 20,1) e corre a riferire che “hanno portato via il Signore” (Gv 20,2). Piange desolata, perché vuole comunque entrare in possesso del “mio Signore” (Gv 20,13). Indiscutibilmente Gesù ha segni di predilezione per lei e la sceglie come fiduciaria: “donna perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,15). Maria si “con-verte – si “volta” – e vuole reimpossessarsi di Lui: “Rabbuni” il mio Signore (cf. Gv 20,16).

È un modo, questo, dolcissimo di varcare la soglia della morte. Maria di Magdala è la testimone ufficiale della Risurrezione: “ho visto il Signore” (Gv 20,18) ed è l’apostola (“viene mandata”) della Risurrezione: “Va’ dai miei fratelli (i discepoli di Gesù di tutti i tempi) e dì loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17). Maria conosce anche tutto il valore, tutta la gloria dell’“Ascensione”. Assicura, in tal modo, la risurrezione dell’umanità e la sua permanenza presso il Padre.

L’adultera: la prima femminista

Sembra fuori della logica e della dinamica della narrazione evangelica il fatto che Giovanni collochi questo episodio sorprendente, quasi nel cuore, della rivelazione che Gesù fa di sé stesso: “Nel grande giorno della festa (la festa delle capanne-sukkot), Gesù, ritto in piedi, gridò: se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me” (Gv 7,37-38). La testimonianza prosegue, annunciando: “Io sono la luce del mondo, chi segue me ha la luce della vita” (Gv 8 12). Lungo tutto il cap. 8 di Giovanni, Gesù asserisce, di fronte agli scribi e farisei, di essere il Figlio del Padre. In un contesto così altamente spirituale e pieno di trascendenza, viene inserito, a sorpresa, l’episodio della “donna adultera”(Gv 1,1-8).

Sembrerebbe quasi una profanazione. Invece diventa un principio di Vangelo, che proclama l’uguaglianza tra l’uomo e la donna. Perché gli uomini che peccano di adulterio, come e più delle donne, devono sentirsi i giusti e giudicare e condannare e colpire sempre la donna? L’Adultera del Vangelo è la prima “femminista”, in quanto, mediante Gesù, proclama tutta la giustizia dell’essere donna, uguale all’uomo, in tutti i diritti e in tutti i titoli di umanità. E c’è in questo episodio una tenerezza particolare da parte di Gesù: se gli uomini se ne vanno chiusi nel loro peccato, la donna viene perdonata. La raccomandazione finale: “va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11) è sì un invito alla conversione, ma a una conversione specifica. Sembra dire: “tutti gli uomini se ne sono andati, perché peccatori. Tu non fare come loro e afferma così la tua superiorità di donna”. La mia riflessione sulla donna non è gratuita esaltazione del suo genio, né una estrosità della mia meditazione sul Vangelo. Ho la convinzione che la Chiesa non potrà mai essere Chiesa di Cristo se la donna non viene liberata dalla sua subalternità per diventare la costruttrice responsabile della casa- Chiesa alla pari degli uomini.

Gli operatori di pace

Gesù è in esclusiva “l’operatore di Pace” e “le Beatitudini” che definiscono il carattere della persona di Gesù intendono segnalare le qualità morali che formano“Gli operatori di Pace” (Mt 5,9). Il compito di ogni essere umano è quello di farsi operatore di pace. Se non c’è questo impegno evangelico, gli uomini rimangono conflittuali e la loro storia diventa “il bancone del macellaio” (Hegel). In realtà mai come oggi la vita di tutti e di ognuno di noi è minacciata e siamo tutti tremebondi in previsione di una immediata catastrofe. Ma “sul mare in tempesta”, ai discepoli spaventati, Gesù dice: “Coraggio, sono Io” (Mt 14,2; Mc 6,50; Gv 6,20). Allora “tutto posso in colui che mi dà la forza”(Fil 4,13). L’impegno della “sequela” mi fa compiere “l’esame di coscienza” che mi permette l’ascolto della Parola di Gesù in diretta: “l’amante di Gesù conosce la Scrittura senza aver studiato” (Gv 7,15). L’ascolto della “Voce di Dio” che è la mia coscienza mi conduce alla “conversione”, la quale non è qualcosa di “fisico” un cambiare strada, né qualcosa di spirituale una “metanoia”, un cambiare modo di pensare, ma è una “conversione al Vangelo” (cf. Mc 1,15), è una “enkainia”, dedicazione a Gesù (cf. Gv 10,22). Il principio-conversione esige una “Fedeltà” d’impegno: “corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,1-2).

La fedeltà per essere autentica richiede “la Parresia” il “coraggio, sono Io, non abbiate paura” (Mt 14,27), la “parresia” è grazia che proviene dell’amicizia con Gesù. La fedeltà richiede quindi “la Giustizia”, che è primariamente difesa delle vittime, degli umiliati e degli infelici. La Giustizia se è fine a sé stessa diventa “inquisizione” “Il grande Inquisitore” di Dostoevskij afferma che anche Gesù sbaglia. La Giustizia invece è vera quando è promozione di “Uguaglianza dei diritti e dei doveri”. Ma la Giustizia si mantiene comunque inumana se non ricerca l’uguaglianza dei diritti e dei doveri con “la misericordia”. Misericordia che ha come componente essenziale e indispensabile il perdono e l’Amore. Solo così si diventa “operatori di Pace” in grado di “vincere sempre il male con il bene”. In verità non si può essere “operatori di Pace” (Mt 5,9) se non si adopera sempre la “misericordia-perdono-amore” anche nelle situazioni più critiche, nonostante la persecuzione permanga cruenta verso “gli amanti della vita di tutti”.

Italo Calvino in Le città invisibili dice che “abitiamo tutti in un inferno, quello che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per uscirne. Il primo riesce facile a molti accettare l’inferno e farne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno, non è inferno. E farlo durare e dargli sempre più spazio”.

Io so che in mezzo all’inferno mondano c’è Gesù, l’esemplare dell’umanità genuina, quella che è riempita dell’Amore integrale del Padre-Madre. Perciò tutte le religioni sono vere, anche quella atea, quando portano a comprendere e ad amare l’uomo, storico, senza preferenza di persone: “non puoi amare Dio che non vedi, se non ami il fratello che vedi” (1Gv 4,20) altrimenti le religioni non solo sono “l’oppio dei popoli” ma sono la disgregazione e il fallimento d’umanità: tutte le guerre infatti sono guerre di religione. I piccoli, i diaconi, i discepoli, gli operai del Vangelo, seguono Gesù con passione irrefrenabile e mettono in pratica il “mio comandamento” (cf. Gv 15,12), “il nuovo comandamento” (cf. Gv 13,34), “l’unico comandamento” (cf. Gv 15,17) di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come Io vi amo”. Gesù conclude assicurando: “Io so che il comandamento del Padre è vita eterna” (Gv 12,50).

Ripartiamo

Il Vangelo richiede al “discepolo” “la sequela” di Gesù: “vieni e seguimi”, una “sequela” che si realizza nella spoliazione di tutto ciò che si possiede (cf. Mt 8,18-22; Lc 9,57-62) fino alla spoliazione dell’“io”: “così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili: abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). La Chiesa ha spostato la sequela di Gesù verso “la spiritualità cristiana”. Agostino, Tommaso, Pascal, Kant, Maritain... hanno sviluppato una spiritualità teocratica e umanistica piuttosto che evangelica.

La Chiesa ha sempre preferito invocare lo Spirito secondo una direttiva teologica-umanistica, programmando quasi la separazione dalla radicalità della “sequela”. Oggi è necessario liberare Gesù e ridargli la sua autenticità evangelica. Si impegnino a farlo i discepoli, i diaconi, gli operai del Vangelo e le donne.


«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi 
iscriviti alla newsletter»
stampa la pagina


Gli ultimi 20 articoli