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Massimo Recalcati "La Bibbia di Freud"

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La Stampa, 21 agosto 2022 

Il mondo mitologico cui la psicanalisi di solito si riferisce non è quello biblico. I personaggi fondamentali della dottrina psicanalitica provengono dal mondo greco: Edipo, Elettra, Antigone. 
Eppure, esistono radici bibliche nella psicanalisi, e non solo perché Sigmund Freud era nato in una famiglia ebrea (non praticante, ma comunque attenta alle Scritture, tanto che, per i suoi 18 anni, ricevette in dono dai suoi genitori la versione più aggiornata della Torah). 

Il testo biblico annuncia qualcosa su cui la psicanalisi si soffermerà: la legge. Qual è la sostanza della legge? Il nostro tempo fa una gran confusione associando e sovrapponendo la dimensione della legge con quella della regola: noi contemporanei pensiamo, in fondo, che la legge sia qualcosa che ha anche fare con il rispetto della norma. E pensiamo che educare corrisponda a sottoporre la vita dei figli alle regole. Invece, uno dei tanti insegnamenti del testo biblico - che la psicanalisi riprende - è la sproporzione, la differenza tra la legge e la regola. 

Le regole sono sempre degli impedimenti esterni, necessari alla vita. Per esempio, il codice stradale stabilisce che ci si debba fermare quando il semaforo è rosso: farlo, rende possibile lo scorrimento ordinato del traffico. Non farlo, ci mette in pericolo e ci espone al rischio della sanzione (anch'essa viene dall'esterno). 

Mosè dice nel testo biblico che il problema non è tanto scrivere la legge sulle tavole della pietra (il famoso decalogo), bensì scrivere la legge «nella carne e nel cuore». 

La prima forma della legge è la parola. Noi contemporanei pensiamo che la parola sia uno strumento della comunicazione: indubbiamente lo è. Ma la Bibbia ci dice - e la psicanalisi riprende questo punto - che la parola in quanto legge viene prima della comunicazione. Anzi, la legge della parola istituisce la possibilità della comunicazione. La Bibbia, nel primo racconto della genesi del mondo, dice che la parola non è uno strumento: assomiglia alla luce, è la luce. La parola non si limita a nominare strumentalmente le cose: nel testo biblico, la parola di dio fa esistere le cose, fa venire alla luce l'evento del mondo. «Dio disse e così fu», la parola di Dio non nomina: genera. 
Nella poesia, la parola crea il mondo. Nella psicoanalisi, quando un paziente è invitato a parlare del suo passato e dei suoi ricordi, fa esistere in modo nuovo quello che è già stato. 

Altro punto. La sostanza della legge qual è? 

Nella Bibbia, la scena della prima grande trasgressione dell'umano è quella di Adamo ed Eva che raccolgono una mela. Gli uomini sono nel giardino che splende di vita. Un inciso: dio crea il cielo, la terra, le acque e poi l'umano, Adam, che nel testo ebraico non significa il maschio. Adam non ha sesso, è l'Umano, il terrestre. Nella lingua ebraica, Adam significa «colui che viene dalla terra». In quel giardino, però, il terrestre è triste perché è solo, è «abbattuto»: non ha nessuno con cui parlare, nessuno che lo ascolti. Questo abbattimento dell'umano è una verità che la psicanalisi riprende: la relazione dà ossigeno alla vita. L'uomo, nella solitudine, si spegne. E poiché il dio biblico non è un dio faraone, non è cattivo o sadico ma anzi si rivolge all'umano sempre con pietà e compassione e amore, per aiutarlo e lenire la sua tristezza nel giardino, inventa Eva. Chi è? Non è la femmina del maschio, non è il corpo di serie B tratto dal corpo di serie A, non è solo il prodotto della costola che effettivamente dio estrae dal corpo di Adam. L'ideologia del patriarcato ha visto nella creazione di Eva il segno di una superiorità ontologica del maschio sulla donna. In realtà, più che il corpo della femmina, Eva è il nome della relazione. Senza di lei non c'è relazione, e senza relazione l'umano muore. Si potrebbe aggiungere che da questo nasce il desiderio, che Adamo vorrebbe appropriarsi di Eva per recuperare la sua costola, che il rapporto di desiderio tra Adamo ed Eva non è come quello nel mondo greco dove l'essere androgino si divide e l'amore è una spinta alla ricomposizione (questa è la grande rappresentazione di eros che Platone ci dà nel Simposio). Nel mondo biblico non funziona così. Non c'è, come nel mito platonico, l'arroganza dell'essere androgino, che ha entrambi i sessi e che sfida Giove. Nel testo biblico, l'amore nasce dalla solitudine, dalla necessità delle relazione. La costola è irreversibilmente perduta e l'amore non è mai riunificazione: i due rimangono due, non fanno mai uno. 

Fine dell'inciso: torno all'origine della legge. 

Dio dice ad Adamo ed Eva che possono godere di tutto, ma non dell'albero della conoscenza. Dice: potete godere di tutto, ma non del tutto; potete godere di tutto ma non siete tutto. Il serpente dice: questo dio vi inganna, trattiene il meglio per sé, ha paura di voi, è egoista, trattiene per sé i frutti dell'albero più importante. La lusinga del serpente è quella della deificazione dell'uomo. Nella Torah c'è una moltiplicazioni di peccati, ma la sola forma di peccato, nel testo biblico, è credersi dio, desiderare di essere dio. La deificazione comporta sempre l'autodistruzione dell'umano. Dice la Torah che è impossibile avere tutto, essere tutto, sapere tutto, dire tutto. Ma è questa impossibilità che educa al senso della legge, perché io posso conoscere solo nella misura in cui io posso comprendere che è impossibile sapere tutto, che è impossibile sapere il sapere di dio. La possibilità della conoscenza è data dalla impossibilità di conoscere tutto. La pretesa di conoscere tutto è ignoranza. Nel giardino, gli umani mangiano la mela, trasgrediscono – il rapporto tra legge e trasgressione è essenziale nel testo biblico e nella psicanalisi. San Paolo, nella Lettera ai romani, dice: «La legge fa esistere il peccato». Questa è la dimensione ordinariamente perversa del desiderio umano, che si mobilita quando si trova davanti alla proibizione e gode nel trasgredire. La vera perversione, invece, è quella proposta dal serpente: non il trasgredire, ma il diventare dio. 
Ecco: la legge della parola è la legge che interdice all'uomo di diventare dio. 

Nella Torah c'è la scena dei babelici. Il popolo dei babelici vuole costruire una grande torre per sfidare la potenza di dio. La torre più grande di tutte. Il popolo dei babelici è una massa: un corpo unico che non conosce differenza, quella che Umberto Eco rappresentava come dimensione eterna del fascismo perché esclude la differenza. Il dio ebraico, di fronte al delirio totalitario dei babelici, interviene dall'alto, discende dal cielo, sparpaglia le lingue, rende impossibile l'esistenza di una sola lingua e costringe gli uomini di Babele a non parlare un sola lingua: li costringe alla democrazia, ad ascoltare lingue differenti. Benjamin dice che la democrazia è imparare la necessità della traduzione: per stare insieme dobbiamo tradurci. 

La Bibbia non fa sconti, non è un testo retorico e nemmeno religioso. Quando i profeti se la prendono con qualcuno, bersagliano l'ateo ma non l'idolatra. 

La fratellanza, nel testo biblico, è un drammatico fallimento. Caino e Abele, Giacobbe e Esaù, Giuseppe svenduto dai fratelli a dei beduini. Succede perché la fratellanza è una costruzione difficile, tortuosa, e perché non è il sangue la sostanza che fonda la possibilità della fratellanza. 

La Bibbia, nell'Ecclesiaste, affronta poi anche questo: come possiamo rispondere alla legge della morte? Cosa ci resta se tutto è un inutile «affannarsi sotto al sole»? Qoelet dice: «Mangia con gioia il tuo pane, bevi tutto il tuo vino, perché dio ha già gradito le tue opere; in ogni momento della tua vita vestiti a festa, godi. E tutto ciò che alle tue mani capita di fare, fallo con decisione». Fa pensare a un passaggio celebre del Vangelo, quando Gesù dice: «I nostri maestri non sono i farisei, i nostri maestri sono i gigli nel campo e gli uccelli nel cielo». Che cosa c'è da imparare da loro? Che non vivono nel futuro. Il grande regno o è oggi o non esiste. 

Infine, voglio parlare di Abramo e Isacco. Dio chiama Abramo che ha avuto, ottantenne, Isacco, il figlio più amato, il figlio della promessa. E gli chiede: se davvero mi ami, sacrifica questo tuo unico figlio. E Abramo, prima ancora di ragionare, dice «eccomi». Si offre a qualcosa che ancora non sa: questa è la fede. E allora prende il figlio e lo porta. E poco prima di sgozzarlo, viene fermato dalla mano dell'angelo. Come dobbiamo leggere tutto questo? La lettura della psicanalisi è che il legame d'amore tra genitori e figli può essere un amore che uccide. La paradossale condizione di ogni legame familiare è quella di realizzarsi nella misura in cui si scioglie. Il legame familiare si realizza compiutamente laddove si scioglie. A questo Dio chiama Abramo. Il vero sacrificio è di Abramo, non di Isacco: Abramo, lascialo andare, impara ad abbandonare tuo figlio nel deserto. Abramo, impara la legge della parola.

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