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Rosanna Virgili “Le proteste contro Dio nei salmi”

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Gennaio - Febbraio 2022 (6 gennaio - 27 febbraio) Anno C 

LE PROTESTE CONTRO DIO NEI SALMI 

Su un prato fiorito di canti di lode e salmi di ringraziamento, appaiono, nel grande pentateuco del Salterio, anche steli pungenti di proteste accese non solo contro i nemici, ma anche – da parte dell’orante – contro Dio stesso. La piena umanità, la nudità assoluta, con cui s’apre a Dio l’anima del Salmista, non può nascondere i punti più vivi e vulnerabili di un intimo agone d’amore. Dove, si sa, ogni parola è assolta come interprete di quel tormento di fiducia e attesa, delusione e vuoto, querela, grido e sempre risorgente speranza. Mentre è facile capire la rabbia del Salmista contro i nemici – spesso a difesa anche di Dio – quella che anima la sua protesta contro Dio stesso nasce come un mannello di mugugni, un rumore di parole a metà che, poi, trovano, tuttavia, il coraggio di diventare giudizio, accusa, fino a reclamare atti dovuti da parte del Signore. Possiamo distinguerli e raccoglierli in fastelli diversi, classificati secondo l’intensità della protesta, la gravità delle ragioni e il linguaggio che viene adoperato per esprimere il cromatismo delle sfumature. 

1. La rivolta dell’abbandonato 

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 22,2a). In questa denuncia è espressa senza dubbio la protesta più forte contro Dio di tutto il Salterio. Ci colpisce il fatto che essa sia sulla bocca di Gesù, nell’abbandono della croce e l’assenza di una pur minima ombra di rassegnazione, nel momento stesso del morire (cf. Mc 15,34; Mt 27,46). Parole che segnalano quanta vitalità l’umano scopra in sé trovandosi di fronte alla morte. «Dio mio grido di giorno e non rispondi, di notte e non c’è tregua per me» (v. 23): la resistenza del vivente è insistente nella lotta contro ciò che vorrebbe spegnere la vita. Creduto e amato come pienezza di vita, Dio viene accusato di non difenderla contro la sua nemica, che è la morte. Si aggiunge l’imbarazzo per un comportamento inedito e ingiustificato di Dio, al quale si riconosce che: «In te hanno confidato i nostri padri […] e non sono rimasti delusi» (vv. 6-7), mentre: «io sono un verme, non uomo, obbrobrio d’uomo, disprezzato dal popolo» (v. 7). L’orante ricorda come proprio lui gli avesse fatto dono della vita (cf. vv. 10-11), scandalizzato del fatto che poi, però, non se ne fosse preso cura: «Come acqua sono versato e sono slogate tutte le mie ossa, il mio cuore è divenuto come cera fusa nelle mie viscere» (v. 15). Una protesta in cui si ricalcano le tappe della consegna e della passione di Gesù (cf. vv. 16-19) ma che era già stata nelle corde di Giobbe, il “giusto” che, senza colpa, patì la punizione (cf. Gb 3). Lo scandalo del comportamento di Dio che lo abbandona provoca la protesta contro i suoi occhi chiusi dinanzi alla pietas dell’uomo fedele: «Lavo nell’innocenza le mie mani e giro intorno al tuo altare, Signore» (Sal 26,6); è inaccettabile che egli possa associare il suo «essere a quello dei peccatori» e la sua vita a quella di «uomini sanguinari» e non accorgersi che il suo piede sia «saldo sulla retta via» (cf. Sal 26,9-12). La protesta solleva lo spinoso problema della teodicea. Dio si mostra insensibile anche verso il più atroce dolore umano: «Sono nell’angoscia, si consumano per il dolore i miei occhi, la mia gola e il mio ventre […]. Sono dimenticato dai cuori come un morto, sono come un vaso rotto» (Sal 31,10-13). Denunce che si presentano come aspre querele nelle «confessioni» del profeta Geremia, dov’egli accusa Dio di averlo «sedotto» e ridotto, così, a patire l’ostilità generale e la calunnia, chiamato, come l’orante del Sal 31: «Terrore all’intorno» (cf. v. 14; Ger 20,10). Una protesta più sottile, bagnata di sudore malinconico, è quella fatta contro un Dio assente, lontano (cf. Sal 10,1), irrintracciabile. 
Mentre, fin dall’Eden, è l’uomo che si nasconde a Dio (cf. Gen 3,10) per cui egli continua a cercarlo, volendo farsi prossimo a lui, il Sal 42 denuncia il contrario: «Le mie lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi si dice tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio? […] Frantumandomi le ossa mi insultano i miei avversari, mentre mi si dice tutto il giorno: Dov’è il tuo Dio?» (v. 4.11); gli fa eco il Sal 143: «Non nascondere a me il tuo volto, sarei come quelli che scendono nella fossa» (v. 7). Catastrofe di una comunità orante, smentita tragica dell’Emmanuele, eterno ritorno di Massa e Meriba e del dramma della fede quando la sete divora la gola, per cui si chiedevano: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Es 17,7). L’esito del ripiego sulla propria tristezza segnala il frutto del silenzio di Dio; deserto cosmico ed esistenziale per cui l’anima del Salmista può solo «gemere su se stessa» (Sal 42,6a.12a). Ed ecco, però, l’ultima fase, il colpo di reni di chi continua la rivolta contro il vuoto di Dio e accoratamente invita se stesso: «Spera in Dio, ancora potrò lodarlo; salvezza del mio volto e mio Dio» (vv. 6b.12b). 

2. Un ritmo compulsivo 

Molti sono i salmi la cui protesta nasce da altri «perché?» che l’orante rivolge ancora a Dio. Vuole conoscere il motivo della sua apparente indolenza, del suo restare inerte. Parlando a lui in un codice antropologico lo preme, compulsivamente, invitandolo a svegliarsi, a vedere, ad ascoltare, a ricordare, a stare attento a quanto sta accadendo al pio ebreo. 
Mille sfumature di una latente e patente protesta contro un Dio che sembra chiuso alle durezze del mondo dell’orante, alle ingiustizie, alle vessazioni che affliggono il suo corpo e il suo destino. Non manca il caso in cui la protesta diventa formale accusa, come nelle parole caustiche del Sal 44: «È per causa tua che siamo uccisi ogni giorno, trattati come pecore da macello» (v. 23). Dio non ricorda quanto ha fatto, in passato, a favore del suo popolo: «Con la tua mano hai sradicato le genti per impiantarvi loro, hai percosso le nazioni per inviarvi loro […] né fu il loro braccio a salvarli, ma la tua destra […] perché li amavi» (vv. 3-4). E adesso? Come mai, tu, Signore: «ci hai schiacciati in un luogo di sciacalli e ci hai coperti con l’ombra di morte» (v. 20). Energica e struggente, forte ed urgente è la scossa che l’orante dà a Dio: «Svegliati! Perché dormi, Signore? […] dimentichi la nostra miseria e oppressione? […] Sorgi in nostro aiuto! Riscattaci a motivo del tuo amore» (v. 27). Stupenda è la ragione di un grido tanto determinato: non la virtù del popolo di Dio ma il debito eterno del suo amore! Il linguaggio della protesta passa per i canali dei sensi e si rivolge ora agli orecchi di Dio, ora ai suoi occhi, per denunciare: «Vedi la mia miseria e la mia fatica […] vedi quanti sono i miei nemici» (Sal 25,18-19); «Guarda, rispondimi, Signore mio Dio» (Sal 13,4); «Ascolta la mia preghiera, Signore, al mio grido d’aiuto porgi l’orecchio, alle mie lacrime non essere sordo» (Sal 39,13). I toni oltrepassano quelli del lamento e della supplica per risultare autentiche rivendicazioni dell’attenzione di Dio. Poiché egli ha promesso fedeltà ai nostri padri e, adesso, non può lasciarci, sembra esserne, sempre, il presupposto. 

3. L’ansia del suo intervento 

Tale è il bisogno che il Salmista ha del suo Dio, quando si trova nelle più grandi prove, che l’attesa di lui, di un suo intervento risolutivo, genera un’ansia, un’inquietudine difficile da tenere a bada. 
«Liberami, Signore […] proteggimi» (Sal 140,2.5); «Quando grido a te, rispondimi, Dio mia giustizia!» (Sal 4,2a): sembra che il grido sia un solenne, opportuno modo di mettersi in relazione con Dio, una forma originaria e legittima di pregare in cui è coinvolta anche la protesta. In essa si rivela, infatti, non la mancanza ma l’abbondanza di fede e di speranza che colma il cuore del Salmista. Così chiara è la consapevolezza che da Dio venga ogni bene, che lui non può che attendere, quasi con frenesia, la venuta di Dio. «Il mio essere è molto sconvolto, ma tu, Signore, fino a quando? Ritorna, Signore, portami in salvo» (Sal 6,5); «Fino a quando, Signore, mi dimenticherai? In eterno? Fino a quando nasconderai il tuo volto?» (Sal 13,2; cf. 89,7). L’ansia e la rabbia si mescolano nella tensione d’amore, che solca la prova del tempo, tra l’umano e Dio; lui sorgente di gioia e libertà: «Sii attento al mio grido perché sono debole […]. Fa’ uscire dal carcere la mia vita, affinché renda grazie al tuo Nome» (Sal 142,7-8).
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