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Ludwig Monti "Il Vangelo, carne di Gesù"

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ottobre 2022

DOSSIER: GLI 80 ANNI DEL CARDINALE GIANFRANCO RAVASI, UNA VITA PER LA BIBBIA


Il Vangelo, carne di Gesù 
(per gentile concessione dell'autore)

Introduzione 

In un recente testo della sua sterminata produzione quale esegeta e instancabile divulgatore delle sante Scritture, il cardinale Gianfranco Ravasi scrive: 

 Nel discorso di Cafarnao [cf. Gv 6,22-66] … già si prelude alla cena eucaristica che sarà consumata nell’ultima sera della vita terrena di Cristo e che verrà ripetuta nella storia in «memoria» di lui, ogni volta che si celebrerà l’Eucaristia. Il «mangiare la sua carne e bere il suo sangue» [cf. Gv 6,53-57] è, dunque, un atto «spirituale» reale ma non brutalmente materiale. Con queste parole Cristo invitava a entrare in unione piena con la sua persona attraverso la fede e la comunione eucaristica, così da ottenere la sua stessa vita divina e, quindi, la risurrezione e l’eternità beata. (1) 

 Queste parole di Gesù, su cui torneremo, possono anche turbare, scandalizzare. Ma lasciamole per il momento sullo sfondo, prendendole come spunto per un percorso interpretativo apparentemente non tradizionale, eppure radicato nella grande tradizione della chiesa. 


1. Mi rifugio nel Vangelo come nella carne di Gesù 

 Come lascia intendere anche il cardinale, queste parole di Gesù hanno conosciuto da parte dei padri della chiesa una diffusissima interpretazione in chiave eucaristica. Nel linguaggio proprio del quarto vangelo – che non menziona l’istituzione eucaristica (cf. Mc 14,22-24 e par.; 1Cor 11,23-25), ma la sostituisce con il racconto della lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-17) – Gesù annuncia che per avere parte alla vita eterna, per conoscere la salvezza, è necessario mangiare, o meglio «masticare» (verbo trógo: Gv 6,54.56.57.58) la sua carne e bere il suo sangue. L’autore si serve di un linguaggio fortemente realistico, ai limiti dell’urtante, (2) per affermare come la partecipazione al pane e al calice di Gesù Cristo sia partecipazione al suo corpo e al suo sangue. Ciò avviene sacramentalmente, attraverso il nutrirsi dei segni del pane e del vino, nei quali si riceve tutta la vita del Figlio fattosi carne (Gv 1,14: ho Lógos sàrx (3) eghéneto; Verbum caro factum est), nato da donna, manifestatosi veramente uomo come noi che siamo suoi fratelli e sorelle. 
Proprio in ragione di questa piena umanità di Gesù, nei commenti patristici si può individuare anche un filone interpretativo di altro segno: 

 «Ti sazia con fiore di frumento» (Sal 147,14). «Se il grano di frumento», dice, «non cade, esso solo rimane salvo; se «invece cade, ne salva molti» (cf. Gv 12,24). Nostro Signore è il grano di frumento che cadde a terra e moltiplicò noi … Beato colui che comprende cosa sia il fiore di questo frumento. Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando dice: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue» (cf. Gv 6,53), benché queste parole si possano intendere anche a proposito del mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il suo sangue è veramente la Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al mistero – chi è credente comprenda –, se ne cade una briciola ci sentiamo perduti. E quando ascoltiamo la parola di Dio, e ci viene versata negli orecchi la parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue, e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo incappiamo? «Ti sazia con fiore di frumento» (Sal 147,14). La parola di Dio è ricchissima, contiene in sé tutte le delizie. Tutto ciò che vuoi, proviene dalla parola di Dio; come dicono i Giudei, quando mangiavano la manna, essa, nella loro bocca, prendeva il gusto di quanto ciascuno desiderava (cf. Sap 16,21). Così anche nella carne di Cristo, che è la parola dell’insegnamento, cioè l’interpretazione delle sante Scritture, quanto è grande il desiderio che ne abbiamo, altrettanto grande è il nutrimento che ne riceviamo … «Manda la sua 2 promessa sulla terra» (Sal 147,15) … Questa parola viene mandata nella carne. «La Parola si fece carne e pose la sua tenda tra di noi» (Gv 1,14) … Parla della predicazione del Vangelo, dell’insegnamento degli apostoli. (4)

 Lo stesso Girolamo potrà scrivere in un altro commento biblico: 

 Poiché la carne del Signore è vero cibo e il suo sangue vera bevanda (cf. Gv 6,55), secondo il senso anagogico, questo è l’unico bene nel mondo presente: cibarsi della sua carne e del suo sangue non solo nel mistero dell’altare, ma anche nella lettura delle Scritture. Vero cibo e vera bevanda, infatti, è quello che si riceve dalla parola di Dio, cioè la conoscenza delle Scritture. (5)

 E ancor più in sintesi: «Io ritengo il Vangelo corpo di Cristo». (6) Intuizione, del resto, ben più antica, sviluppata con afflato esistenziale già da Ignazio di Antiochia: «Mi rifugio (lett.: rifugiandomi) nel Vangelo come nella carne di Gesù». (7) Ma come va inteso il Vangelo in questa affermazione? Ci viene in aiuto una nota del curatore dell’epistolario ignaziano, Pierre-Thomas Camelot: 

 Non si tratta del vangelo scritto: il NT e i testi cristiani primitivi ignorano questo senso, che appare solo in san Giustino, Apologie I,66,3. Il Vangelo è la buona notizia portata da Gesù o, come diceva Sant’Ignazio in un passaggio della lettera agli Efesini assolutamente parallelo al nostro: «l’economia riguardante l’uomo nuovo Gesù Cristo» (20,1). (8)

 È in questo senso che ci proponiamo di analizzare due passi evangelici fondamentali per l’autocoscienza di Gesù e la conseguente sequela di noi suoi discepoli e discepole. Lo faremo animati da una semplice domanda: cosa significa e cosa comporta per noi, qui e ora, rifugiarci nel Vangelo come nella carne di Gesù? 

2. A causa di me e del Vangelo «A causa di me e del Vangelo». 

Questa espressione risuona sulle labbra di Gesù due volte e solo nel vangelo più antico, quello secondo Marco. Va detto innanzitutto che il secondo genitivo può essere inteso anche in senso epesegetico, ovvero: «a causa di me che sono il Vangelo», «a causa di me, cioè del Vangelo», la buona notizia per eccellenza, fatta carne, persona. 

Nel primo caso siamo al centro esatto della narrazione marciana. Subito dopo il primo annuncio della passione, morte e resurrezione da parte di Gesù e il rimprovero da lui rivolto a Pietro che non accetta tale prospettiva, pur avendolo appena confessato Messia (cf. Mc 8,29-33), Gesù afferma, rivolto anche alla folla: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). (9) Ma affinché questi imperativi non appaiano come una chiamata a un cammino eroicamente narcisistico o, peggio, a un dolorismo masochistico, Gesù aggiunge la motivazione decisiva: «Infatti, chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita a causa di me e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). 

Queste parole, indubbiamente paradossali, possono persino apparire folli. Come può un uomo spingersi fino pretendere questo? Eppure Gesù Cristo lo ha fatto, riassumendo in questa frase la singolarità della vita con lui, ossia della vita cristiana. In proposito non c’è molto da commentare: c’è da sperimentare (e di conseguenza da capire, secondo il principio di Es 24,7: «Ciò che il Signore ha detto, lo faremo e lo ascolteremo») che il tenere gelosamente la vita per sé equivale a perderla, mentre il perderla per Gesù, dunque il vivere per amore suo con lui e come lui, significa trovarla (cf. Mt 10,39; 16,25) e vederla da lui salvata. Significa fare già sulla terra un’esperienza di salvezza, pegno della vita eterna (cf. Gv 12,25). Molto appropriato, al riguardo, il commento di Bruno Maggioni: 

 Ti illudi che, per salvare la vita, devi custodirla gelosamente e così la perdi. Hai paura di perderla donandola, e invece la trovi. Un capovolgimento, questo, che non deve essere letto – e banalizzato – come un abbandono delle cose materiali a vantaggio delle realtà spirituali …, né come un abbandono della vita presente per possedere la vita futura … [Queste parole] vanno lette in un modo più globale e unitario: tutta la propria esistenza (materiale e spirituale, presente e futura) deve essere impegnata sulla via dell’amore. L’uomo pensa di salvarsi l’esistenza chiudendosi in sé stesso e conservandosi. Gesù propone al discepolo un progetto alla rovescia: la vita si salva aprendosi e donandosi. (10)

 Questo stesso ordine di senso è riproposto poco più avanti da Gesù, ancora in dialogo con i  suoi discepoli. Subito dopo la chiamata abortita del cosiddetto “giovane ricco” (cf. Mc 10,17-22), il quale «se ne andò rattristato perché possedeva molti beni» (Mc 10,22), egli mette in guardia quanti lo seguono dal pericolo del possedere ricchezze, coniando il famoso paradosso del cammello e della cruna dell’ago (cf. Mc 10,23-25). Pietro allora commenta, sottintendendo una forma di pretesa: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito!» (Mc 10,28). Ovvero: «Che sarà dunque a noi?» (Mt 19,27), che cosa ne avremo? E Gesù a lui, solennemente: «In verità vi dico: non c’è nessuno, che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa di me e del Vangelo, che non riceva il centuplo in questo tempo, in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme alle persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,29-30). 

In questo lungo elenco il Maestro si concentra più direttamente sulle cose materiali, ma sempre invitando a un capovolgimento di fondo: è possibile lasciare il possesso delle cose, in modo da riaverle trasfigurate; è possibile abbandonare la pretesa di “possedere” le persone per aprirsi a una nuova modalità di relazione, che consenta di cogliere negli altri il “centuplo”. Certo, ciò costa fatica – le persecuzioni –, eppure si apre a quella che viene definita «la vita eterna». Siamo così ricondotti, per aliam viam, al quarto vangelo, in un passo al quale si è fatto allusione poco sopra: «Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo», ossia cessa di attaccarsi a essa in modo egoistico e autocentrato, «la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Quella stessa vita eterna a cui Gesù aveva fatto allusione anche nel discorso di Cafarnao: 

 Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno … In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo … Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,40.47-51.54). 

 3. Portare ai poveri la buona notizia del Vangelo 

 Come intendere queste parole? Alla luce di quanto si diceva in precedenza, credo si possa affermare che, se vogliamo vivere della vita vera e piena, non solo di quella biologica che va verso la morte, dobbiamo “mangiare” il pane che Gesù ci offre, sé stesso. E ciò può essere sperimentato già qui e ora, non solo nell’éschaton, non solo quale «vita del [e nel] mondo che verrà» (Credo niceno-costantinopolitano). Tutta la vita di Gesù, in pensieri, parole e azioni, dalla nascita a Betlemme fino alla morte di croce, tutto è innestato nella vita del Figlio da sempre e per sempre nel seno del Padre (cf. Gv 1,18), e perciò è vita eterna offerta a noi. 

 A un’unica condizione: che siamo in ricerca, affamati di questa vita. Nella consapevolezza che «la vita di Giovanni è vera vita vissuta nella banale realtà di ogni giorno e, nello stesso tempo, è preservata dallo svuotarsi nella contingenza nell’episodicità, proprio perché traduce nella “carne”, cioè nell’umano concreto e storico, l’intero amore divino. In questa linea si può dire che la concezione giovannea della vita non è che una variante della sua teologia dell’incarnazione quale è espressa nella formula di 1,14: “Il Verbo si fece carne”». (11)

 Sì, tutta la vita di Gesù, la sua carne, è Vangelo. Per questo, secondo Luca, all’inizio del suo ministero pubblico Gesù nella sinagoga di Nazaret legge programmaticamente queste parole del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto e mi ha mandato a portare ai poveri la buona notizia del Vangelo (euanghelîsasthai ptochoîs)» (Lc 4,18; Is 61,1), accompagnandole con un commento breve e risoluto. È la più sintetica e decisiva omelia nella storia della chiesa: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi» (Lc 4,21). Chiosa Enzo Bianchi

 Gesù non elabora un programma e neppure si fa protagonista, ma ascolta le Scritture e a esse si conforma in obbedienza. La sua missione può essere riassunta in una parola: evangelizzare, annunciare la buona notizia ai poveri, portare la buona notizia della salvezza innanzitutto a quanti sono di diritto i primi destinatari della parola di Dio, ossia coloro che sono poveri non solo materialmente ma anche nel cuore; a coloro che sono non solo bisognosi ma anche umili (‘anawim: Is 61,1), poveri nello spirito, nel cuore, e miti (cf. Mt 5,3.5.8); a coloro che attendono una salvezza che non sanno darsi da soli e dunque sperano tutto da Dio. Gesù afferma di essere inviato a questi destinatari perché sono capaci di ascoltare e di ricevere una buona notizia … È a questi umili e poveri che Gesù dirà più tardi: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e vi darò riposo» 6 (Mt 11,28). Gesù appare così quale messaggero di salvezza, e se è vero che la sua predicazione domanda conversione e pentimento (cf. Lc 5,32), tuttavia essa risuona come un invito fatto con misericordia e bontà, senza accenti di minaccia … Questo è il Vangelo, la buona notizia profetica che si compie in Gesù! (12)

 Un Vangelo che è tutta la vita del Figlio, come testimonia nuovamente, con parole accorate, Ignazio di Antiochia: 

 Chiudete gli orecchi di fronte ai discorsi di quelli che non parlano di Gesù Cristo come discendente della stirpe di David e figlio di Maria; come colui che è veramente nato, ha mangiato e ha bevuto; che ha veramente sofferto la passione sotto Ponzio Pilato; che è stato veramente crocifisso ed è morto, di fronte al cielo, alla terra e agli inferi; che è veramente risuscitato dai morti. (13)

 Egli reagisce sdegnato alle opinioni di alcune correnti gnostiche e docetiche che già tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. negavano la piena umanità di Gesù, cioè la verità dell’affermazione capitale per tutta la teologia cristiana, che dà il titolo alla presente miscellanea: Verbum caro. Ignazio si vede dunque costretto a denunciare queste derive e a insistere con forza sulla dimensione umana, storica, carnale di Gesù. Dimensione che ci è consegnata nel libro dei quattro vangeli, testimonianza scritta del Vangelo che è tutta la carne di Cristo. Vangelo che però eccede, e di molto, la forma scritta dei vangeli, come attestano le ultime parole del quarto evangelista, cioè la fine del libro dei vangeli: «Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21,24-25). 

 Inseriti in questa catena di tradizione, possiamo quotidianamente “ruminare” – secondo la metafora cara ai padri monastici medioevali – i vangeli, fino ad affermare, con l’Apostolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20). 

 4. Una vita umana secondo il Vangelo 

Le due interpretazioni relative al discorso di Cafarnao sono in realtà più convergenti di quanto si pensi, perché Parola ed Eucaristia sono poste in parallelo da tutta la grande tradizione cristiana fino ad alcuni testi sulle cosiddette “due tavole” elaborati dal concilio Vaticano II. (14) Detto altrimenti, «superfluo rilevare che l’unione del cristiano con Gesù Cristo, postulata dall’Eucaristia, … deve attuarsi nella realtà della vita del cristiano, che unita e conformata a quella di Gesù, ne riproduce le caratteristiche e ne assume la destinazione, precisamente quelle del Gesù storico … La sintesi ha da essere una vita umana vissuta come l’ha vissuta Gesù Cristo». (15) 

 Per questo mi piace congedarmi con due aperture di orizzonte, come spesso ama fare il cardinale, al termine di affascinanti percorsi all’interno del Grande Codice biblico. Innanzitutto, è il caso di un’affermazione che verte sempre sul tema della vita eterna nel quarto vangelo. Nella sua preghiera sacerdotale al padre Gesù afferma: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Una conoscenza che significa partecipazione di tutto il proprio essere nel cammino di comunione con Gesù Cristo: «presuppone sia una dimensione intellettiva e razionale sia un aspetto volitivo e persino affettivo e giunge fino al punto di designare una qualità operativa concreta … Conoscere è, perciò, amare». (16)

 Infine, il nostro itinerario sul Vangelo come carne, cioè vita, di Gesù Cristo, può approdare a lidi inattesi, sempre sotto la sapiente guida del cardinale, che ama gli “sconfinamenti”: 

 «La vita non è un problema da risolvere ma un’esperienza da vivere» (Buddha). I due approcci alla vita qui delineati sono posti come a due estremità e spesso a conquistarci è il primo di questi atteggiamenti. La parola «problema» è, infatti, una delle più usate ai nostri giorni, forse perché si è sostanzialmente insicuri e, anche quando diciamo la solita frase fatta «Non c’è problema», in realtà ci muoviamo in modo circospetto, oppure sappiamo già di non farcela. Questo modo di pensare che considera la vita un problema nasce dal nostro essere spesso senza meta, senza attesa, senza un fine prefissato. Ecco, allora, il secondo estremo, quello del leggere la vita come un’esperienza da assumere in pienezza. Anche in questo caso le cose non sono semplici. Non basta sperimentare vicende, eventi, incontri: quante persone hanno un’esistenza ricca di esperienza eppure rimangono vane e inconsistenti. È necessario elaborare, giudicare, vagliare in profondità ciò che si vive per coglierne il succo vero e con questa energia cercare di individuare un compito, una missione, una vocazione, un senso. (17)

 Quel senso e quella direzione tracciati da Gesù, lui stesso «la via» (Gv 14,6). Non è un caso che i primi suoi discepoli fossero definiti, da quanti li vedevano vivere, «quelli della via» (At 9,2; cf. 18,25.26; 19,9.23; 22,4; 24,14.22). La via della vita, la via del Vangelo, carne di Cristo.

1 G. RAVASI, Le pietre di inciampo del vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 227.
2 Cf. RAVASI, Le pietre di inciampo del vangelo, 5: «Per noi l’orrore nei confronti delle parole di Gesù sul cibarsi della
sua carne e sul bere il suo sangue sarebbe quello legato all’antropofagia, uno dei tabù dominanti in quasi tutte le civiltà.
Evidentemente ben diverso era il senso che intendeva Gesù …: il pane e il vino sono segni di una “comunione” di vita
col corpo e il sangue, cioè con la persona di Cristo, e quindi con la divinità, in un’intimità piena che genera la “vita
eterna”».
3 Per un’analisi delle sfumature di questo vocabolo nella letteratura giovannea cf. F. BAUMGÄRTEL – R. MEYER – E.
SCHWEIZER, «sárx, ktl.», in Grande Lessico del Nuovo Testamento XI, Paideia, Brescia 1977, 1363-1371.
4 GIROLAMO, Trattato sui Salmi 147,14-15, CCSL 78, 337-339.
5 ID., Commento all’Ecclesiaste 3,12.13, CCSL 72, 278.
6 ID. (attribuito a), Breviario sui Salmi 147,14, PL 26,1258D.
7 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera ai Filadelfesi 5,1, SC 10, 144.
8 IBID., 144, nota 1.
9 Ho commentato questo loghion in L. MONTI, Le parole dure di Gesù, Qiqajon, Magnano 2012, 133-137.
10 B. MAGGIONI, Il racconto di Marco, Cittadella, Assisi 2008, 165-166.
11 R. CAVEDO, «Vita», in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a cura di P. ROSSANO, G. RAVASI, A. GIRLANDA, Paoline,
Cinisello Balsamo 1988, 1673.
12 E. BIANCHI, «Lo Spirito del Signore è sopra di me…» (Lc 4,18-19), Qiqajon, Magnano 2009, 11-12.
13 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Tralliani 9,1-2, SC 10, 118.
14 Cf. E. BIANCHI, Ascoltare la Parola, Qiqajon, Magnano 2008, pp. 39-45.
15 G. COLOMBO, L’esistenza cristiana, Glossa, Milano 1999, 17.
16 RAVASI, Le pietre di inciampo del vangelo, 248.
17 ID., Le parole e i giorni. Nuovo breviario laico, Mondadori, Milano 2008, 20.

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