Enzo Bianchi "Tre appunti per un confronto sul Sinodo”
Mentre il cammino sinodale è in pausa, una pausa riflessiva in attesa delle riunioni per continente che dovranno rileggere e ancora fare discernimento sui testi elaborati dalle Chiese dei diversi Paesi, pervenuti alla segreteria del Sinodo, mi sembra possibile e forse anche doveroso offrire ai lettori alcuni appunti. Si tratta di annotazioni in ordine sparso, ma inerenti al cammino sinodale e perciò degni di attenzione, utili a suscitare un confronto.
Un primo appunto riguardala mancata partecipazione dei cristiani delle Chiese non cattoliche al cammino sinodale in atto. Papa Francesco aveva chiesto con forza che non venisse meno la dimensione ecumenica, con la possibilità di ascoltare ortodossi e riformati, nostri fratelli legati a noi indissolubilmente dal battesimo che ci ha uniti nello stesso corpo di Cristo Signore, nonostante persistano ancora le separazioni intervenute nella storia. Ma non mi risulta che queste coinvolgimento, e di conseguenza questo contributo, ci sia stato. E non è una variante di scarso rilievo, perché ormai si è giunti alla consapevolezza che unico può essere il cammino della Chiesa, nella testimonianza al mondo e nel perseguire una manifesta comunione plurale in una Chiesa di Chiese.
Con Paolo VI e Atenagora era stato siglato l'impegno a non compiere atti e a non assumere atteggiamenti se non di comune accordo, in una sinfonia che potesse preparare il terreno all'unità delle Chiese. Ma già Giovanni Paolo II, pur compiendo gesti ecumenici clamorosi, chiaramente tesi a un ecumenismo vissuto nella prassi, prendeva iniziative o creava eventi che venivano percepiti come antiecumenici.
Una prassi ecumenica autentica è esigente perché richiede di vivere radicalmente la fraternità, nelle reciprocità dell'informazione e del confronto, nella pazienza reciproca. Il Sinodo poteva essere un'occasione per ascoltare le Chiese non cattoliche, voci diverse che ci potevano aiutare nel valutare anche le domande emerse dalle diverse comunità cattoliche. Soprattutto per comprendere come attraversare l'attuale crisi del cristianesimo, che riguarda tutti, era importante coinvolgere anche "gli altri" cristiani. Non basterà che siano invitati, come a ogni Sinodo, rappresentanti anche eccellenti delle Chiese se questi non offrono un contributo e non riescono a entrare nel dibattito.
Un secondo appunto riguarda un problema che non mi sembra ancora assunto da quanti prendono parte al cammino sinodale: il legame tra morale e cultura. La Chiesa cattolica gode ancora della grazia di una comunione che non le ha permesso la deriva delle Chiese nazionali, come purtroppo è successo nell'Ortodossia e in parte anche nella Riforma. Il ministero del successore di Pietro ha presieduto all'unità, certamente ha anche peccato alcune volte di idolatria dell'uniformità, ma ha salvaguardato l'unità della fede e della morale fino a tempi recenti. Ma resta vero che negli ultimi decenni, e non solo a causa dell'inculturazione, quella convergenza soprattutto nell'etica espressa da Roma è andata in frantumi. Di fatto, la cultura non religiosa di ogni Paese ha guadagnato terreno; addirittura in certe terre come l'Europa si parla ormai apertamente di esculturazione del cristianesimo, cioè di uscita del cristianesimo dalla cultura dominante in un Paese e questa cultura interagisce nel credente fino a modificare la sua etica cristiana tradizionale.
Per chi vi prestava attenzione tale processo era già iniziato trent'anni fa nella Comunione anglicana, presente in molte regioni del Nord e del Sud del mondo. E oggi, in modo diverso, si ripropone nella Chiesa cattolica.
E così nei Paesi del Nord Europa i cattolici chiedono una revisione della morale sessuale, una visione diversa e positiva dell'orientamento omosessuale, la benedizione delle coppie dello stesso sesso ecc..., e queste richieste sono invece giudicate sacrilegi e attentati alla morale tradizionale e biblica dai cattolici dell'Africa e dell'Asia. È la collocazione culturale diversa che ispira una diversa ottica morale e che di fatto richiede un mutamento, una revisione e una rilettura biblica. Per la Chiesa di Roma non è facile rispondere agli uni e agli altri. E non è neppure possibile che ci sia una normativa etica forgiata solo dalle singole Chiese nazionali.
Siamo davanti a un'aporia, ma il Sinodo è chiamato a fornire delle risposte e se eluderà o lascerà cadere alcune di queste domande espresse e portate avanti anche da vescovi, rischierà di deludere molti e incoraggiare quelli che dalla Chiesa si stanno già allontanando. Incrocio incandescente per il cammino sinodale, che dovrà discernere tra mondanità e segni dei tempi, tra riproposizione della legge e interpretazione creativa capace di risalire all'intenzione del Legislatore.
E, infine, un ultimo appunto: so bene che non è previsto come tema da proporre al discernimento del Sinodo attuale, e anche che non spetta innanzitutto al popolo di Dio determinare una riforma del genere, ma ci rendiamo conto che sono passati più di venticinque anni da quando Giovanni Paolo II, emanando l'enciclica Ut unum sint, con audacia profetica invitava cattolici e Chiese non cattoliche a offrire un contributo per la riforma del papato? Il Papa aveva capito che un ostacolo alla comunione tra le Chiese, ma oserei dire anche all'interno della Chiesa cattolica stessa, era rappresentato dalla forma in cui veniva esercitato il ministero petrino di presidenza nella carità. E perciò, sentendo l'urgenza di una riforma, chiedeva aiuto, un aiuto anche ecumenico, perché quel ministero continuasse a essere evangelico come Cristo l'aveva voluto. Il Papa non rinunciava all'essenziale della sua missione, ma si diceva disposto a cambiare la forma di esercizio del primato.
Purtroppo, quella profetica proposta cadde nel vuoto, in un silenzio generale della Chiesa cattolica e delle Chiese. Intanto, soprattutto al Consiglio ecumenico delle Chiese, con il segretario Konrad Raiser si affermava un nuovo paradigma dell'ecumenismo: lavorare insieme per la giustizia, la redistribuzione delle ricchezze, l'uguaglianza tra uomo e donna, la salvaguardia del creato. Questi temi assorbivano l'impegno ecumenico, e la ricerca di comunione e unità non era più all'ordine del giorno. Si è addirittura arrivati a teorizzare che l'ecumenismo sia accettazione delle diverse Chiese, perché diversi sono stati i cristianesimi; ecumenismo inteso come un lavorare insieme al servizio dell'umanità, senza più cercare l'unità della fede sempre imperfetta ma confessata in una Chiesa di Chiese.
In questo modo l'ecumenismo è entrato in uno stato comatoso o in un inverno, anche se continuano gesti e incontri all'insegna della gentilezza, dichiarazioni di fraterno amore, accompagnati però sempre dall'affermazione che l'unità delle Chiese verrà quando lo Spirito lo vorrà! E così più nessuno attende l'unità dei cristiani, come d'altronde non si attende la venuta gloriosa di Cristo. Ma non potrebbe essere proprio il Sinodo l'occasione in cui il Papa offre alcune direttive per la riforma del papato e, al tempo stesso, invita gli episcopati e le Chiese a un dibattito aperto? Se non c'è riforma del papato, come aveva indicato Giovanni Paolo II, non ci sarà riforma della Chiesa e non ci sarà sinodalità in atto. La sinodalità, infatti, richiede una diversa forma della Chiesa, una diversa forma dell'episcopato, una nuova forma dell'esercizio del papato.