Clicca

Papa Francesco «Non cambierei l’essere sacerdote con nessun’altra cosa»

stampa la pagina

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista a Papa Francesco realizzata a Casa Santa Marta per il sito Infobae dal sacerdote argentino Guillermo Marcó, ex portavoce di Jorge Mario Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires.

Camminando per piazza San Pietro, penso ai milioni di persone che vorrebbero fare una chiacchierata con Papa Francesco. Ho avuto questo raro privilegio per anni. A Buenos Aires ero solito parlare con lui, a volte più di una volta al giorno. Oggi i contatti sono meno frequenti, ma lui conserva la freschezza della vicinanza e dell’amicizia acquisita negli anni; non è cambiato sotto questo aspetto... Ascoltarlo è particolarmente interessante...

La prima cosa che voglio chiederti è cosa ti attrae di più nel seguire Gesù.

Non riesco a esprimerlo verbalmente. Quello che posso dire è che quando sono in sintonia con lui mi sento in pace, mi sento felice. Quando non lo seguo, perché sono stanco, perché gli fisso un orario determinato o un limite di tempo, mi sento insipido. È come se io fossi già riempito dalla mia vita... Una volta qualcuno mi ha detto: «Dio ti dà la libertà, ti dà sempre la libertà, ma una volta conosciuto Gesù perdi la libertà». Questo mi ha messo in crisi. Non so se la perdi o meno, ma il modo in cui il Signore ti chiama e stabilisce un dialogo con te ti fa dire: «no, non vado da nessun’altra parte, questo mi basta». Così sento quell’equilibrio nel senso buono del termine, non psicologico, di pace, anche in quei momenti di grande squilibrio dovuti a situazioni difficili da affrontare.

Lì, in quel confessionale della parrocchia di San José de Flores, hai potuto discernere la tua vocazione: cosa hai sentito di particolarmente speciale in quella chiamata?

È curioso perché dopo quell’esperienza del 21 settembre ho continuato la mia vita senza sapere cosa avrei fatto. Ma c’era qualcosa di diverso che si stava lentamente imponendo. Non sono uscito da lì per andare in seminario... Sono passati tre anni. È come un processo che cambia i tuoi orientamenti, i tuoi riferimenti. Il Signore entra nella tua vita e la riordina. E senza toglierti la libertà. Non ho mai avuto la sensazione di non essere libero.

Continui a definirti come un “prete”: cosa ti piace di più della vocazione sacerdotale?

Stare al servizio. Una volta un sacerdote mi diceva — lui viveva in un quartiere molto povero, non una baraccopoli ma quasi, e aveva la sua casa parrocchiale accanto alla chiesa — e mi raccontò che quando doveva chiudere la porta, la gente batteva alla finestra. Allora mi diceva: «Voglio chiudere quella finestra perché non ti lasciano in pace». La gente non ti lascia in pace. E d’altra parte, mi diceva che se avessi chiuso la finestra non sarebbe stato tranquillo ma molto peggio. Perché una volta che tu entri nel ritmo del servizio, ti senti male quando ti prendi una fetta di egoismo per te stesso. La vocazione al servizio è un po’ così, non puoi immaginare la vita se non sei al servizio. Non cambierei l’essere sacerdote con nessun’altra cosa dopo l’esperienza di essere sacerdote. Con dei limiti, degli errori, dei peccati, ma prete.

Cosa dici ai preti?

Quello che dico a un prete è: «sii un prete». E se non funziona per te, cercati un’altra strada, la Chiesa ti apre altre porte. Ma non diventare un funzionario. Mi piace dire questo: sii un pastore del popolo e non un ecclesiastico di Stato.

Come percepisci la fraternità tra i cardinali?

A lungo andare c’è vicinanza. Possono avere opinioni diverse, ma la cosa positiva è che ti dicono quello che pensano. Io ho paura delle agende nascoste. Quando si ha qualcosa e non lo si dice. Ringrazio Dio che nel Collegio cardinalizio ci sia comunicazione, sia tra i nuovi che tra i vecchi, e che abbiano la libertà di parlare... Non so se tutti, ma molti sì. A volte «Ehi, stia attento a questo», «guarda...». Ah, grazie. Ci penso e poi lo risolvo, gli dico come... oppure non gli do retta, gli dico: guarda, non ti do retta per questo, questo e questo. Ma il dialogo è sciolto.

Tu hai le tue devozioni. Qui c’è questo dipinto della Madonna che scioglie i nodi, una devozione che ha acquisito in Germania. Puoi dirci perché la mandavi sempre come biglietto nelle tue buste?

Non sono mai andato dove si trova l’immagine originale. È successo che una suora tedesca me l’ha mandata, come saluto. Mi è piaciuta. Ho cominciato ad avere una devozione verso questa immagine in Argentina. La storia è bella, il quadro non vale molto, è del basso barocco del 1700, già decadente. Un pittore dell’epoca che mandava a quel paese la moglie. Erano molto cattolici ma litigavano tutti i giorni. E un giorno lesse il testo di sant’Ireneo di Lione, secondo cui i nodi che nostra madre Eva aveva stretto con il suo peccato erano stati sciolti da nostra madre Maria con la sua obbedienza. Il Concilio lo ha preso e inserito, credo, nella costituzione sulla Chiesa. A lui piaceva e così chiese alla Madonna di sciogliere il nodo che aveva con la moglie perché non andavano d’accordo. Ed è per questo che sotto dipinge l’arcangelo Raffaele con Tobia che lo porta a cercare la sua fidanzata, sua moglie, per incontrarla. La Vergine fece il miracolo e da lì iniziò tutto. Io ho preso la devozione. Augusta è la città. Nella chiesa di San Pietro a Perlach. Non ci sono mai andato, ero a due passi da lì, a Francoforte. Ma questo mi bastava e la devozione partiva già dall’Argentina. È come se la Madonna fosse in grado di aiutarti, come dice il testo di sant’Ireneo, di aiutarti a sbloccare le cose.

A sbloccare i nodi della vita.

È la “maternalità” della Madonna.

E per quanto riguarda san Giuseppe?

È stata mia nonna a mettere san Giuseppe nella mia testa... Da bambino mi faceva recitare delle preghiere a san Giuseppe. La devozione è rimasta.

Hai anche una piccola immagine di san Giuseppe che dorme. Su di essa ci si mettono delle intenzioni speciali.

Quando mi chiedono preghiere le metto sotto. Dico: «Tu che dormi, risolvi i problemi».

E santa Teresina?

Santa Teresina mi ha sempre attratto... Il coraggio della persona normale. Se mi chiedete quali cose straordinarie aveva santa Teresina: nessuna. Era una suora povera e normale. Nei suoi ultimi giorni ha pure sofferto le più grandi tenebre, le più grandi tentazioni contro la fede, le ha attraversate tutte. Una donna normale.

Per finire, ti chiedo dei brevi messaggi. Il primo messaggio è rivolto ai bambini:

Prendetevi cura dei nonni. Parlate con i nonni. Andate a trovare i nonni. Lasciate che i nonni vi vizino.

Ai giovani...

Non abbiate paura della vita. Non state fermi. Andate avanti. Farete degli errori, ma l’errore peggiore è quello di rimanere fermi, quindi andate avanti.

Ai padri e alle madri...

Non sprecate l’amore. Prendetevi cura l’uno dell’altro, così potrete prendervi cura meglio dei vostri figli.

Ai malati...

Ah, questo è difficile perché consigliare la pazienza è facile, ma io non ce l’ho, quindi capisco quando vi arrabbiate un po’. Chiedete al Signore la grazia della pazienza e lui vi darà la grazia di sopportare tutto questo.

Infine agli anziani, di cui parli così spesso...

Agli anziani: non dimenticate che siete le radici. Gli anziani devono trasmettere questo ai giovani, ai bambini e ai ragazzi. Quel versetto del Libro di Gioele: qual è la tua vocazione di anziano, i vecchi vedranno visioni e i giovani faranno profezie. Quando sono insieme, i vecchi sognano il futuro e lo trasmettono, e i giovani, sostenuti dai vecchi, sono in grado di profetizzare e di lavorare per il futuro. Insieme ai giovani, non abbiate paura di nulla. Un vecchio amareggiato è molto triste. È peggio di un giovane triste. Quindi andate avanti, state insieme ai giovani.

di Guillermo Marcó

Fonte: L'Osservatore Romano


«Ti è piaciuto questo articolo? Per non perderti i prossimi iscriviti alla newsletter»
stampa la pagina

Gli ultimi 20 articoli