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Luca Mazzinghi "Priscilla e Aquila. Una coppia al servizio del Vangelo"

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Alla fine della prima lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo – come di solito fa nelle sue lettere – conclude con i suoi saluti personali e con i saluti di coloro che in quel momento si trovano con lui. Leggiamo così in 1 Cor 16,19: «Le Chiese dell’Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa». Paolo si trova probabilmente a Efeso tra il 55 e il 56 d.C. e manda alla comunità di Corinto, da lui fondata, i saluti delle comunità cristiane (le “chiese”) dell’Asia minore, dove egli adesso risiede. E aggiunge i saluti di due personaggi di nome Aquila e Prisca (o Priscilla, vedi più sotto). 
Se avessimo solo questo testo di Paolo, di loro non sapremmo molto di più. Un uomo e una donna, verosimilmente una coppia, con una caratteristica tuttavia molto particolare: nella loro casa si raduna infatti la comunità cristiana del luogo. La frase di Paolo ci conferma prima di tutto che nei primi decenni del cristianesimo non esistevano luoghi simili alle nostre chiese e che le piccole comunità cristiane allora esistenti si riunivano nelle case private. Più in particolare, si deduce dalla frase di Paolo che vi erano coppie che si facevano carico della comunità cristiana che nella loro casa si riuniva; si tratta di una osservazione non di poco conto. 

Storia di una famiglia missionaria (Atti 18). 
Ma chi sono questi Aquila e Prisca? Fortunatamente, possediamo il racconto che Luca ci offre nel libro degli Atti, al capitolo 18, nel quale scopriamo chi fossero questi due: 

1 Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. 2 Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro 3 e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende (At 18,1-3). 

Abbiamo intanto conferma che Aquila e Priscilla, come qui la chiama Luca, mentre in 1Cor Paolo usa il diminutivo Prisca, erano una coppia di ebrei della diaspora, divenuti cristiani; i loro nomi sono in realtà latini, secondo un uso non raro nell’ebraismo del tempo. La loro storia personale doveva, già al tempo dell’incontro con Paolo, essere stata piuttosto movimentata; Luca ci dice che i due sono ebrei originari del Ponto, regione dell’attuale Turchia, verso il mar Nero. Dunque ebrei non nati in Israele, ma ormai residenti fuori dalla Terra santa, quasi certamente di lingua greca, o comunque che ben parlavano il greco, come si vedrà dal resto della storia narrata da Luca. Ebrei appartenenti a quel mondo dell’ebraismo della diaspora che, mentre conservava legami stretti di fede e di tradizioni con l’ebraismo di Gerusalemme e del Tempio, sapeva adattarsi a stili di vita ben diversi, all’interno del mondo pagano. 
Dal Ponto, Aquila e Priscilla emigrano, forse per ragioni di lavoro – in questo molto vicini a tante famiglie di oggi – fino a Roma, dove, anche se Luca non lo dice esplicitamente, vengono a contatto con qualche cristiano che a Roma ormai si trovava ed è probabilmente a Roma che i due accolgono la nuova fede in Cristo. E là continuano nel loro lavoro, quello di fabbricanti di tende – tende da viaggio, che venivano costruite in pelle; piccoli industriali, diremmo noi oggi, o se vogliamo, artigiani in proprio. 
Da Roma, Aquila e Priscilla debbono tuttavia fuggire; Luca menziona l’editto dell’imperatore Claudio (40-51 d.C.) che nel 49 espelle da Roma i cristiani in quanto considerati turbatori dell’ordine pubblico. Tornati così verso Oriente e stabilitisi nella città portuale e multiculturale di Corinto, che offriva ottime occasioni di lavoro, Aquila e Priscilla incontrano Paolo, che a Corinto sta predicando il Vangelo. E ne divengono subito gli ospiti. Luca non trascura di sottolineare che Paolo non abitava con loro da mantenuto, ma che lavorava con le proprie mani, dato che il lavoro di Aquila e Priscilla era lo stesso che Paolo già faceva, quello appunto di fabbricante di tende. La menzione del lavoro di Paolo, da parte di Luca, non è affatto marginale; il ministero della predicazione e della Parola non esclude infatti per Paolo il lavoro, anzi, lo presuppone. 
Ma ecco un punto che ci interessa in modo particolare: Paolo stabilisce la sua base missionaria a Corinto all’interno di una famiglia, anche se di Aquila e Priscilla non si menzionano eventuali figli; dal racconto di Luca si ha l’impressione in realtà che non ne avessero. I due diventano i principali collaboratori di Paolo nella sua missione in Grecia. Paolo, il celibe per vocazione (cfr 1Cor 7,7), si appoggia a una coppia di sposi che subito diventano con lui missionari del Vangelo. Da parte loro, Aquila e Priscilla svolgono un vero e proprio servizio di accoglienza che, nel cristianesimo delle origini, era sentito come particolarmente importante (cfr ad esempio 3Gv 5-8); i missionari itineranti come Paolo non avrebbero potuto infatti svolgere il loro compito senza un servizio di accoglienza da parte delle comunità. Ma il loro servizio non si limita all’offrire ospitalità all’apostolo; con lui, Aquila e Priscilla si impegnano in una vera e propria opera missionaria. 

Continuando la lettura del testo del capitolo 18 degli Atti, troviamo infatti scritto che «Paolo si trattenne ancora diversi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s’imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila» (At 18,18). Non soltanto i due lo hanno ospitato a Corinto nella loro casa, vivendo con lui per circa un anno e mezzo; ma, pronti a lasciare di nuovo la loro residenza, Aquila e Priscilla salpano ora con Paolo alla volta della Siria; si fermeranno a Efeso, nell’attuale Turchia occidentale, sulle sponde dell’Egeo. Luca non ci dice i motivi della scelta fatta dalla coppia; di passaggio, non è così scontato che accanto al marito, Aquila, si menzioni sempre la moglie, e, come nel v. 18, la si menzioni addirittura per prima. È possibile tuttavia pensare che i due abbiano compreso come la loro vita di coppia poteva aprirsi a qualcosa di diverso e di più grande del loro lavoro quotidiano. Una missione al servizio del Vangelo della quale Luca, nei versetti che ancora seguono (At 18,23-26) ci offre un piccolo e concreto assaggio: 

23Trascorso là un po’ di tempo, [Paolo] partì: percorreva di seguito la regione della Galazia e la Frìgia, confermando tutti i discepoli. 24Arrivò a Èfeso un Giudeo, di nome Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. 25Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. 26Egli cominciò a parlare con franchezza nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. 

Una volta arrivati a Efeso, Aquila e Priscilla scoprono che nella locale sinagoga sta predicando un tale Apollo, un ebreo proveniente da Alessandria di Egitto, di lingua greca, uomo colto e profondo conoscitore delle Scritture di Israele. Da quel che scrive Luca, sembra che questo Apollo (di cui Paolo stesso parla in 1Cor 3,4-6) conoscesse già qualcosa del cristianesimo, ma solo in relazione alla figura di Giovanni il Battista. 
Quel che ci interessa è qui il fatto che sono proprio Aquila e Priscilla a comprendere il valore di Apollo per il Vangelo e a farsi in qualche modo suoi catechisti; Luca scrive che essi presentarono più esattamente ad Apollo “la via di Dio”. Ancora una volta – e questo appare particolarmente importante e di nuovo non scontato, neppure nel contesto ecclesiale di oggi – Aquila e Priscilla agiscono in quanto coppia di sposi che diviene, come coppia, testimone e annunciatrice della Parola di Dio presso altre persone, proprio come è avvenuto nel caso di Apollo. 

Miei collaboratori in Cristo Gesù… (Rom 16,3-5) 
Luca lascia ad Efeso, in compagnia di Apollo, la nostra coppia di sposi che non verrà più nominata nel resto degli Atti degli Apostoli. E tuttavia possiamo ancora dire qualcosa su di loro, grazie a un altro passo di Paolo, il quale, scrivendo ai cristiani di Roma, manda i suoi saluti proprio ad Aquila e Priscilla, verso la fine della lettera (cfr. Rom 16,3-5): 

3Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. 4Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le chiese del mondo pagano. 5Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa. 

Paolo scrive la lettera ai Romani non più tardi del 57-58 d.C., probabilmente da Corinto. In questo periodo, Aquila e Priscilla si sono mossi ancora. Da Efeso, essi sono ritornati nuovamente a Roma, per svolgervi un ulteriore servizio missionario al cuore dell’Impero, rientrando là da dove erano stati cacciati in seguito all’editto di Claudio che nel frattempo era stato abrogato. 
Il testo paolino, nella sua brevità, è particolarmente toccante: poche persone ricevono da Paolo un elogio pari a quello di Aquila e Priscilla (qui di nuovo chiamata Prisca). I due sono chiamati da Paolo “miei collaboratori in Cristo Gesù”; scrivendo in greco, Paolo utilizza qui il termine synergos, che rimanda più al “collega” (alla lettera il “con-lavoratore”) che al “collaboratore”. Paolo considera Aquila e Priscilla come veri e propri compagni del lavoro dell’apostolo che egli è cosciente di essere. 
Val la pena di approfondire questo punto, a rischio di dover essere un po’ più tecnici. Il termine synergos è usato all’interno del Nuovo Testamento per lo più nelle lettere di Paolo, spesso in relazione a chi lavora con lui (si veda ancora Rom 16,9.21). Non si tratta perciò di una coppia che “dà una mano” al responsabile della chiesa; ma di una coppia che, in quanto tale, assume pienamente il compito dell’apostolato. 
In 1Cor 3,9 Paolo nota che tutti coloro che annunciano il Vangelo debbono considerare se stessi come “collaboratori di Dio”; così Aquila e Priscilla non sono persone che lui chiama ad aiutarlo (i “collaboratori del parroco”, diremmo noi oggi), ma una coppia che proprio in quanto tale Dio stesso chiama al suo servizio così come Paolo ha la coscienza di essere stato chiamato. 
Il termine synergos usato da Paolo rimanda poi non a una dipendenza della coppia da Paolo stesso né a un semplice rapporto di cameratismo, come quello che talora si instaura tra colleghi di lavoro; presume piuttosto una corresponsabilità che la coppia si assume nei confronti del lavoro missionario. È evidente la portata attuale di questo testo in riferimento alla missione che nasce nella chiesa a partire dal sacramento del matrimonio. 
Paolo aggiunge ancora, nel suo saluto conclusivo della lettera ai Romani, riferendosi a circostanze a noi non pienamente note, che Aquila e Priscilla hanno rischiato la vita (la testa, scrive Paolo) per salvare la sua e che per questa ragione tutte le chiese nate dal mondo pagano debbono essere grate alla coppia stessa. Attualizzando ancora il testo, non si tratta, neppure in questo caso, di “dare una mano” in parrocchia, ma di giocare la propria vita di coppia nel ministero che la coppia si assume, come tale, nella chiesa. 
Il saluto di Paolo in Rom 16 si chiude ricordando ancora come Aquila e Priscilla siano un punto di riferimento della comunità cristiana che si riunisce nella loro casa, come già abbiamo visto nei saluti finali della Prima lettera ai Corinzi. Non dimentichiamo che Aquila e Priscilla sono, come si è detto, ebrei di lingua greca (considerando il loro soggiorno a Roma, conoscevano probabilmente anche il latino), divenuti cristiani, una coppia cioè aperta e multiculturale, capace di essere appunto un solido punto di riferimento per cristiani di diversa origine e provenienza, spesso agli inizi del loro cammino di fede. 
Non sfugga, infine, il fatto che Paolo considera Aquila e Priscilla come persone mature e capaci di iniziative autonome, come Luca ci ha narrato nel caso relativo ad Apollo; Paolo valorizza i loro carismi e non dà l’impressione di porsi al di sopra dei suoi collaboratori. Un’indicazione questa non di poco conto per una chiesa che oggi, mentre parla (non troppo spesso, in verità) di promozione del laicato, è sempre troppo lenta e carente nel riconoscere la piena dignità e la corresponsabilità dei laici. 

Aquila e Priscilla: un modello per tutta la comunità cristiana 
Aquila e Priscilla ritorneranno ancora una volta, nel Nuovo Testamento, nei saluti finali della Seconda lettera a Timoteo, dove Paolo scrive al discepolo: «Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesìforo» (2Tim 4,19). Non siamo sicuri della autenticità paolina di questa lettera che, anzi, resta per molti piuttosto dubbia; al di là di questo problema, la nostra coppia di sposi è qui di nuovo evocata in un contesto chiaramente familiare, insieme a una meno conosciuta «famiglia di Onesiforo» (cfr 2Tim 1,16). Le indicazioni che i testi neotestamentari su Aquila e Priscilla offrono alle attuali coppie cristiane – e a maggior ragione all’intera chiesa – sono dunque molte; ne aggiungiamo, per concludere, altre, alla luce di una catechesi di Benedetto XVI proprio sulla nostra coppia: 

«Una cosa è certa: insieme alla gratitudine di quelle prime Chiese, di cui parla san Paolo, ci deve essere anche la nostra, poiché grazie alla fede e all’impegno apostolico di fedeli laici, di famiglie, di sposi come Priscilla e Aquila il cristianesimo è giunto alla nostra generazione. Poteva crescere non solo grazie agli Apostoli che lo annunciavano. Per radicarsi nella terra del popolo, per svilupparsi vivamente, era necessario l’impegno di queste famiglie, di questi sposi, di queste comunità cristiane, di fedeli laici che hanno offerto l’“humus” alla crescita della fede. E sempre, solo così cresce la Chiesa. In particolare, questa coppia dimostra quanto sia importante l’azione degli sposi cristiani. Quando essi sono sorretti dalla fede e da una forte spiritualità, diventa naturale un loro impegno coraggioso per la Chiesa e nella Chiesa. La quotidiana comunanza della loro vita si prolunga e in qualche modo si sublima nell’assunzione di una comune responsabilità a favore del Corpo mistico di Cristo, foss’anche di una piccola parte di esso. Così era nella prima generazione e così sarà spesso. 
Un’ulteriore lezione non trascurabile possiamo trarre dal loro esempio: ogni casa può trasformarsi in una piccola chiesa. Non soltanto nel senso che in essa deve regnare il tipico amore cristiano fatto di altruismo e di reciproca cura, ma ancor più nel senso che tutta la vita familiare, in base alla fede, è chiamata a ruotare intorno all’unica signoria di Gesù Cristo. Non a caso nella Lettera agli Efesini Paolo paragona il rapporto matrimoniale alla comunione sponsale che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,25-33). Anzi, potremmo ritenere che l’Apostolo indirettamente moduli la vita della Chiesa intera su quella della famiglia. E la Chiesa, in realtà, è la famiglia di Dio. Onoriamo perciò Aquila e Priscilla come modelli di una vita coniugale responsabilmente impegnata a servizio di tutta la comunità cristiana. E troviamo in loro il modello della Chiesa, famiglia di Dio per tutti i tempi.» (BENEDETTO XVI, Catechesi del 7 febbraio 2007).

*Don LUCA MAZZINGHI, parroco di San Romolo a Bivigliano (Fi), già Presidente della Associazione Biblica Italiana, è docente alla Pontificia Università Gregoriana Ha pubblicato numerosissimi articoli e libri nel campo degli studi biblici. 
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