Francesco Cosentino "Un Concilio Vaticano III? Una domanda aperta"
Un Concilio Vaticano III?
Una domanda aperta
13 ottobre 2022
per gentile concessione dell'autore
Una coincidenza felice ci fa accostare le suggestioni e gli impulsi di quel grande evento ecclesiale
che fu il concilio Vaticano II con l’anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini, una
delle figure più importanti della Chiesa italiana (e non solo). Sessant’anni fa si apriva il concilio. E
dieci anni fa moriva Martini, la cui eredità biblica, pastorale e spirituale ha generato sogni e visioni
nel cuore di molti credenti e che rimane viva ancora oggi.
L’occasione di tale coincidenza ci offre lo stimolo per una riflessione che può apparire “scomoda”,
ma che risulta necessaria. Si tratta di situarsi in un luogo di frontiera, laddove gli stimoli ricevuti
dalla ricchezza dell’assise conciliare, invece che rinchiuderci nella tranquillità di un traguardo
raggiunto, ci spingono a nuove domande e incessanti ricerche. Si tratta, cioè, di lasciarsi portare da
quel dinamismo permanente della grazia che tante volte Papa Francesco ricorda e raccomanda al
nostro atteggiamento ecclesiale e che — come afferma in Evangelii gaudium — può essere bloccato
da strutture ecclesiali immobili e caduche, nonché da atteggiamenti ispirati al grigiore pragmatico di
chi manda avanti le cose di sempre senza passione, senza speranza e con una tristezza dolciastra.
Ci chiediamo, dunque: ci basta quanto il concilio Vaticano II ha detto, scritto e messo in azione
oppure è arrivato il momento per auspicare un concilio Vaticano III? Questo interrogativo ha
anzitutto bisogno di essere liberato dalla contrapposizione ideologica che, non di rado, anima il
dibattito talvolta polemico intorno al concilio. In realtà, la domanda è profondamente teologica e
pastorale ed esige perciò una risposta che vada oltre l’emotività.
Il quesito, che di tanto in tanto ritorna nel dibattito ecclesiale è emerso più volte soprattutto come
effetto di quella visione lungimirante, aperta e profetica che il cardinale Martini incarnava. In
particolare, nel discorso pronunciato al Sinodo dei vescovi per l’Europa nell’ottobre del 1999,
l’allora arcivescovo di Milano era convinto che alcune questioni dottrinali e pastorali, in un tempo
segnato dal pluralismo e dai cambiamenti sempre più rapidi, ritornano in continuazione come
problematiche che i vescovi sono chiamati ad affrontare, nonostante gli approfondimenti di un
evento ecclesiale come il Vaticano II. Martini si riferisce a temi concreti e specifici: «Penso alla
carenza in qualche luogo già drammatica, di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un
vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del
Vangelo e dell’eucarestia; ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella
Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina
del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in
generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica; al rapporto tra democrazia e valori e tra
leggi civili e legge morale. Non pochi di questi temi sono già emersi in Sinodi precedenti, sia
generali che speciali, ed è importante trovare luoghi e strumenti adatti per un loro attento esame».
Non stupisce la capacità di lettura critica del nostro tempo fatta dal cardinale; ciò che invece appare
quasi sconcertante è che si tratta di temi che conservano un’attualità sorprendente e che, non a caso,
sono centrali anche nell’agenda di Papa Francesco. Ci sono infatti nodi irrisolti e ciò non dipende
tanto dalla incompletezza del Vaticano ii e della sua dottrina, ma — paradossalmente — proprio da
quanto il Concilio ci ha consegnato in termini di metodo sul rapporto tra fede e mondo. Infatti, dai
documenti conciliari abbiamo ereditato una visione dialogica, storica e dinamica della rivelazione di
Dio nella storia e, di conseguenza, uno stile ecclesiale di abitare il mondo improntato all’ascolto del
suo continuo dinamismo. E se il tempo, la cultura, i linguaggi e le sensibilità mutano, e con essi
mutano anche le problematiche esistenziali, ecco che non basta più un codice fissato, una norma
generale, un’unica lettura della realtà.
Il rapporto tra dottrina e carne, tra dottrina e tempo, tra dottrina e storia ci consegna alla fatica del
discernimento cui Papa Francesco ci invita. Dunque, Vaticano III oppure no? La domanda rimane in
qualche modo “appesa” dentro alla fatica del discernimento cui Papa Francesco ci invita, sapendo
che la dottrina cristiana “ha corpo e carne”, tiene insieme la chiarezza dei principi alla realtà
concreta della vita e della storia.
Da una parte, viene da dire che il concilio Vaticano II non ha trovato ancora la sua piena attuazione
e, a causa di numerose contingenze anche ecclesiali, alcuni suoi slanci sono stati frenati negli anni,
talvolta bloccati dalla paura e da una certa mancanza di libertà interiore e di profezia evangelica;
non si può negare il divario tra le aspettative del concilio e la situazione attuale o del recente passato
della Chiesa. Fisiologicamente un concilio inizia davvero a concretizzarsi solo qualche decennio
dopo e a molti attenti osservatori non sfugge che il pontificato di Francesco è certamente un segno
evidente di una prima concretizzazione di quelle prospettive. Lo stesso Papa, conversando con i
direttori delle riviste culturali europee dei gesuiti, ha affermato che «ci sono idee, comportamenti
che nascono da un restaurazionismo che in fondo non ha accettato il concilio. Il problema è proprio
questo: che in alcuni contesti il concilio non è stato ancora accettato. È anche vero che ci vuole un
secolo perché un concilio si radichi. Abbiamo ancora quarant’anni per farlo attecchire, dunque!».
Allo stesso tempo, mentre tutte le analisi — non solo sociologiche — concordano nel descrivere i
tratti di un contesto plurale, in cui la vita delle persone si articola lungo mappe esistenziali e scelte
diversificate, bisogna ammettere che alcuni nodi tornano al pettine: abbiamo una visione coraggiosa
sulla figura del prete del futuro e sulla ministerialità dei laici nella Chiesa? Abbiamo fatto pace con
l’emancipazione della donna tanto da generare una visione chiara sulla sua posizione nella Chiesa e
negli ambiti di governo? Il cammino inaugurato da Amoris laetitia ci ha davvero consegnato una
nuova ermeneutica sulle questioni riguardanti la sessualità e il matrimonio? Questi e altri, sono temi
che in modo spontaneo affronteremo con serenità quando il concilio Vaticano ii sarà interiormente e
pastoralmente recepito, oppure occorrono nuove valutazioni e scelte più audaci a partire da un
nuovo concilio?
La domanda rimane aperta e ci consegna al discernimento, nella forma sinodale dell’essere Chiesa
in cui siamo chiamati ancora a camminare, interrogarci e soprattutto reciprocamente ascoltarci.