Enzo Bianchi "Cosa c'è di là. Inno alla vita"
La Stampa” 25 novembre 2022
per gentile concessione dell'autore.
Un estratto del libro “Cosa c’è di là” (Il Mulino) in uscita oggi.
Su questa terra che tanto amo, ho sempre cercato l'eternità. Parlare della morte è per me un parlare
della vita, è guardare in faccia la fine inesorabile per vedervi la forza della vita che è segnata da
immortalità.
Sono passati quasi cinque anni dalla pubblicazione del mio libro: La vita e i giorni, il mio De
senectute, scritto ascoltando semplicemente e quotidianamente il mio corpo, attento allo scorrere del
tempo e osservando quelli che diventavano vecchi come me e con me. Senza tralasciare la
meditazione sulla vecchiaia ho sentito l'urgente bisogno di interrogarmi sulla mia attesa, la mia
speranza, i miei dubbi sull'aldilà. L'«al di là della morte»! D'altronde questo limite, la fine della vita
umana, è sempre stato molto presente nella mia esistenza perché fin da piccolo l'ho conosciuta: ha
spezzato i miei affetti più cari, e mi ha obbligato a sentirla sempre incombente, reale, brutale, una
nemica. Ho cercato nella mia vita cristiana di tener sempre presente l'evento della morte e di
desiderare la vita eterna come mi insegnavano i miei maestri spirituali, ma anch'io ho sentito la
tentazione di distrarmi e di dimenticare di dover morire. Ho sempre ripetuto il versetto del Salmo
90: «La nostra vita arriva a settant' anni, a ottanta se ci sono le forze», e ho sempre cercato di
contare i miei giorni per giungere al cuore della sapienza, ma ancora oggi la morte sta davanti a me
come un enigma, un'ingiustizia: ogni volta che muore qualcuno tra coloro che amo mi sento ferito,
mi sento più povero, e piango non solo con le lacrime degli occhi ma con quelle del cuore che
nell'amare gli altri desidera che vivano per sempre.
Lo so, lo so che «l'amore s'ha da reinventare», come scriveva Arthur Rimbaud, ma quando
interviene la morte non lo si reinventa più: lo si ricorda, lo si rivive, lo si invoca, ma non lo si
reinventa. E questo amore è mortale anche per chi resta. Non a caso, come affermava Gabriel
Marcel, nella relazione amorosa quando uno dice all'altro «ti amo», in realtà gli dice: «Tu non devi
morire! Quindi ti amo per sempre, eternamente», anche se non sa cosa significa «eternamente». La
morte non solo non esclude un inno all'amore, ma lo esalta e gli dà la forza dell'immortalità. Lo
sappiamo e lo crediamo: l'amore vince la morte! Forse noi non sappiamo cantare trionfalmente: «O
morte, dov'è la tua vittoria?», perché la morte è ovunque, e tuttavia quando l'umanità è capace di
amare la fa arretrare e la vince. So che è un azzardo parlare della morte, e quindi di Dio, in questo
libro: niente è più incerto e rischioso, ma cercherò con semplicità di dire solo ciò che mi è possibile
dire. Perché Dio nessuno l'ha mai visto, la sua presenza è elusiva e per noi resta inconoscibile.
Quanto alla morte, anch'io la conoscerò solo quando sarà la mia ora, e prima posso solo prevederla,
immaginarla, prepararla, ma resterà sempre un evento che non riesco a realizzare… Morte e aldilà,
per un credente in Dio, sono realtà ultime dalle quali nessuno mai è tornato a noi per farcene un
racconto. Sono un enigma che speriamo di vedere risolto in un mistero, una rivelazione su di noi e
sul senso di questo mondo. Parlare della morte è quindi per me un parlare della vita, è guardare in
faccia la fine inesorabile per vedervi la forza della vita che è segnata da immortalità. Ho sempre
detto e scritto che l'importante non è la meta, ma in questa sera del mondo è più importante
camminare insieme, credere in un orizzonte comune di credenti in Dio e di non credenti in lui, e in
questo cammino custodirci gli uni gli altri. So che la terra promessa è stata promessa perché noi
camminiamo, e so che da tre millenni chi cerca la terra promessa non riesce mai ad abitarla. Ma non
per questo il cammino si svuota di senso: è molto più decisivo sentirci viandanti, nomadi, capaci di
stringerci insieme nella notte, che giungere alla meta. Anche nello scrivere queste pagine ho fatto un
pezzo di strada non da solo ma con tanti compagni e amici: mi sono sempre sentito in una carovana
e mai un disperso nel deserto. Neanche l'esilio mi ha destabilizzato rispetto alle convinzioni che mi
hanno ispirato una vita intera e mi hanno permesso di conoscere l'amore che anche quando è
contraddetto e tradito resta la realtà più grande e più bella che possiamo vivere. Siamo mortali ma
non per la morte, e non siamo «una parentesi tra due nulla» come affermava Jean Paul Sartre! Basta
che ci guardiamo negli occhi, che ci stringiamo la mano, che ci baciamo guancia a guancia per
sentire nel cuore e comprendere che possiamo sperare in un aldilà! Io vorrei che queste pagine
fossero capaci di dire quel che vivo nella brevità dei giorni, ma amando la terra come me stesso,
nella viva comunione che non conosce né confini, né barriere, né muri, ma solo la fragilità che a
volte impedisce la bellezza. Perché se gli umani diventano cattivi è perché hanno paura della
bellezza: non la bellezza salverà il mondo ma la bellezza sarà il mondo!
In tutte le culture si è sentito il bisogno di affermare che esiste una lotta, una guerra contro la morte:
chi la combatte? L'amore (éros contro thánatos), una divinità che riporta la vittoria, una conquista
dell'umanità che tarda a venire? Ciò che abita le nostre profondità, questa vita che vuole vincere la
morte, è solo un anestetico per paura della morte? È una proiezione dei nostri desideri di eternità? E
ancora, come prepararsi a morire accettando che il limite del nostro vivere sia avvolto nella nebbia e
nell'oscurità, sia pensato fra tanti dubbi e nessuna certezza, tutt'al più sia accompagnato da alcune
convinzioni, come la fede, che lo rendono visibile tra le realtà invisibili? La mia lunga vita, nella
quale ho potuto dedicare tanto tempo del giorno e della notte al pensare, mi ha fornito alcune
indicazioni, che posso giudicare feconde. E a chi fa fatica a trovare senso nella vita sento di dire che
se la vita ha un senso è perché lo si può trovare nelle vite degli altri, quando mi prendo cura di loro,
quando mi dedico o combatto per una causa giusta, quando so dire non solo «io» ma «tu e io», «noi
insieme». Si può sentire la vita assurda, come scriveva Camus, insignificante, come affermava
Cioran, o tragica, come la leggeva Nietzsche, ma nessuno può dire che l'amore non abbia senso: è
l'amore che crea il senso, che permette di sostenere l'enigma della morte e che rende il vivere una
vita! A chi riesca difficile spegnere l'angoscia del pensiero della morte, suggerisco che la strada da
seguire è solo quella dell'amore, vivendo in pienezza la vita, per quel tempo che ci è concesso.