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Rosella De Leonibus "Reciprocità, la chiave per condividere il mondo"

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rubrica Psicologia

Sembra che la parola chiave di questo tempo sia “resilienza”: la troviamo ovunque, dal PNRR alla giornata mondiale della psicologia, e ci sta tutta, visto quello che abbiamo attraversato. Vorrei soggiungere che occorre definire il “come” di un processo di resilienza, il come è molto importante, specialmente se ci fossimo illusi che si possa percorrere vie di resilienza in modo individuale, isolato, ego-centrato. Specialmente se avessimo immaginato che non fosse proprio strettamente necessario, per attivare resilienza, ridefinire i rapporti sociali, le relazioni interpersonali, i modi di vivere e pensare.
Perciò vorrei rilanciare per il nuovo anno una parola antica, un po’ dimenticata, una parola che non ha un suono elegante (troppe r e troppe c), ma è così potente, e a modo suo anche rivoluzionaria: “reciprocità”.
Reciprocità: il rapporto dinamico che collega nella stessa forma o nella stessa misura i rapporti esistenti tra due soggetti; bilateralità, vicendevolezza. Dal latino reciprocus, qualcosa che va e viene, che fluisce e rifluisce, composto da *recus, che sta indietro, e *procus, che sta innanzi. Presuppone movimento, un movimento ricorsivo, e presuppone uguaglianza, parità, differenza, dialogo, come costrutti fondamentali attraverso i quali con-dividere il mondo. Definisce un paradigma inesplorato, la reciprocità, un quadro inedito di competenze e principi di fondo per passare dalle intenzioni alla quotidiana convivenza. Si accompagna con, e genera intorno a sé, nuove parole-chiave: soglie, ombre, orizzonti, storie, ospitalità, molteplicità, tessiture, intrecci, corrispondenze, incompletezze, nuove immagini generative dell’incontro vivo tra identità differenti.
RECIPROCITÀ DI GENERE
Proviamo a declinarla come qualità della relazione tra i generi, territorio primario di ogni formula di rapporto. Parola guida di una inedita vicenda dell’incontro tra un nuovo femminile e un nuovo maschile, entrambi ri-soggettivizzati. Lasciate indietro le stratificazioni millenarie che sostengono gli stereotipi di genere, la bandiera della reciprocità apre un linguaggio nuovo, propone nuove icone collettive, attraversa incognite, sorprese, scoperte, utopie… Costringe a bonificare i prodotti dei media, a ridefinire le categorie che giudicano cosa è accettabile o desiderabile per le donne e per gli uomini.
La formula dominanza/sottomissione è connessa all’abuso di potere, alla violenza, a misconoscimenti, a negazione di diritti. Innesca una dinamica di guerra. La reciprocità è generatrice di relazioni umane positive, di crescita interiore, di confronto con le differenze, di solidarietà interpersonale, e in fondo al gioco porta giustizia e pace, perché permette di “condividere il mondo”.
Non si può esaurire nello svolgere un ruolo, una funzione, dove non si partecipa con la pienezza del proprio essere, dove non sia previsto di mutare profilo, posizione, forma di comunicazione. È invece la condivisione fluida e anche fiduciosa di ciò che si è. Diventa dialettica di ruoli che si integrano, piuttosto che posizionamento di figure rigide costrette nella gabbia della complementarità. Diventa pienezza della relazione, dove ciascuno è presenza viva e preziosa per l'altro, dove si condivide liberamente, in misura variabile e imprevedibile, ciò che si è, ciò che si sente, ciò che si sa, ciò che si ha.
Utopia? Si, certamente, e tuttavia serve un sentiero per uscire dalla logica mortifera dello scambio commerciale, dove domina la prestazione, la funzione, il ruolo, l’interesse personale. Dove non c’è alcuna condivisione del proprio essere persone, bensì competizione spietata e le alleanze, se ci sono, sono strettamente strategiche. Perché mi interessi come cosa da possedere o da cui pretendere (nella migliore delle ipotesi contrattare) un servizio, non ti percepisco come persona viva.
RECIPROCITÀ TRA LE PARTI DI SÉ
Reciprocità è una parola buona nel deserto contemporaneo delle relazioni interpersonali, ed è parola buona anche dentro di sé, nelle nostre parti interne in conflitto, nelle nostre contraddizioni e ambivalenze. Perché incontrare e conciliare le differenze dentro noi stesse, dentro noi stessi, è la prima sfida evolutiva che ci attende. Perché dare diritto di cittadinanza a percezioni diverse, a sensazioni diverse, a stati emotivi anche contraddittori, è il primo passo che siamo chiamati a fare, fin da piccole creature, per uscire dall’onnipotenza, per oltrepassare il tentativo, sempre fallace, di dominare il mondo riducendo le sfumature per ricondurle a netti contrasti.
Reciprocità, quindi, non solo tra soggetti diversi, ma anche nella realtà personale di ognuna e ognuno, come integrazione flessibile dentro di sé dei nostri movimenti di prensione e protensione, alfabeti primordiali del chiedere e del dare; come articolazione della capacità di accogliere e della competenza a proteggerci, dell’andare verso l’altro e del tornare a sé. Reciprocità come movimento per abitare la rete complessa del proprio sé e la rete ancora più complessa delle relazioni che intessiamo.
La logica dello scambio prende base da una antropologia innatista, una idea statica e individualista, dove si parla di individui e non di persone in relazione, una idea per cui ogni individuo possiede fin dalla nascita una sua identità definita, isolata e immutabile, una idea per cui le relazioni e perfino lo scambio, anche reciproco, restano comunque "esterni" alla sua identità e non la mettono in gioco.
La logica della reciprocità incontra e intesse e intreccia, traccia percorsi tra realtà diverse e ne assorbe alcune parti, le assimila, e interiorizza l’esperienza dell’altro per permettere alla propria identità di evolvere e ridefinirsi nel contatto con l’altro.
LOGICA DELLO SCAMBIO E LOGICA DELLA RECIPROCITÀ
La nuova logica può adottare la pratica della tessitura, e l’oggetto delle tessiture sono le relazioni, quell’andare e venire che genera corrispondenze e può arrivare a mettere in gioco le persone in modo fluido, imprevedibile, inedito, incalcolabile.
Nella logica dello scambio il ricevere e il dare fanno somma zero, ognuno rimane quello che era prima.
Nella logica della tessitura c’è il nascere e il rinascere di sempre nuove valenze grazie all'incontro con l'altro, attraverso gli apprendimenti e le forme di condivisione che si sperimentano. Non solo per lo sviluppo delle singole persone, ma anche, a cascata, per la società intera, a partire da un processo di flessibilizzazione dell’identità dei singoli e delle comunità, a partire dal ripristinare permeabilità sui confini personali e sociali, per una convivenza riumanizzata, di cui ha bisogno vitale l’intero pianeta.
Un con-vivere vivo, che si sviluppa secondo dinamismi interculturali, interconnessi da storie e contaminazioni e confronto di esperienze, come da decine di millenni l’umanità ha sempre fatto percorrendo in lungo e in largo l’intero pianeta.
E invece, nella logica commerciale dello scambio, si procede ciechi e sordi, murati nelle proprie pretese di dominanza, senza vero riconoscimento, senza pari dignità e perciò senza possibilità di condividere e apprendere. Così come è avvenuto tra i generi, anche tra i popoli, anche tra le classi sociali, le differenze diventano separazione ed esclusione l’una dall’altra, asservimento che cancella la soggettività e conduce alla deumanizzazione.
Nel paradigma della condivisione, le differenze diventano il motore di nuove dinamiche comunicative per accogliere e apprendere mantenendo le identità mentre si genera contatto, accettando l’incompletezza senza sconfinare dai nostri limiti. Perché sono solo questi limiti che ci consentono di aver accesso all'altro, grazie al rispetto di noi stessi. Ciò richiede di non agganciare l'altro attraverso una appropriazione.
A PARTIRE DALL'INCOMPLETEZZA
Accettare l’incompletezza significa preservare la differenza, non restituire o scambiare il medesimo, bensì mettere in opera, da entrambe le parti, energia, movimento, calore destinati all'altro.
Niente e nessuno è mai posseduto, nella logica della reciprocità, ma io mi faccio, e l’altro si fa, cammino di apprendimento e arricchimento reciproco che porta alla piena costruzione della propria identità, itinerante, ibrida, e mai completa.
Reciprocità, quindi, la parola utopica per il nuovo anno, perché possiamo riconoscere tutte e tutti quanto apparteniamo ad una storia, quanto e come ci manifestiamo secondo modalità distinte, molteplici, transitorie e transitanti, capaci di elaborare modelli e ipotesi di un mondo comune che non distrugga il mondo proprio di ciascuno.
Servono soglie per aprire uno spazio all'altro, a mondi differenti dal nostro, servono soglie, varchi per avvicinarsi, serve l’apertura di un passaggio per approcciarsi all'altro, e questo è possibile solo se cominciamo dal riconoscere dove siamo noi. Dalla nostra incompletezza.
“Nei bordi della nostra dimora, soglie prepareranno l'incontro con l'altro: soglie all'orizzonte di un mondo, che consentano e di uscirne e di accogliervi un ospite, soglie sull’orlo di sé anche, ammesso che sia possibile distinguere i due”.
Luce Irigaray, Condividere il mondo, 2009
Nella redazione di questo articolo mi sono ispirata a Luce Irigaray, al suo libro “Condividere il mondo”, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, e a Roberto Mancini, al suo libro “La buona reciprocità”, Cittadella Editrice, Assisi, 2008.

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