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Enzo Bianchi "Salviamo il nostro sapere"

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La Repubblica 
 24 aprile 2023
per gentile concessione dell’autore. 

Sempre di più siamo consapevoli che il sapere oggi, soprattutto con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, viene colpito nelle sue due principali funzioni: la ricerca intesa come quaerere e la trasmissione della conoscenza. Lo profetizzava già Jean François Lyotard: “L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso… Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto e consumato e dunque per essere scambiato: si arriverà alla mercificazione del sapere”. 
Perciò è necessario riflettere sull’insegnare per mettere in evidenza che è un atto generato da una persona che ha l’exousía, l’autorevolezza e la conseguente umiltà di mettersi in relazione. 
Siccome ha imparato, le è stato insegnato, è capace di insegnare. 
Insegnare significa infatti “fare segno”, e designa il compito di persone che si fanno portatori, datori e trasmettitori di segni. 
L’insegnante consegna simboli, chiavi per interpretare la realtà: è colui che indica l’orizzonte, che “orienta”, cioè aiuta a trovare l’“oriente”, il luogo dove sorge la luce della vita. È significativo che secondo la tradizione sapienziale ebraica il sapiente è colui che sa orientare gli altri nella vita. Sta scritto nel Libro dei Proverbi: “L’uomo sapiente tiene saldo il timone” e in Qohelet “Esperto della vita, avrà parole che saranno come pungoli”, cioè stimoli all’indagare, alla ricerca e “pietre miliari”, cioè indicatori di via e argini che segnalano il limite. Suggeriscono, non impongono, non tacciono ma non gridano. Come l’oracolo di Delfi, attraverso il quale il dio non dice: fa segno (Eraclito f. 93). 
Sì, gli insegnanti sono chiamati a porre gesti espressivi, dove il senso va inteso nella sua triplice accezione di significato, di direzione, di sapore, senza tralasciare la dimensione estetica nella quale la bellezza dà compiutezza a ogni senso. In questa relazione tra l’insegnante e il destinatario dell’insegnamento, chiamato discepolo, il rapporto non deve certo essere asettico perché l’insegnare deve essere intriso di “eros”, di capacità affettiva. Così si educa in modo serio, come suggerisce il verbo educere,“condurre fuori da… verso…”: facendo uscire, ispirando un esodo da se stessi e accettando il rischio della libertà. L’insegnante diventa così anche un passeur, un traghettatore che fa passare il giovane ad altre rive. Il rapporto educazione- insegnamento non è facile, “non si può educare senza, allo stesso tempo, insegnare; e l’educazione senza insegnamento è vuota e degenera in una retorica morale. Ma si può insegnare senza educare e si può continuare a imparare senza mai però educarsi”, scrive Hannah Arendt, che osserva anche: “L’educazione è il punto in cui si decide se noi amiamo abbastanza il mondo per assumerne la responsabilità, per salvarlo dalla rovina inevitabile senza il rinnovamento delle nuove generazioni!”.


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