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Luigi Maria Epicoco "Il dialogo senza parole"

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Il dialogo senza parole 
19 dicembre 2022

Le feste imminenti del Natale ci faranno leggere più volte il verbo adorare. Lo troveremo accostato alla fragilità del bambino Gesù adagiato nella mangiatoia come la testimonianza fisica più chiara che quel gracile e indifeso bambino è in realtà il figlio dell’Onnipotente, il Verbo fatto carne, l’Emmanuele, il “Dio con noi”. Adorare è riconoscere la Sua divinità. C’è qualcosa che il Natale dovrebbe cambiare anche nell’uso dei nostri sensi: accorgerci di qualcosa di più profondo della semplice superficie. Il poeta inglese William Blake (1757-1827) ha scritto dei versi che rendono bene l’idea di questo cambiamento: «vedere un mondo in un granello di sabbia, e un cielo in un fiore selvatico. Tenere l’infinito nel palmo di una mano e l’eternità in un ora». 

Qualcuno scriveva che la complicità è un dialogo senza parole; questa sembra essere la definizione più calzante del gesto dell’adorazione, o perlomeno quella che più ne coglie un aspetto significativo, cioè l’assenza della parola. Troppo spesso però nel pensare al gesto adorante cadiamo in mille fraintendimenti che possono impedirne una retta comprensione. Per questo dobbiamo riscattarlo dalla logica della sottomissione e riportarlo forse alla sua natura più vera: l’adorazione è un alfabeto di intimità, ecco perché non necessita delle parole, perché manifesta la complice intesa tipica proprio di chi ama. 

L’evento cristiano non può mai perdere di vista che il suo punto focale non è in un’idea o in una particolare visione di Dio, ma bensì in un volto preciso, che è il volto di Cristo. Il cristianesimo è la persona di Gesù Cristo. È nell’incontro personale con Lui che accade la vera vita cristiana. Il Natale ci interroga sulla concretezza della nostra fede, su quanto essa sia davvero un incontro personale con Gesù Cristo. C’è però da dire che non basta la semplice relazione personale a far scaturire i frutti della redenzione, c’è bisogno che questa relazione personale diventi una relazione d’amore significativa. Per usare dei termini più contemporanei dovremmo dire che bisogna passare dalla semplice connessione all’incontro affettivo. Nel lasciarci amare c’è tutto l’inizio della vita cristiana. Il Natale non è solo la manifestazione visibile dell’Amore, ma anche la possibilità che ci viene data di accoglierlo nella nostra vita. 

Scriveva San Clemente Romano nel I secolo: «Colui che possiede la carità di Cristo mette in pratica i comandamenti di Cristo». Non sono i comandamenti a rendere possibile il sentirci amati da Dio, ma è il saperci amati che rende possibile i comandamenti. È giusto però aggiungere che l’adorazione ha una ricaduta esistenziale concreta. Chi sa dialogare con Cristo senza parole, sa accorgersi delle parole non dette anche da chi gli è accanto. Quante volte Gesù nel Vangelo ha ascoltato preghiere non pronunciate. Era la sua compassione a vedere e ascoltare ciò che non appariva immediatamente o non riusciva ad essere detto. Guardare con compassione chiunque incontriamo (compresi i nemici) è forse l’attualizzazione più immediata dell’adorazione a Cristo. 

La compassione è la nostra professione di fede nel Natale.
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