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Rosella De Leonibus "La post-pandemia degli anziani"

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rubrica Psicologia

Due immagini per cominciare. La prima è quella di un tot di grandi pannelli per annunci pubblicitari. Se ne trovano lungo gli alti muri di cemento che fiancheggiano le rampe di accesso alle strade di scorrimento che immettono nella mia città.Fino a tre anni fa era là che, guidando, lanciavo un’occhiata veloce per non perdermi l’annuncio di uno spettacolo teatrale, un concerto, una liquidazione, una mostra… Da allora, poco dopo che è scoppiata la pandemia, sono rimasti muti. Nei primi tempi, all’epoca del lockdown, apparivano strani, patetici, per via delle date degli eventi di cui davano notizia, ormai passate da mesi, eventi che sembravano ormai appartenere ad un’altra era, molto più festaiola, ricordata con nostalgia, quasi dimenticata. Poi hanno cominciato a strapparsi, a sbiadirsi, creando involontarie e imprevedibili immagini astratte, collage casuali di volti, nomi, scritte, che andavano a comporre insiemi surreali, rivelando, come la muta di un insetto, strati di pelle ormai deteriorata, testimonianza di altre forme, di altre storie, ma ora prive di vita. Ancora un anno e i pannelli sono rimasti nudi, svuotati, scarnificati anche delle più antiche stratificazioni,sono rimasti muti, con le loro tracce di ruggine, le saldature rotte, i lembi che fuoriescono dal bordo. Da pochi mesi, visto che,anche a restrizioni ormai finite, nessuno li usava più per affiggervi le gigantografie pubblicitarie, il Comune li ha quasi tutti pietosamente ricoperti di una carta uniforme, azzurrina come un cielo d’inverno, che ha conferito all’insieme un tono più pulito, più curato, ma ancora più straniante: finestroni di cielo, muti, sui muri delle rampe. Ora anche la carta celestina comincia a staccarsi suibordi, a strapparsi, e i lembi dondolano al vento, mentre ricompare il fondo grigio rugginoso del pannello. E allora gli eventi che la città offre bisogna andare necessariamente a cercarseli nelle pagine social, nei siti internet, nelle scansioni dei QR-code, che spesso sono difficili da trovare in giro, e se anche li trovi loro, beffardi, magari non si aprono. Tutte ricerche, queste, che non si possono certo fare con una rapida occhiata dal finestrino, men che mai guidando…Un’altra immagine è quella delle lezioni che ho ricominciato a tenere in presenza (in verità sono più delle conversazioni, dei momenti di intenso dialogo…) per alcune Università della terza età, Università libere, Università popolari in giro per la mia regione.
Le prime lezioni che ho svolto di persona subito dopo la fine delle restrizioni mi hanno riservato una stupefacente sorpresa: tutte le sedie occupate, con largo anticipo sull’orario di inizio, moltissime persone con la mascherina, ma tutte, dico tutte, con vestiti molto curati, capelli freschi di parrucchiera, anelli, collane, profumi, e un’atmosfera eccitata, vivace, vibrante, che raccontava la gioia quasi infantile di ritrovarsi insieme, la leggera ansia che la rinnovata socialità comportava, la fiducia verso chi aveva organizzato e, insieme a tutto questo, la nuova «etichetta» dei saluti, senza abbracci e senza strette di mano, ma con cenni del capo, sorrisi degli occhi, voci squillanti, a creare quella strana danza molto impacciata di chi sta cercando una nuova ritualità dell’incontro, fatta per adesso di avvicinamenti automatici stoppati prima del contatto, di slanci di braccia che si bloccano in uno strano fermo-immagine a distanza di sicurezza antiCovid, di mascherine un attimo abbassate e subito ricollocate. Di discorsi sul contagio, sulla paura di ammalarsi e morire, sul bello di essersi ritrovati, sul come va, ti vedo bene, ti vedo un pochino sciupata, ma dai, sei un fiore, eh, sei rimasta sola in casa tutto il tempo, e io in ospedale in isolamento, non mi sembra vero essere qui oggi di nuovo…
le conseguenze psicologiche



Sto parlando di anziani, di una delle fasce della popolazione che ha riportato le conseguenze psicologiche più dolorose dalla pandemia, di una delle fasce di popolazione perle quali il cambiamento di abitudini imposto dal virus è stato più drammatico, più deleterio, e sappiamo bene che, per molti aspetti, non si tornerà mai più al pre-Covid… Sto parlando delle abitudini che avevano costruito socialità, apertura mentale, esperienze culturali, come l’Università della terza età, i Centri socio culturali di quartiere per anziani, la vita associativa, le esperienze di volontariato. Sto parlando delle gite, dei viaggi di gruppo, delle visite dei parenti, sto parlando delle assistenze ospedaliere a chi è ricoverato, delle piccole condivisioni tra vicini di casa, della collaborazione dei nonni al lavoro di cura dei nipotini, delle attese affollate che, in quanto lunghe, diventavano socializzanti nell’ambulatorio del medico di base o nella farmacia di quartiere, della spesa giornaliera al supermercato, per il pane, la frutta, il giornale, le chiacchiere sulla panchina. Tutte occasioni di incontro, azioni di vita attiva. Per chi è anziano, anziana, momenti di scambio emotivo, di condivisione, di appartenenza al mondo. Ecco perché l’immagine delle sedie dell’Unitré tutte occupate in anticipo, dell’eccitazione festosa del ritrovarsi, per me hanno un senso grandissimo. Perché per una persona anziana che è tornata a socializzare, ce n’è almeno un’altra o magari anche di più, che invece non ce la sta facendo, che ha ancora paura di ammalarsi, che ha perso l’abitudine all’incontro e allo scambio interpersonale, che ha semplicemente mollato, e non riesce a riattivare quella postura esistenziale attiva che, magari faticosamente, in passato era pur riuscita a produrre. Gli spazi delle affissioni pubblicitarie ammutoliti, ricoperti di carta azzurrina, ci raccontano invece un’altra angolatura, forse meno visibile, ma altrettanto cruciale, del post pandemia degli anziani. Sono là a narrarci la fine dell’epoca della comunicazione su supporti materici, e l’intensificazione della comunicazione tramite supporti elettronici. Immateriale, invisibile se non la apri, se non la cerchi, se non hai la possibilità di lasciarti cercare da lei, se non hai dimestichezza con i vari dispositivi elettronici, primo lo smartphone, ma anche il tablet e il computer, con i suoi pin, le app, le chat, e Skype e Zoom e Meet, e i link, le e-mail, la pec, l’e-commerce, il sospettabilissimo paypal, i codici di acceso, i login, le password (hai dimenticato la password? Ben ti sta, ora stai fermo un giro e ricominci daccapo!), gli username, la dashboard, la wi-fi, il bluetooth lo scanner, il ruter, il server, il download, lo sharing, il pdf, il jpeg, l’antivirus (quello elettronico), e i misteri insondabili della connessione e relativa disconnessione.
tagliati fuori
Un’intera generazione di persone anziane, che aveva al massimo avuto la possibilità di imparare ad utilizzare w.app e google sul cellulare, e forse rispondeva emozionatissima a una videochiamata occasionale dai parenti lontani, ha dovuto imparare alla svelta i gesti magici e segreti del touch screen, ha dovuto confrontarsi con procedure e strumenti e modalità di interazione che fino a poche settimane prima erano del tutto inaccessibili. Ha dovuto imparare alla svelta, chi ha potuto contare su una mente ancora agile o su nipoti volenterosi e pazienti (molto molto pazienti). È rimasto invece tagliato fuori, ammutolito e inerme, chi, tra le persone anziane, non ha potuto contare su queste risorse interne ed esterne. Ora deve recarsi faticosamente e umilmente (anche non trattenendo una certa irritazione) al Caf, agli sportelli del patronato, anche solo per lo Spid, o per inviare un pagamento on line, per attivare una rete tv a pagamento, per impostare il decoder… Già, perché nel frattempo anche la vecchia Tv è diventata tutta smart, e se non ti digitalizzi non vedi più quasi nessun canale, né delle Tv pubbliche né di quelle private ad accesso gratuito. Una intera generazione di persone anziane, in questo post pandemia, trova difficoltà ad acquisire e trasmettere informazioni, dati, documenti, a sapere cosa accade in città, a seguire una procedura burocratica, e questo sentimento di frustrazione ed esclusione non allevia certo l’ansia che necessariamente accompagna il reingresso nella socialità. E non si tratta di un mero reintegro nella situazione pre-pandemia: non solo perché la digitalizzazione del mondo ha ricevuto una spinta fortissima, proprio per contrastare il senso di isolamento e di impotenza causato dalle pur necessarie restrizioni anti Covid, ma perché il post pandemia è caratterizzato da quella che il Presidente degli Psicologi Italiani ha chiamato «permacrisi». Quello che stiamo sperimentando, ha scritto in più occasioni David Lazzari, è un contesto di permacrisi, cioè la cronicizzazione di uno stato emergenziale dovuto alla sommatoria di più fattori: alla pandemia si è aggiunta la crisi economica, la crisi energetica e quella climatica, la guerra in Ucraina, e in modo evidente si sono aggiunti un malessere e un disagio psicologico diffusi ed endemici. Le emergenze sono cambiate, non sono semplicemente finite, e questo comporta che, specialmente nelle fasce più vulnerabili della popolazione, tra cui inevitabilmente ci sono le persone anziane, i processi di resilienza fatichino ad attivarsi o siano del tutto bloccati. Solo un intervento massiccio a livello di infrastrutture sociali può sostenere questa risalita, ma se non si investono risorse pubbliche sufficienti si verificherà un processo di grave discriminazione, proprio a carico delle fasce più deboli, le più vulnerabili, che sono quelle che avrebbero più bisogno di aiuto. Non dimentichiamo la lezione che la pandemia ci ha insegnato: le esperienze, i comportamenti e le sofferenze individuali hanno ricadute collettive, e le conseguenze si pagano anche a livello sociale. Il disagio dei più deboli diventa necessariamente un carico collettivo, un tema di cui non è possibile disinteressarsi.
contesti nuovi per prendersi cura
È proprio di questi giorni un appello della American Psychological Association, la più potente società internazionale e di psicologia, per un rinnovamento profondo nelle formule degli interventi di sostegno e di supporto psicologico: è finità l’epoca dello one to one, degli interventi individuali di trattamento del disagio conclamato e della patologia. Oggi la domanda di supporto psicologico è così vasta e diffusa che occorre cambiare completamente il modo dell’approccio. Occorre un piano nazionale, si prospetta perfino un piano europeo, per una rete di psicologia volta alla promozione di processi di resilienza diffusa sui territori, per creare spazi di ascolto, reti di sostegno intergenerazionale, supporto tra pari, e non solo cura della patologia individuale. Serve creare situazioni e contesti che si pongano a supporto e valorizzazione delle capacità degli anziani, delle loro preziose competenze, le quali non possono venir considerate tout court obsolete davanti alla rivoluzione digitale. Occorre prendersi carico delle situazioni di solitudine sociale e deprivazione relazionale, che nelle persone anziane non soltanto rappresentano un fattore di rischio sanitario e di declino cognitivo, ma danno l’avvio a quei processi di isolamento e ritiro sociale che inevitabilmente aggravano le tendenze depressive già amplificate dalla pandemia. Cari anziani, avete già pagato il prezzo più alto in termini di vite umane, di ricoveri in terapia intensiva, di ospedalizzazioni solitarie, di sintomi di long Covid e di cronicizzazione di alcune delle sue conseguenze, di cure mediche parecchio dilazionate, di controlli clinici azzerati, sospesi, o rinviati di mesi ed anni… Quelli di voi che sono in discreta salute hanno pagato con la perdita delle attività sociali e la rarefazione delle reti familiari e comunitarie, proprio negli anni della vostra vita in cui ne avreste avuto maggior bisogno. Come per i ragazzi e i bambini, il vostro mondo quotidiano, connotato dagli affetti e da una buona socialità invece che dal lavoro, in questi ultimi tre anni è crollato, e vi siete ritrovati più soli, meno tutelati, in un mondo che parla una lingua per molti di voi non facilmente accessibile. È ora che vi si tenda la mano, che vi si inviti in contesti inclusivi, socializzanti, ricchi di occasioni di ascolto, scambio e messa in valore delle vostre preziose risorse. Affinché la resilienza, in questo mondo così strano e difficile, possiamo insegnarcela a vicenda e viverla insieme, come una avventura condivisa.



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