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Luca Mazzinghi “Il secondo discorso della signora Sapienza”

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IL SECONDO DISCORSO DELLA SIGNORA SAPIENZA

[COMMENTO DI Luca Mazzinghi*]

Il capitolo ottavo del libro dei Proverbi contiene il secondo discorso pronunciato dalla Signora Sapienza; si tratta di un discorso molto importante, che costituisce una delle chiavi di lettura dell’intero libro, eppure non è un testo di immediata interpretazione e, nel passato, ha dato filo da torcere ai suoi lettori, sia ebrei che cristiani. Il cristiano di oggi, in particolare, rischia seriamente di perdersi in un capitolo come questo, che pure gli accade talora di ascoltare nella liturgia cattolica, e si interroga su che cosa questo testo possa dire alla sua fede. Dovremo così fare tre cose, per chi avrà la pazienza di seguirci in queste pagine: presentare il testo e commentarlo, chiederci una volta ancora chi è mai questa Signora Sapienza che per la seconda volta prende la parola, rispondere infine ai problemi che sopra abbiamo posto: perché leggere ancora questo capitolo? Scopriremo allora che, con un po’ di pazienza, questo testo ci dice ancora molte cose importanti, cosa che è vera, del resto, per tutto il libro dei Proverbi, che pian piano inizia a svelarsi.
Il capitolo si apre (vv. 1-3) con un’introduzione analoga a quella vista in Pr 1,20-21. La sapienza è presentata come una donna che parla in pubblico, presso le porte della città, nei luoghi più affollati, una sapienza che d’ora in poi tratteremo come fosse una persona, la Signora Sapienza. Il suo messaggio non è qualcosa che riguarda pochi eletti, ma raggiunge gli uomini nel luogo in cui essi vivono e lavorano. La Sapienza non parla neppure ai soli israeliti, ma a tutti i “figli di Adamo”,a tutti gli uomini in generale. Possiamo così fare una prima osservazione importante: il messaggio della Sapienza non è direttamente confessionale, ma può essere accolto da ogni uomo che si mette in ascolto dell’esperienza della vita e del mondo e non si chiude di fronte a questa voce.
Al v. 4 si apre il lungo discorso della Sapienza, chiaramente diviso in tre strofe. La prima (vv. 4-11) si apre con l’espressione “a voi, uomini, io mi rivolgo” ed è di fatto un lungo e appassionato appello agli uomini perché ascoltino la voce di questa donna. La Signora Sapienza, al centro della strofa (vv. 7-8), descrive le qualità del suo insegnamento: esso è verità e giustizia, che insieme sono due delle caratteristiche più tipiche della parola di Dio (cf. Sal 119,160). Ciò che la Sapienza vuol dire agli uomini è perciò qualcosa di tanto importante da essere descritto come se provenisse da Dio stesso; è per questo motivo che la Sapienza vale più dell’oro (v. 10; cf. Pr 4,1-7). Ci sono valori, nella vita, che non possono essere acquistati con alcun tipo di ricchezza e la Sapienza è certamente uno di questi valori.
La seconda strofa (vv. 12-21) è centrata sull’Io della Sapienza, che parla di sé in prima persona, elogiando se stessa di fronte ai propri ascoltatori. Notiamo, di passaggio, l’abilità poetica dell’autore: i vocaboli del v. 12 (“Io ... ho trovato”) sono ripetuti nello stesso ordine nel v. 17 (“Io ... mi troveranno”), così da dividere nettamente la strofa in due parti uguali. Nella prima parte (vv. 12-16), la Sapienza si propone come arte del buon governo; questo aspetto politico della sapienza d’Israele non deve stupirci. La sapienza biblica, infatti, essendo prima di tutto arte del vivere è anche guida per il ben governare (v. anche ulteriori riferimenti “politici” nei vv. 18-21); il politico stupido o disonesto dovrebbe, per i saggi d’Israele, essere l’eccezione e non la regola, come accade invece ai nostri tempi! In tutto ciò la sapienza biblica non è diversa da quella dei popoli vicini; in Egitto, come si è detto nell’Introduzione, la sapienza nacque proprio come cammino formativo proposto ai giovani in vista di un loro impegno nei confronti della società e del regno.
La seconda parte della seconda strofa (vv. 17-21) si apre con una affermazione molto bella: “io amo coloro che mi amano e quelli che mi cercano mi troveranno”. 
Frasi del genere non sono rare in ambiente egiziano e si possono leggere, riferite a Iside o ad altri dei d’Egitto, incise su quegli amuleti in forma di scarabeo che gli egiziani ponevano sul cuore del defunto per assicurargli il passaggio nell’aldilà. Secondo il poeta autore di Pr 8 soltanto la Sapienza è invece in grado di garantire all’uomo la vera felicità, qui espressa nel testo anche con toni molto materiali. La Sapienza, infatti, ama quelli che la amano; il verbo ebraico ahab, che qui traduciamo con l’italiano “amare”, non indica tanto un rapporto giocato sul piano del sentimento, quanto piuttosto un impegno concreto di amore e fedeltà nei confronti della persona che mi è stata fedele e che mi ha amato: occorre perciò che l’uomo si innamori della Signora Sapienza come di una sposa, come di qualcuno a lui legato da un patto di fedeltà. Il v. 17 sarà alla base di una celebre affermazione di Gesù riferita da Giovanni: “chi mi ama, il padre mio lo amerà” (Gv 14,21).
La terza strofa (vv. 22-31) è allo stesso tempo la più difficile e la più importante per riuscire comprendere l’intero poema; il v. 22 si apre solennemente con il nome sacro, YHWH, il Signore. E’ lui che ha generato la Sapienza, l’ha tessuta come un embrione nel seno di sua madre (v. un’immagine analoga nel bel testo di Sal 139,13) e l’ha partorita, come primizia della sua attività e origine delle sue opere (vv. 22-23). 
La Sapienza è dunque “figlia” di Dio ed è presente accanto a lui quando egli crea il mondo, è anteriore alla creazione (vv. 24-29): ciò significa, al di là delle immagini poetiche usate in questi versetti, che essa non è qualcosa di misterioso e inaccessibile, ma è una realtà che l’uomo può scoprire contemplando la creazione. Il mondo ha perciò un senso, e il saggio è capace di scoprirlo, proprio perché la sapienza è presente nel creato. Allo stesso tempo, però, la sapienza non è un’invenzione dell’uomo, ma è prodotta da Dio stesso ed è in rapporto con lui.
La parte finale della strofa contiene un vero e proprio colpo di genio del poeta: la Sapienza è come un lattante che gioca nel mondo, davanti a Dio e davanti agli uomini. La traduzione proposta nel v. 30, “lattante”, è in verità molto discussa e molti preferiscono intendere il difficile termine ebraico ’amôn come“artigiano”, pensando cioè alla sapienza come alla collaboratrice di Dio dell’opera della creazione; anche la traduzione delle versioni antiche è discorde; molti moderni, sulla base di testi extra-biblici, preferiscono leggere il vocabolo ebraico nel senso di “consigliere”; la sapienza avrebbe nei confronti di Dio una funzione analoga a quella dei consiglieri di corte. 
Se però accettiamo di leggere il vocabolo ebraico nel senso di “figlia prediletta” o persino “lattante”, secondo una antica traduzione greca, ne nasce un’immagine molto bella: la sapienza è raggiungibile soltanto ponendosi al suo livello, quello di un bambino molto piccolo che gioca. Il gioco è del resto esplicitamente menzionato nei vv. 30 e 31. Tutto ciò ci ricorda come il cammino della sapienza passi prima di tutto da una dimensione di gratuità, di gioia e di piccolezza che è tipica dei bambini e dei loro giochi; si ricordi al riguardo il celebre detto di Gesù riportato in Mt 11,25-27.
Il discorso della Sapienza si conclude con un appello accorato (vv. 32-36); ascoltare la voce della Sapienza è davvero una questione di vita o di morte e l’uomo non può rimandare una decisione in merito. Ma chi è, alla fine, questa Signora Sapienza, la cui voce abbiamo udito fin dal primo capitolo? Dobbiamo confessare che quando vogliamo definire con precisione la realtà di questa figura, resta pur sempre un margine di mistero, che non ci permette di capire fino in fondo il volto della Sapienza. Uno sguardo a ritroso all’intero capitolo 8 è in grado di farcene cogliere alcune caratteristiche. La prima strofa, infatti, mette al centro gli uomini, destinatari del messaggio della Sapienza; la seconda, è una auto-presentazione della Signora Sapienza; la terza strofa, infine, descrive la relazione esistente tra lei e il Signore. In questo modo, si può già arrivare a concludere che la Signora Sapienza è prima di tutto una mediatrice, una figura cioè che mette in relazione diretta Dio e gli uomini; per questo il poeta la descrive non come un concetto, ma come una persona reale. Essa è così il contrario della Signora Stoltezza, presentata nel capitolo precedente; quest’ultima parlava con l’intento di sedurre gli uomini, indicando una via facile verso la felicità; la Sapienza, invece, promette una felicità anche più grande, ma senza eliminare Dio dal proprio orizzonte e senza ingannare l’uomo.
Come può l’uomo arrivare a Dio e come può comprendere il valore della propria esistenza? Queste sono le domande davvero cruciali che stanno dietro i capitoli iniziali del libro dei Proverbi. L’autore di Pr 1-9 scrive come si è detto in un periodo, quello compreso tra il V e il IV sec. a.C., nel quale la Giudea è parte del vasto impero persiano e, verso la fine del IV sec., inizierà a entrare nell’orbita greca, un periodo nel quale Israele assiste al pericolo di una dissoluzione dei valori tradizionali.La sapienza antica, basata soltanto sull’esperienza e agganciata principalmente alla fiducia nel successo delle azioni dei giusti e dei saggi, sembra non bastare più. Ecco allora emergere la figura della Signora Sapienza; essa, mediatrice tra Dio e gli uomini, non rinnega un tipo di saggezza basata sull’esperienza, come era la sapienza dei padri, quella proposta proprio dalle raccolte più antiche del libro dei Proverbi (Pr 10-30). 
Allo stesso tempo, però, la Signora Sapienza è figlia di Dio, proviene da lui ed è anteriore alla creazione e presente in essa. Alla base del cosmo non c’è il caso, ma l’armonia di questa piccola bambina, la Sapienza che cresce giocando davanti a Dio e davanti agli uomini.
La risposta del poeta è così nuova e sorprendente: l’uomo è capace di leggere la creazione che sta sotto i suoi occhi ed è in grado di coglierne il senso, di mettere a frutto l’esperienza della propria vita quotidiana perché la sapienza è presente nella creazione; proprio in questo modo l’uomo, ogni uomo, può arrivare a incontrarsi con Dio. La Signora Sapienza esprime così il modo nel quale Dio vuol lasciarsi cercare dall’uomo; Dio, attraverso la sapienza, è presente nel mondo, ma anche è al di sopra di esso e ha creato la Sapienza, sua figlia. 
Nella Signora Sapienza, Dio e l’uomo si incontrano; il poeta di Pr 8 ha creato così un personaggio che avrà molta fortuna e ritornerà, in modi e tempi diversi, nei libri di Giobbe e del Siracide, in quello di Baruc e, infine, nel libro della Sapienza. Non è un caso che nel Nuovo Testamento ritroveremo molti echi di questo capitolo, utilizzato sia da Paolo che da Giovanni per comprendere meglio il mistero di Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini, uomo che viene da Dio e preesiste al mondo creato e che dunque porta a termine il movimento di mediazione iniziato dalla Signora Sapienza; vanno ricordati in particolare i testi di Col 1,15-18 e soprattutto il prologo di Giovanni(Gv 1,1.4.10). La piccola bambina, nata da Dio, che gioca davanti a lui e davanti agli uomini (Pr 8,30-31) così crescerà, e ci parla ancora oggi. La cosa più importante, per l’uomo, non è tanto ubbidire a una qualche legge divina, ma accogliere una parola che viene da Dio attraverso il creato, attraverso cioè la Signora Sapienza. Essa è capace di dare un senso all’intera vita dell’uomo e lo rende capace di leggere la propria esperienza del mondo, diventando fedele a questo mondo e permettendogli di incontrarsi così con il suo Creatore.

*Don LUCA MAZZINGHI, parroco di San Romolo a Bivigliano (Fi), già Presidente della Associazione Biblica Italiana, è docente alla Pontificia Università Gregoriana Ha pubblicato numerosissimi articoli e libri nel campo degli studi biblici. 
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