Fulvio Ferrario "Quando un teologo diventa papa"
(Rubrica “Teologia e società”,
rivista Confronti, Febbraio 2023)
di Fulvio Ferrario, Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma.
In occasione della scomparsa di Benedetto XVI non sono mancate valutazioni iperboliche sulla sua
statura di teologo. Un esponente del governo italiano, del quale, finora, non si conosceva la
competenza teologica, si è spinto a dichiararlo il più grande teologo del secolo trascorso,
accompagnando il giudizio con paragoni avventurosi con Hans Küng e Karl Barth.
Non essendo possibile, in questa sede, una presentazione sia pure sommaria dell’opera
ratzingeriana, mi limiterò a narrare una piccola, ma a mio parere interessante vicenda teologica, che
mostra come un professore di un certo prestigio diviene, per un periodo non brevissimo, uno degli
autori più influenti del Cattolicesimo.
Dopo aver prodotto, come docente a Tubinga, una presentazione del Credo apostolico (Introduzione
al cristianesimo), Ratzinger si trasferisce nella più tranquilla sede bavarese di Ratisbona, dove ci
sono meno teologi cattolici “progressisti” e meno studenti contestatori. Qui scrive un testo dal titolo
Escatologia, dedicato cioè alla risurrezione dei morti e temi connessi.
Egli sostiene un punto di vista molto tradizionale, assai diverso in particolare da quello di altri due
teologi cattolici, Gerhard Lohfink e Gisbert Greshake, che tentano di esprimere i contenuti della
fede in termini più vicini al linguaggio biblico da un lato e al pensiero moderno dall’altro. Se tutto
fosse finito lì, si sarebbe trattato di una discussione tra un paio di professori più «innovativi» e un
collega più “conservatore”.
Ma che succede quando un professore di teologia diventa arcivescovo? In questo caso succede che
la Congregazione per la Dottrina della Fede (che Ratzinger non presiedeva ancora), pubblichi una
breve ma netta dichiarazione sull’escatologia, nella quale dà ragione a Ratzinger e torto agli altri
due.
Gli sfortunati, dunque, credevano di discutere con un collega e si ritrovano contro Roma: la carriera
dell’interlocutore, poi, peggiora ulteriormente la situazione. Lohfink si converte al ratzingerismo
(non solo sull’escatologia, bensì su tutta la linea), sostenendo che il dissenso era più apparente che
reale; Greshake, che da parte sua è un cattolico di stretta osservanza, mantiene il punto, ritrovandosi
contro un bel po’ di colleghi (e di colleghe), ansiosi di allinearsi o, per lo meno, attenti a non
passare per dissidenti.
Naturalmente, Joseph Ratzinger è personaggio troppo intelligente e anche intellettualmente onesto
per corroborare la propria teologia “personale” mediante il ruolo: ma in realtà non ne ha bisogno.
Il sistema produce una sorta di omologazione spontanea, citare l’ex collega vescovo, poi prefetto,
poi papa, diventa praticamente obbligatorio; il professore famoso può forse, occasionalmente,
permettersi un larvato dissenso, ma il semplice insegnante di un istituto diocesano di scienze
religiose o di un seminario deve stare attento: qualche zelante piccolo Ratzinger di provincia
potrebbe revocargli l’incarico o, più semplicemente, non rinnovarlo; addirittura, Roma potrebbe
negare il nulla osta ecclesiastico, necessario per le facoltà cattoliche, a una nomina decisa da
un’università straniera: anche questo è accaduto.
Occorrerebbe parlare della singolare opera su Gesù, che sorvola su qualche secolo di esegesi
biblica, ma l’espressione più famosa del Ratzinger-pensiero è la Lezione di Ratisbona del 2006.
Essa passa alla cronaca (lascerei in pace la Storia), per un inciso erroneamente interpretato da alcuni
come anti-islamico.
In realtà, si tratta di una tirata contro il pensiero moderno che, a partire dalle sue radici tardomedievali, avrebbe dissolto la sintesi armonica e perfetta tra messaggio biblico e filosofia greca. Un
“tradizionalissimo” cavallo di battaglia conservatore che però, in bocca ai cantori del “papa
teologo” (meglio se teologicamente analfabeti) diventa una sciabolata di luce sulla Storia del
pensiero.
Ora che Joseph Ratzinger ci ha lasciati, forse possiamo rileggere il suo lavoro con più obiettività.
Non vi troveremo le fondamenta della teologia del XXI secolo, ma potremo serenamente
interpretare molti suoi niet come domande critiche nei confronti del percorso che in ogni caso dovrà
essere intrapreso.